Il dolore e la legge che hanno litigato al Rigopiano

Con estrema dignità, un Giudice è rimasto in Aula, in piedi e con dignità, per trenta interminabili minuti, di fronte alle urla di chi ha il diritto umano di strillare per la sentenza sulla frana di Rigopiano. Perché Legge e Giustizia non sono la stessa cosa. E quel giudice era chiamato ad applicare la Legge

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ti devi vergognare, questa non è giustizia”. E nel processo per la strage all’hotel Rigopiano è andata proprio così. Solo che pur essendo una cosa agghiacciante è stata una cosa normale, anzi, normata. In quell’aula non è stata cercata la giustizia, è stata applicata la legge. E’ una faccenda antica che confligge da sempre con le aspettative. Quelle di chi della legge è il fruitore finale, sia esso cittadino comune o imputato o congiunto che ha sperso lacrime amarissime.

Va ripetuto anche se fa male: la legge e la giustizia non sono mai la stessa cosa. La prima può solo aspirare alla realizzazione della seconda. Ma non la forma mai in maniera perfetta e tonda, mai. Tanto che realtà storica e realtà processuale non sono mai del tutto perfettamente sovrapponibili.

Nel processo per la strage di Rigopiano sono state inflitte 5 condanne ed emesse 25 assoluzioni e la somma algebrica del giudicato fa a cazzotti in maniera clamorosa con le straordinarie sommatorie di dolore, perdite, strazio e rivoluzioni esistenziali di parenti delle vittime che furono 29 fra ospiti e dipendenti.

Il punto da cui partire

Frame da TvSei

E il punto su cui riflettere sta tutto lì, nella differenza amara che c’è fra aritmetica ed algebra. Fra le aspettative di una sentenza che contenga perfettamente la somma di tutti i dolori che il fatto reato ha sostanziato e la mission dei giudici di scremare in punto di Diritto dove sia sia violata la legge e dove si sia formata solo una circostanza tragica.

Capiamoci: il dolore è lo stesso e il contenitore di sdegno è unico. Ma la legge esiste esattamente per setacciare queste due realtà. Perché la prima è sanzionabile e la seconda è solo deprecabile, ma solo nell’intimo del giudice che si forma il convincimento quando ripone la toga e va a fare i conti con i suoi spettri, non nell’aula dove quel convincimento deve generare decisioni secondo regole che sono fondamenta dello Stato di Diritto.

Le differenti prospettive

Foto: AG IchnusaPapers

Non è finita qui, non sarebbe giusto, non è solo alla crudezza espositiva che dobbiamo inviare degli osanna, il quadro non sarebbe completo. Non lo sarebbe perché nelle faccende umane non c’è solo la legge, nelle faccende umane ci sono gli uomini, le bestemmie, i funerali, i figli soli, le lacrime e le telefonate che ti fermano in cuore nel petto con un morso canino e feroce. Per l’uomo ci sono le differenti prospettive che la storia scolpisce nel suo cuore. C’è il diritto sacrosanto a sperare con ogni fibra che la Legge dei sistemi complessi e la Giustizia che nell’intimo si desidera si incontrino a metà strada di un processo. E si tengano per mano fino alla fine.

Per converso perciò ci sono legittima amarezza e rabbia cieca quando ad un certo punto del dibattimento una parte prevale sull’altra e quelle mani si staccano. E l’amarezza e la rabbia sono un diritto che la legge contempla nella gamma delle emozioni umane. Ma regola negli ambiti in cui non generino violenza, verbale o fisica. Che significa? Che i parenti delle vittime hanno perfettamente ragione ad essere furiosi. E che senza scomodare le categorie di opportunità etica ognuno di noi al posto loro avrebbe avuto reazioni simili se non peggiori.

Perciò saltiamo a pie’ pari la mistica del “vorrei vedere te al loro posto”, quella cosa scema, dietrologica e molto social che porta ogni cristiano medio ad augurare all’analista un dolore paritetico per studiare compiaciuto dove se ne va spersa tutta la sua impunita capacità di ravanare nel dolore altrui.

Siamo fatti anche di dolore

Il Presidente Sergio Mattarella incontra superstiti e familiari delle vittime di Rigopiano

E’ ovvio che a posti scambiati ogni essere dotato di capacità empatica diventerebbe una furia se avesse avuto una moglie morta sotto quello scempio. E se nessuno riconoscesse che tutti quelli che nello scempio ebbero ruolo fossero da condannare al massimo della pena. Questo è ovvio e giusto, è perfino legale purché non tracimi nella violenza verbale o fisica.

Lo è perché noi siamo fatti così e il nostro dolore è la cifra esatta della nostra bellezza di specie. Vogliamo che tutti quelli che erano in casella di potenziale responsabilità paghino per qualcosa che abbiamo costruito e ci è stato tolto. Perché quello che ci è stato tolto è un pezzo sanguinolento della nostra vita, un buco nella carne che crediamo rimarginabile solo con quella frase, “nel nome nel Popolo italiano”. E con la terza persona singolare “condanna”.

Siamo esseri relativi ed invochiamo dal sistema l’assolutezza, come con la fede. La perfetta contemplazione del nostro strazio, in ogni sua possibile sfaccettatura.

Non è così

Ma non è così. Per fortuna non è così. E se non fosse così avremmo altri pianti ed altre persone che gridano che no, non si è fatta giustizia. Perché il guaio della giustizia è quello: è bella, tonda, solenne da invocare e facile da maledire se non arriva. Ma è plastica, duttile e pronta a prendere le forme del dolore singolo di chiunque la invochi da qualunque angolatura, perciò è buona nei libri ma non nei codici.

La Legge è il gendarme che invece separa, stacca la somma finale dal computo e studia i singoli addendi. A volte lo fa con una brutalità spaventosa ed a volte nel farlo sbaglia e sbaglia clamorosamente, ma mai al punto tale da farne rimpiangere la presenza nelle nostre esistenze.

No, sul Rigopiano non si è fatta giustizia e probabilmente qualcosa non è andato per il verso giusto, forse qualcuno ha sbagliato nell’applicare le regole ma le regole non si toccano. Forse le motivazioni lo spiegheranno meglio, dove sono andate a parare quelle regole.

E forse il secondo grado, che esiste proprio per sanare questa fallacità possibile, le applicherà meglio. Ma non darà pace a chi piange e a chi giace, solo una certezza a chi resta: che a volte convivere con la legge è bruttissimo, ma vivere senza sarebbe un inferno. (Leggi anche Quelli che volevano un mostro ad ogni costo).