Il fuoco amico per eliminare il rivale del seggio accanto

Il fuoco incrociato di questi giorni contro i politici più in evidenza. Non parte solo dal fronte avversario. Ma molto viene dalle file amiche. Perché ci sono 350 seggi in meno. È lotta per sopravvivere

Carlo Alberto Guderian

già corrispondente a Mosca e Berlino Est

Non è solo fuoco avversario. È soprattutto fuoco amico quello che si sta abbattendo sui Partiti in queste settimane. E che ha portato sotto i riflettori prima il Dem Mauro Buschini e poi il leghista Claudio Durigon. Con la stessa intenzione per entrambi: bruciarli ed eliminarli dalla prossima corsa elettorale.

I 350 posti in meno

C’è un elemento che non può essere ignorato, da destra a sinistra: mentre infurierà la prossima campagna elettorale per le elezioni Politiche i commessi, i falegnami ed i tappezzieri saranno al lavoro su palazzo Montecitorio e palazzo Madama per segare 350 poltrone. Lo hanno deciso gli stessi attuali occupanti: incapaci di governare la pancia della gente e costretti a subirne il governo; talmente evanescenti da non avere peso da opporre; così incolori e trasparenti nella azione politica che i loro elettori sentono di poterne fare tranquillamente a meno. Talvolta a ragione.

La difesa del posto in Parlamento è più feroce della lotta per un angoletto su una delle scialuppe del Titanic che imbarcava acqua. Nascono da lì molti degli odierni sgambetti e trappole, silenzi ad orologeria e posizioni di imbarazzo.

Durigon nel mirino

Nessuno può dire che non sapeva come Claudio Durigon ha organizzato la Lega nel Lazio da quando Matteo Salvini lo ha investito di questo compito. Lo ha fatto partendo dall’organizzazione che conosceva, aveva strutturato e gestito fino a quel momento: il sindacato Ugl. Che non si è trasformato in forza politica per merito (o colpa, dipende dai punti di vista) di Claudio Durigon. Lo era già. Nessuno può negare che il sindacato si sia mobilitato intorno al suo Segretario nazionale quando Renata Polverini , guida massima dell’Ugl, è diventata Governatore del Lazio.

Se in questo percorso di radicamento recente ci si sia appoggiati a personaggi discutibili o addirittura impresentabili è la faccenda più seria. La stessa che inquina la politica da sempre. E che la politica ha tentato di governare cancellando la preferenza, nell’illusione del postulato: niente preferenza, niente pacchetti di voti, niente ras delle preferenze da affrontare.

Il peso nel Carroccio

Non è solo fuoco esterno quello contro Durigon. C’è molto di interno alla Lega e più ancora di interno al sindacato. E anche di esterno al sindacato ma che vede con preoccupazione il peso sempre maggiore di Ugl nel Partito: è stato strategico nell’elezione del pontino Matteo Adinolfi al parlamento Ue.

Claudio Durigon e Francesco Zicchieri (Foto: Giornalisti Indipendenti)

Nel 2018 il Collegio ha eletto al Parlamento Francesco Zicchieri, Claudio Durigon, Francesca Gerardi; fuori collegio ma sempre dalla stessa area è stato eletto Gianfranco Rufa. In quel lotto aspira ad entrare nel 2023 il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani. Alcuni di loro pensano ad un travaso in Regione Lazio dove però già c’è Pasquale Ciacciarelli.

Non è da loro che parte il fuoco amico. Non da loro anche se le posizioni di Durigon e Zicchieri non sono più sulla stessa lunghezza d’onda da tempo. Da quando cioè il vice capogruppo della Lega a Montecitorio ha lasciato proprio a Durigon i suoi incarichi regionali nel Lazio per passare al ruolo nazionale di radicatore per il centro e Sud d’Italia: avvicinandolo al cerchio magico ma allontanandolo dalla prima linea. (Leggi qui Salvini nomina Zicchieri nel cerchio magico della Lega).

Ma anche a sinistra non scherzano

Più feroce lo scannamento interno al Partito Democratico. Nessuno verrà risparmiato. Infatti dopo Mauro Buschini s’è cercato un pretesto per infastidire Bruno Astorre, potentissimo signore delle preferenze ai Castelli, ricavandone però poco più di un nulla paragonabile alle copertine sui pedalini del giudice Misiano. Ci si prepara a spostare il mirino sul vice governatore del Lazio Daniele Leodori. Nicola Zingaretti s’è scansato di suo e dice di non essere interessato più a nulla per cui cecchinarlo.

Nicola Zingaretti con Mauro Buschini (Foto: Giornalisti Indipendenti / Ciociaria Oggi)

In questo, il Pd manifesta una vocazione ben maggiore di quella al Maggioritario, annunciata all’atto della sua costituzione. Ha una vocazione suicida.

Esattamente quella che lo ha portato a massacrare Ignazio Marino dopo averlo scelto come sindaco di Roma: uno così o non lo scegli o accetti che governi secondo le sue regole, che non sono per niente quelle di un Partito. Non ha torto Virginia Raggi quando rivela che fu il Pd a buttare giù il sindaco di Roma del Pd. Pagandone ancora oggi le conseguenze.

La stessa vocazione all’autodistruzione che ha portato il Pd ad affondare Mirko Coratti, presidente dell’Assemblea Capitolina con radici a Monte San Giovanni Campano, al quale all’improvviso avevano iniziato a prendere fuoco le sedi del Partito a Roma. Troppo autonomo nella sua corsa che lo avrebbe portato a diventare un legittimo pretendente alla candidatura a sindaco di Roma. Prosciolto lo scorso novembre dall’accusa di corruzione e finanziamento illecito, condannato per Mafia capitale che di mafioso però s’è scoperto aveva poco o nulla.

Forse è sulla base di questa consapevolezza che Mauro Buschini ha preferito tirarsi indietro subito, all’inizio del massacro. Perché sono i colpi che arrivano dall’interno quelli a fare più male.