Il G7 del Marchese e del Grillo

Un G7 andato bene per l'Italia grazie a Mario Draghi. Ma è il suo insieme a preoccupare. È l'inizio di una Guerra Fredda contro la Cina che invece si muove con rapidità e modernità

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Chi non ricorda la scena del celeberrimo film di Monicelli dove uno straordinario Alberto Sordi nei panni del marchese Onofrio del Grillo, scampato all’arresto durante una partita di carte tra briganti, salendo sulla carrozza pronuncia verso gli altri destinati al carcere la storica ormai frase «Mi dispiace, ma io so’ io e voi non siete un cazzo!».

È la prima cosa che ci è venuta in mente guardando le immagini del G7 in corso in Cornovaglia. Immagini che hanno fatto il giro del mondo di tutti i leaders mondiali beatamente irrispettosi di qualsiasi distanza interpersonale e allegramente sforniti di mascherina. 

Alberto Sordi ne Il Marchese del Grillo

Ci si chiede: ma come sono mesi che ci tampinano con l’uso delle protezioni individuali delle distanze, ci riempiono di regole contando i metri cubi di aria nei ristoranti, imponendo regole tanto assurde quanto draconiane, obbligandoci a mettere la mascherina anche soli in una foresta e poi quando appaiono in pubblico si ammucchiano come ai buffet dei matrimoni di periferia?

Un bel paradosso, quasi irritante direi, ma speriamo foriero della fine di questo periodo da incubo. Sembra quasi che le regole che valgono per il popolino non valgano per i governanti esattamente come nella famosa scena cinematografica.

La saggezza di belli

Pochi sanno però che la celebre frase che il Marchese rivolge a un gruppo di popolani è ripresa dal sonetto “Li soprani der Monno vecchio” di Giuseppe Gioachino Belli, che comincia così: «C’era una vorta un Re cche ddar palazzo / mannò ffora a li popoli st’editto: / “Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo”».

Cosa che nell’immagine che mi ero fermato a guardare della prestigiosa riunione mi sembrava ancora più singolare ed attinente perché il tema di fondo era il ribadire l’antico schema atlantistico, il “monno vecchio”, rispetto alla irrefrenabile avanzata della Cina. Almeno nelle intenzioni del neopresidente americano Biden alla sua prima uscita internazionale di rilievo.

L’episodio dello scambio d’identità tra il nobile e l’umile carbonaio s’ispira a diversi racconti della letteratura:  la biografia del buontempone romano e la novella storia dell’uomo addormentato ridestato, della raccolta di novelle arabe Le mille e una notte, anche ne La bisbetica domata di William Shakespeare, la Novella del Grasso legnaiuolo in cui si racconta di una beffa ordita da Filippo Brunelleschi ai danni di un ebanista di nome Manetto Ammanatini e così in altri casi letterari.

La confusione di Beppe Grillo

La foto di famiglia dei leader con la Regina Elisabetta II durante il G7

Tutta questa letteratura deve aver in fondo confuso anche Beppe Grillo che, forse sentendosi più a suo agio nei panni di Gasperino Il Carbonaro, a cui assomiglia pure fisicamente, nel preciso istante che il Presidente del Consiglio, da lui e dai suoi parlamentari sostenuto, rappresenta l’Italia nel G7, si reca in visita presso l’ambasciatore cinese in Italia.

Superbamente è stata questa la nota più ridicola e fuori tono a margine del G7. La chiamata alle armi dei rappresentanti cinesi della loro quinta colonna italiana ovvero il movimento grillino.

All’incontro doveva essere presente pure l’ex premier Giuseppe Conte, già annunciato nei dispacci di agenzia, che ha mestamente declinato all’ultimo momento, forse intuendo la meschina figura che avrebbe fatto un ex premier e attualmente segretario del Partito di maggioranza relativa al governo a recarsi presso la potenza straniera oggetto e bersaglio della contemporanea riunione delle nazioni più potenti del mondo.

Sindrome cinese

Detto questo Conte è svicolato, come suo costume, ma Grillo, evidentemente troppo impegnato “moralmente” coi suoi danti causa cinesi, ha dovuto adempiere allo specioso invito in contemporanea mondiale. Per fare una scortesia istituzionale del genere è evidente che hai dei rapporti tali che non puoi dire di no. Lo capirebbe pure un bambino (in monopattino).

Infatti i cinesi devono avere intuito che, neanche tanto velatamente, le principali intenzioni dei premier dei Paesi più industrializzati del mondo erano rivolte tutte contro la irrefrenabile politica espansionistica della Cina che da questa pandemia mondiale di cui è stata origine è uscita incredibilmente più forte.

Biden si presenta con la proposta di un “Build Back Better World” una specie di piano infrastrutturale anti Pechino che suona certamente come un guanto di sfida alla nuova Via della Seta promossa dal dragone.

Difatti richiamandosi alle radici della comunità delle democrazie, all’urgenza della ricostruzione globale dopo la pandemia ed alla necessità di affrontare le sfide del nuovo secolo, il presidente americano ha indicato senza mezzi termini al summit del G7 la Cina di Xi Jinping come il più temibile rivale strategico collettivo.

La seconda guerra fredda

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, con il Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden.

Ecco tutta la mia perplessità su queste dichiarazioni la condivido con quanti di voi “boomers”, come direbbero i giovani d’oggi, hanno ancora ben presente il clima i modi e le schermaglie della guerra fredda. Perché a me questo G7 più che un incontro dedito all’innovazione è sembrato l’inizio ufficiale di una seconda guerra fredda.

Dove tutti i leaders individuano il nemico e si promettono reciproco sostegno e lealtà per combatterlo. Solo che insomma sembra tutto così retrò ed antiquato. La Cina invece seppur mastodontica si muove con modernità e rapidità e aggiungiamo noi con una certa dose di “cattiveria” quando si tratta dei propri interessi.

Li soprani der Monno vecchio

Questa riunione a me è sembrata somigliare più a “Li soprani der Monno vecchio” dove i potenti del mondo si siedono per celebrare e ricordare la loro potenza. Un po’ come il sonetto del Belli dove un banditore del re si aggira per Roma, gridando ai popolani un editto scritto dal re. Il sovrano dichiara i suoi pieni poteri nella città, dicendo che può fare quel che vuole, senza preoccuparsi di essere contestato da qualcuno. Andando avanti con la sua dichiarazione, il banditore, per mezzo del re, nell’editto sostiene che nel mondo chi non sia nato potente non può far nulla per cambiare l’ordine delle cose. La gente di Roma, interrogata dal banditore sulla faccenda, risponde che è la pura verità.

E questo mi sembra, seppur a distanza di diversi secoli, sia successo in questi giorni.

Tutta un iconografia stantia. Il richiamo all’atlantismo, il discorso davanti all’originale della carta atlantica che nel 1941 segno l’inizio dell’impegno americano contro il nazismo , il rinnovare l’impegno di Franklin Delano Roosevelt, addirittura la scelta della base Mildenhall quella da cui partirono i primi aerei della Raf diretti contro gli obiettivi nemici.

Quanto vecchiume. Quanta retorica veteroamericanista. Mi aspettavo spuntassero pure Rocky coi mutandoni a stelle e strisce e Ivan Drago con James Brown che cantava “Living in America” ed il quadro era completo.

Eppure erano partiti bene

I leader del G7 attraversano la spiaggia

Eppure il G7 era iniziato e proseguito con alcuni caratteri di brilantezza. Tutti i leaders sbarcati sulla fine sabbia di Cornovaglia arrivando dalla spiaggia su una passerella in legno su cui li aspettava il biondo leader britannico Boris Johnson, accompagnato dalla moglie stretta in vestitino viola psichedelico così vistoso da fare invidia ai cappellini della regina.

Ad ognuno che arrivava i due si prodigavano in un saluto col gomitino come si usa fare oggi in tempo di covid tanto scomodo che a guardarlo il premier inglese sembrava da dietro più Raffaella Carrà impegnata in un tuca tuca che un leader che ne riceveva degli altri. Nel complesso l’atmosfera era identica all’arrivo dei naufraghi  buttati giù dagli elicotteri nella prima puntata dell’Isola dei Famosi. Ma sono gusti.

L’atmosfera allegra proseguiva sui molteplici tavoli del buffet, sempre smascherinati, dove però si registrava un posizionamento di Draghi molto più centrale rispetto a Conte. Draghi sempre nel tavolo che contava mentre nel passato Conte non lo mettevano quasi neanche nelle foto ufficiali, relegato all’ultimo posto laterale e, con l’immagine che tutti ricordano, quando si dovette avvicinare alla Merkel e sorprenderla con un baciamano per farsi notare.

Anche la regina Elisabetta sempre splendidamente inossidabile ha raggiunto i governanti dando un tocco di serena ilarità con le solite battute  e producendo un taglio della torta perlomeno bizzarro.

La sovrana ha infatti impugnato una spada e brandendola ha effettuato il taglio del dolce tra i sorrisi compiaciuti ma preoccupati di tutti. Infatti la presa non proprio sicura dell’arma ricordava vagamente la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare e tutti i presenti hanno temuto per il proprio mignolo come il povero vescovo che lo ebbe “tranciato di netto” nel film di Fantozzi. Ma con l’ausilio della pronta Camilla il taglio torta seppur poco marziale è riuscito senza feriti.

Joe e Kamala

Il saluto tra Mario Draghi, e Boris Johnson.

Una vitalità quella della regina novantacinquenne che contrastava molto con l’aplomb rilassato, rilassatissimo, forse troppo  rilassato di Biden. A volte sembrava confuso e spaesato e totalmente indifferente a quanto succedesse intorno. Soprattutto quando nei colloqui bilaterali inforcava gli occhiali Rayban scuri a goccia da top gun nessuno riusciva a capire se ascoltasse o si era appisolato.

Forse era ancora stordito dalle parole della sua vicepresidente Kamala Harris che nel suo recente viaggio in Guatemala aveva stupito tutti con la sua uscita sui migranti che aveva testualmente invitato a “non venire negli Stati Uniti.” Così in contrasto con quanto declamato nella recente campagna elettorale che molti hanno pensato fosse posseduta dallo spirito di Donald Trump, che sul tema, seppur chiaro, non aveva mai usato parole così nette e crude.

Ed in questa atmosfera idilliaca si è celebrato un altro presunto successo, quello del tentativo di un sistema fiscale internazionale che eviti le incongruenze e gli sfruttamenti dei grandi gruppi come Amazon e compagnia cantante che stabiliscano sedi fiscali diverse da quelle operative gabbando così le tasse dei Paesi dove svolgono attività. Tutto bello ma che la prima ad essere soddisfatta con un comunicato su questa misura fosse la stessa Amazon mi ha lasciato perplesso sulla reale efficacia della stessa. Un po’ come se i suini gioissero all’annuncio della festa della porchetta di Ariccia, per dirlo in modo triviale.

Il successo di Mario

Mario Draghi con Joe Biden

Alla fine Draghi ha fatto una buona figura a suo agio e sicuro in quegli ambienti. Ha spiccato l’incontro bilaterale con il presidente americano il cui vero contenuto per ora non è trapelato, affidando il commento ad un banale comunicato che affermava che l’incontro “bilaterale con Biden è andato molto bene“. Aggiungendo che “I due pilastri della politica estera italiana sono l’europeismo e l’atlantismo. Con Biden siamo d’accordo su molti temi: donne, giovani, difesa degli ultimi, diritti umani, civili e sociali. E tutela dell’ambiente che è il tema chiave della nostra presidenza G20“. Diciamo che se aggiungeva lo solidarietà le aveva dette tutte ma va bene così.

Dunque tra proclami e frasi di circostanza finirà anche questo G7, tra molte promesse  pubbliche e tanti discorsi privati, che non è il caso divulgare. Sperando che Biden che, come sappiamo, ha la “bomba facile” si accontenti della nuova guerra fredda e delle schermaglie economiche ed infrastrutturali e non ci faccia piombare in un periodo di crisi e incertezza peggiore dell’attuale.

Nel frattempo “i sovrani del mondo vecchio” hanno celebrato di nuovo il loro rito di potere tra vecchie cerimonie e presunte nuove idee. Certo è che belli belli dopo che ci hanno assillato per mesi con il covid e le sue precauzioni vederli in questa veste distaccata dalla realtà quotidiana e rilassata fa pensare che “loro sono loro e noi non siamo un cazzo” mutuando le parole del Belli pronunciate dalla bocca del Marchese del Grillo.

Giuseppe Gioachino Belli, sonetto n. 362, Li soprani der monno vecchio

C’era una vorta un Re cche ddar palazzo

mannò ffora a li popoli st’editto:

“Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,

sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.

Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:

pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:

Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,

ché la vita e la robba Io ve l’affitto.

Chi abbita a sto monno senza er titolo

o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,

quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!”.

Co st’editto annò er Boja per ccuriero,

interroganno tutti in zur tenore;

e arisposeno tutti: “È vvero, è vvero!”