Il Generale che brucia tra le fiamme di carnevale

Chi era davvero Jean Antoine Etienne Vachier, detto Championnet. La figura storica intorno al quale si snoda tutto il carnevale di Frosinone. La beffa che riportò per un periodo la serenità. Anni violenti: con il massacro di Isola del Liri ed il martirio di Casamari. La conquista di Napoli, l'arresto, il ritorno in campo. Finché...

Fernando Riccardi

Historia magistra vitae

Il Carnevale di Frosinone è conosciuto specialmente per due elementi. Il primo è la “ràdeca, una verde foglia di agave con la cui punta si tocca la testa dei forestieri venuti in città a festeggiare. Si tratta di uno strano rito che si fa risalire assai indietro nel tempo: alle cerimonie che, prima in Grecia e poi a Roma, si celebravano in onore del dio Priapo, simbolo di fecondità.

In tali feste il fallo diventava oggetto di culto ed era utilizzato come monile da portare al collo o al braccio e finiva per diventare un potente amuleto da utilizzare contro l’invidia e il malocchio.

Il secondo elemento è un gigantesco pupazzo di cartapesta, la statua del Generale, che alla fine del periodo carnevalizio viene dato alle fiamme tra lo schiamazzo dei presenti. Ma chi è questo curioso fantoccio vestito con una rutilante uniforme? Si tratta di una fantasiosa invenzione oppure raffigura un personaggio veramente esistito? Per rispondere a queste domande bisogna fare ricorso alla storia e procedere alla riscoperta di vicende che rischiano di perdersi nei sinuosi meandri del tempo passato.

L’abilissimo Jean Antoine Etienne Vachier

Il generale Jean Antoine Étienne Vachier detto Championnet

Quel generale francese, anzi per meglio dire giacobino, è Jean Antoine Etienne Vachier, detto Championnet. È lui che tra il 1798 e il 1799 molto si dette da fare nel versante pontificio del frusinate, la provincia di Campagna e Marittima per l’esattezza. Ma si diede da fare anche in quella porzione di Lazio meridionale incorporata nel Regno di Napoli, ossia l’alta Terra di Lavoro.

Da comandante dell’armata transalpina di Roma, dove era stata proclamata la repubblica dopo aver esautorato il pontefice Pio VI, agli inizi del 1799 Championnet marciò con i suoi uomini alla volta di Napoli. Impadronendosi, quasi senza colpo ferire, del regno borbonico.

Nato a Valence nel 1762 il nostro era un giovane ma valente ufficiale che molto si distinse nel reprimere la rivolta antigiacobina scoppiata nel dipartimento del Circeo nell’estate del 1798. E la stessa cosa fece a Napoli quando impiegò tre giorni per mettere fine alla disperata resistenza dei “lazzari” che si immolarono a migliaia nel disperato tentativo di impedire ai francesi l’accesso nella capitale del Regno (21-23 gennaio 1799).

Il mito sul carro allegorico

Il carnevale di Frosinone

Tornando a Frosinone si racconta che la popolazione, oppressa da tasse e tributi particolarmente onerosi, prese le armi e scacciò la guarnigione transalpina. Durissima la reazione. La città fu saccheggiata e i capi della rivolta fucilati (luglio 1798).

Qualche mese dopo, durante il periodo di Carnevale, i frusinati pensarono di giocare ai francesi un tiro mancino. Inviarono alcuni messi ad Anagni annunciando che la città si era di nuovo ribellata. Championnet allora decise di intervenire in prima persona alla testa del suo esercito. Nel frattempo una grande folla si era riunita sulla strada proveniente da Anagni, alle porte della città, per attendere l’arrivo del generale. E ogni qualvolta si sentiva in lontananza gli zoccoli di un cavallo, la gente gridava a squarciagola: “Esseglie, esseglie…”.

Quando Championnet raggiunse Frosinone fu circondato da un popolo festante che niente aveva di bellicoso. Capì subito di essere stato preso in giro, di essere rimasto vittima di una carnevalata e allora decise di fare buon viso a cattivo gioco, bevendo vino rosso e mangiando i famosi “fini fini” con gli abitanti della città.

Un periodo violento

Il martirio dei cistercensi a Casamari

Il periodo che vide Championnet rimanere nell’Italia centrale tra Roma e Napoli, non fu sicuramente dei migliori per la nostra gente. Anche perché la violenza, spesso gratuita, degli invasori giacobini la fece da padrone.

Basti pensare a ciò che accadde il 13 maggio del 1799 a Isola del Liri quando furono ammazzate ben 537 persone, delle quali 350 si erano ritirate a pregare nella chiesa di San Lorenzo.  O ai sei monaci di santa vita uccisi a sciabolate nell’abbazia di Casamari. Championnet non fu tra gli ufficiali giacobini più violenti e crudeli, anche se quando si trattava di curare gli interessi della madrepatria non era solito andare troppo per il sottile. Il generale, infatti, era un militare tutto di un pezzo che sapeva riconoscere il valore degli avversari. Come quando ebbe parole di sincero elogio per i “lazzari” che si comportarono da eroi al Ponte della Maddalena e a Porta Capuana, a Napoli.

Non era poi di quelli che piegavano la testa davanti a ordini o a direttive che non condivideva. Un carattere forte, insomma, spigoloso, che gli procurò non poche inimicizie. Ecco perché nel febbraio del 1799, pochi giorni dopo il trionfale ingresso a Napoli, fu richiamato dal Direttorio a Parigi per rendere conto del suo operato nella campagna d’Italia.

Arrestato e riabilitato

La tomba del generale Championnet ad Antibes

Giunto in Francia fu tratto in arresto e messo sotto processo. Gli si rimproverava soprattutto di aver consentito la nascita della repubblica in quel di Napoli, cosa che il Direttorio aveva sempre osteggiato. Championnet, però, non era abituato ad arrendersi senza lottare e riuscì in breve tempo a dimostrare la sua estraneità ai reati che gli venivano contestati.

Così, dopo qualche mese, fu inviato di nuovo nella Penisola, a capo della “Armata delle Alpi, per alcuni storici si trattò di un’armata che esisteva solo sulla carta. Jean Antoine Etienne Vachier la dovette creare dal nulla, costituendola, addestrandola e mettendola in condizione di affrontare il nemico: la coalizione austro-russa di Suvaroff. Ci riuscì in soli tre mesi.

Era difficile trovare un generale del valore e dell’ardimento di Championnet. Che, ancora una volta, si batté con grande valore contro i nemici. Le sue truppe però non avevano fatti i conti con un altro tipo di nemico: senza divisa. Furono decimate da una virulenta epidemia di tifo. Il 4 novembre del 1799, a Genola, nei pressi di Cuneo, proprio a causa della decimazione delle truppe, il generale fu duramente sconfitto.

Colpito dal tifo che aveva falcidiato il suo esercito, Championnet morì ad Antibes, in Francia, il 9 gennaio del 1800: aveva soltanto 38 anni. Ecco svelato, dunque, chi rappresenta in realtà quel pupazzo vestito da generale che viene portato in corteo e poi bruciato a Frosinone nella Piazza della Prefettura, nel cuore del centro storico. Un personaggio realmente esistito e non una maschera di Carnevale.