Il Governo “smacchiatore” ma alcune macchie non vanno via

Il decreto contro gli imbrattatori? Bene. Ma già visto. Lo avviò Franceschini da ministro del Governo Gentiloni. Il vero problema però è legato ad altro tipo di macchie

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Metti la macchia, togli la macchia”, all’insegna di questo refrain il governo a guida Giorgia Meloni ha avviato la sua campagna personalissima contro le truppe fanatiche ed incaute di Ultima Generazione. Che per cambiare in meglio il mondo ne vogliono imbruttire i posti di massima bellezza in quanto ad attività umana. È una partita difficile e complicata. Un match strano dove, come sempre accade nelle faccende in predicato di intelligenza, dividersi senza riflettere è da scemi.

Lo sconcio degli imbrattatori

Dario Nardella blocca il manifestante di Ultima Generazione

Preambolo: al di là dei legiferati vedere un giovane talebano che sbraga Palazzo Vecchio con la vernice è roba che grida vendetta. Lo diceva bene Giovannino Guareschi quando parlava del “pitturatore della Madonnina brutta”. Il fustigatore dei trinariciuti infatti non metteva i gesti anti artistici in punta di Diritto ma li considerava uno sconcio in semplice punto di opportunità.

Messa meglio: imbruttire una cosa volutamente è molto di più e viene molto prima di un reato, è una cosa che non si fa. Ovviamente noi che siamo italiani e siamo campioni mondiali di caccia al pelo da qualunque parte si militi ci siamo immediatamente incarogniti su quell’aggettivo: “lavabile”. E qui è scattato il teorema attenuante: se per lanciare un messaggio imbruttisci un’opera ma non per sempre allora la grandezza del messaggio prevale sulla piccineria di quello che hai fatto per lanciarlo.

Insomma, la questione è controversa e lo è almeno quanto è stata controversa la risposta arcigna dell’Esecutivo. Con cosa? Con un decreto che vorrebbe avere il crisma delle novità rigide, del giro di vite da parte di senzienti ed attesi nocchieri. E che invece sembra più il solito specchietto per tenere alta l’attenzione su dove si danno cazzotti. Questo in modo di non far vedere dove invece i cazzotti arrivano e fanno male.

Il decreto della controversia

Giorgia Meloni

Cosa recita il legiferato? Che “Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 20 mila a euro 60 mila“. Letta così sembra una cosa da Stallone-Cobra, una cosa tipo “tu sei la malattia, ma io sono le medicina”. Insomma, un parto netto di un Governo che essendo di destra-centro non fa sconti e scatta l’applauso del cittadino come nei meme di Leonardo Di Caprio sui social sotto i post qualunquisti.

Leggiamo cosa disciplinava il quadro normativo di riferimento da prima con l’articolo 733 del Codice Penale: “Chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda non inferiore a euro 2.065″. Insomma, il sunto è che ora le multe sono più alte e ci sta.

E che alcune procure magari, come quella di Padova, si mettono in scia con la nuova ondata normativa e ti indagano quattro ragazzotti benintenzionati ma in predicato di coglionaggine per associazione a delinquere semplice, roba più da San Giuseppe Iato che da schifame colorato in Barcaccia.

Roba di Gentiloni

Paolo Gentiloni (Foto: Daina Le Lardic via Imagoeconomica)

Quello che ci sta poco invece è il tono di “novità assoluta” e di sterzata auspicata che si è voluto dare alla faccenda. Che un Governo decida di picchiare duro contro chi per un qualunque motivo, etico o neurologico, danneggi proprietà di pregio non solo è giusto, ma è stato già fatto. Nel 2017 e con il governo Gentiloni, non proprio un “mosso de esquadra”, l’allora ministro della Cultura Dario Franceschini mise in agenda di spazzolare gli imbrattatori con una riforma dei reati contro il patrimonio culturale.

Il testo passò alla Camera ma come tutte le cose che si legiferano in un Paese che ha più pit-stop del Gran Premio di Monza poi al Senato non fece in tempo ad arrivarci. E allora perché non porci il problema, al di là del merito, di un Paese in cui ogni nuovo arrivato si mette le medaglie normative del Grande Riformatore contrabbandando un sentire consolidato come novità?

Perché non provare ad incollare i neuroni in modo che non scappino e capire che se fai una battaglia per combattere le macchie è anche perché di macchie da coprire nei hai te per primo, tipo il timing infido di un Pnrr monco in attuazione. O i migranti con cui l’Europa ti ha gabellato ancora una volta?

Il guaio sta tutto là, nel fatto che a volte gli smacchiatori al ristorante, quando il brodetto di pesce ti centra la cravatta buona, non tolgono la macchia. La fanno vedere meglio e più da lontano.

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