Il grande bluff dei rifiuti

I sindaci invocano la legge regionale voluta dal M5S del 2019. Ma quella norma non ha il potere di bloccare le nuove fabbriche per la lavorazione dei rifiuti. Ecco chi invece ha in mano quella possibilità. La necessità del nuovo modello di sviluppo

L’ultimo è stato il progetto per un nuovo impianto di trattamento dei rifiuti che dovrebbe sorgere nel Comune di Patrica. La politica si è subito appropriata della protesta: cavalcando la rabbia della gente. E portandola come al solito verso nulla.

Ha uno scopo ben preciso. Far strillare il più possibile. Ed evitare che gli occhi vadano a guardare nel posto giusto. In questo modo sono stati ottenuto alcuni risultati precisi: la chiusura della discarica di Colleferro che ha portato all’ampliamento di quella a Roccasecca, condannando la Ciociaria al ruolo di cassonetto dell’immondizia romana. (Leggi qui: La nuova montagna dei rifiuti a Roccasecca: ecco tutti i nomi e cognomi). 

Una cosa scomoda va detta subito: è vero che mancano le regole sulla realizzazione dei nuovi impianti nella Valle del Sacco ma è vero anche che i sindaci condividono la responsabilità della mancanza di norme.

I 4 progetti

Stabilimento riciclo carta

Il censimento pubblicato in questi giorni da Il Messaggero riporta correttamente quattro progetti in procedimento di VIA: hanno chiesto il Visto dal quale risulta che gli impianti progettati non impattano sull’ambiente. In più c’è un quinto progetto in procedura di AIA Autorizzazione Integrata Ambientale (l’insieme delle autrorizzazioni) nella sola Patrica.

Tutti i 5 progetti riguardano il trattamento di rifiuti (per una capacità complessiva di circa un milione di tonnellate all’anno) e tutti collocati nell’Area Industriale ASI.

Altri due progetti interessano il territorio del confinante Comune di Frosinone, sempre in area industriale. (leggi qui No a nuovi impianti rifiuti nella Valle del Sacco, Pompeo scrive a Zingaretti).

Per completezza va fatta una distinzione: per la normativa non è solo l’immondizia ad essere considerato ‘rifiutoma tutto ciò che è stato usato, anche la carta da giornale o il vetro che devono essere riciclati vengono classificati come rifiuto.

Il ruolo dei sindaci

I sindaci © Livio Anticoli / Imagoeconomica

Tra i sindaci, molti si sono concentrati sul loro orticello. Hanno completamente ignorato le questioni ambientali nella parte meridionale della Provincia. Non si sono interessati alle ricadute negative del nuovo Piano di Gestione dei Rifiuti. Ora tentano di vietare la realizzazione delle nuove strutture chiedendo di applicare la Legge Regionale n.13/2019, approvata nel Luglio 2019 su proposta del Consigliere Regionale del M5S Marco Cacciatore.

In realtà però la Legge Regionale n.13 del 2019 disciplina le “aree ad elevato rischio di crisi ambientale”. E non impone alcun “automatico” divieto di realizzazione sul territorio di impianti di trattamento o gestione dei rifiuti.

Infatti, perché tale divieto possa scattare debbono verificarsi alcune condizioni e presupposti: 

  • la perimetrazione dell’area ad elevato rischio ambientale: ma la Regione Lazio non l’ha mai redatta ed approvato;
  • l’accertamento della sussistenza della grave alterazione degli equilibri ambientali (nell’area del SIN Valle del Sacco questo presupposto esiste ed è accertato, mentre nelle altre zone non è certificato dagli enti);
  • l’approvazione del Piano di Risanamento previsto dall’Articolo 3 dell legge, anch’esso mai adottato né approvato dalla Regione;
  • la valutazione e accertamento sul rischio di aggravamento dello stato ambientale per effetto della realizzazione della nuova attività o del nuovo impianto (Per gli amanti dei codicilli vedasi l’articolo 2 comma 1, lettera a; l’articolo 5 comma 1, lettera c, della Legge Regionale 13/2019).

Ci pensa la Regione

La sede della Giunta Regionale del Lazio Foto © Stefano Petroni

La “valutazione e accertamento sul rischio di aggravamento dello stato ambientaleviene fatta dalla Regione Lazio. Lo prevede l’iter dell’obbligatorio procedimento di VIA Valutazione Impatto Ambientale già stabilito dalla legge (Testo Unico Ambiente, DLgs.vo 152/2006). 

Ne consegue che sono gli Uffici Regionali (con la Via) a stabilire se l’impianto progettato sia compatibile con lo stato dell’area interessata e non la Legge Regionale n.13/2019. La quale non dispone alcun divieto per i nuovi impianti per il solo fatto dell’esistenza dell’area di crisi ambientale. Il testo Cacciatore non attua una tutela più stringente rispetto a quella già prevista dalla normativa vigente.

Non solo. Con la Delibera di Giunta n.132 del 27 febbraio 2018 la Regione Lazio ha stabilito le regole del procedimento di VIA. Si conclude con un provvedimento chiamato Provvedimento Autorizzativo Unico Regionale – PAUR: contiene tutte le autorizzazioni necessarie alla realizzazione ed all’esercizio dei nuovi impianti, non solo quelli di trattamento di rifiuti.

Perciò, quando il progetto supera lo scrutino della VIA è di conseguenza dichiarato compatibile con l’area di crisi ambientale. E l’autorizzazione sarà rilasciata dal Dirigente dell’amministrazione regionale, il quale non può che applicare le regole oggi esistenti. Incluse quelle scritte dal Consiglio e dalla Giunta Regionale, dai sindaci e dai loro Consigli Comunali.

Oggi la Legge Regionale n.13/2019 è del tutto inutile per impedire la collocazione di nuovi impianti nella Valle del Sacco.

La mano dei sindaci

I vecchi Tmb per la lavorazione dei rifiuti

La mancanza di una norma che vieti – o meglio regoli – la realizzazione di impianti di trattamento di rifiuti è anche responsabilità degli stessi sindaci che oggi protestano.

Tutti i progetti collocano i nuovi impianti all’interno delle aree industriali del Consorzio ASI di Frosinone. È logico che sia così: sono appunto destinati ad accogliere le attività produttive ed industriali. I Consorzi delle Aree di Sviluppo ed il loro perimetro sono state costituite ed approvate con questo fine.

Il Consorzio ASI di Frosinone è un ente pubblico del quale fanno parte, fra gli altri Comuni, anche quelli di Patrica, di Frosinone, di Ferentino, di Morolo e di Supino.

Perciò, le regole per l’insediamento delle attività produttive ed industriali nelle aree di competenza del Consorzio sono state scritte ed approvate anche dai Sindaci di quei Comuni.

Le norme sono contenute nel PTR Piano Territoriale Regolatore ASI. All’Articolo 8 sono stabilite le tipologie di attività che possono essere collocate all’interno del perimetro dell’ASI. Vengono individuate attraverso i famigerati codici ATECO: sono i codici diventati famosi nel periodo di riapertura dal lockdown e che classificano tutti i tipi di attività produttiva.

Ora, nell’elenco delle attività che possono insediarsi nell’ASI sono inclusi gli impianti di trattamento dei rifiuti.

Pertanto, le amministrazioni comunali i cui Sindaci oggi protestano, sono le stesse che -in qualità soci del Consorzio ASI- hanno stabilito che quella tipologia di impianti può esercitare la sua attività all’interno dell’Area di Sviluppo Industriale. In sostanza, i Comuni hanno scritto la regola -che gli Uffici dell’ASI e gli Uffici regionali non possono violare né disattendere- secondo la quale sono legittime le autorizzazioni agli impianti di trattamento dei rifiuti che si collocano nel perimetro dell’ASI.

C’è una logica

Il presidente dell’Asi Francesco De Angelis

C’è una logica in quella scelta. Oggi le materie prime disponibili sulla Terra non bastano per soddisfare le esigenze di tutti. Riusciamo ad andare avanti perché stiamo smettendo di interrare ed iniziamo ad dare un secondo ciclo di vita ai materiali: recuperiamo la carta, il vetro, la plastica, i metalli e ne ricaviamo nuova plastica, vetro, metalli. Stessa cosa accade con gli olii e con tante altre materie.

Tutti quegli impianti vengono classificati come stabilimenti che lavorano i rifiuti.

Sono il vero business dei prossimi anni. Molte mafie li odiano perché per loro è più facile ed economico smaltire in maniera illegale.

Ma è chiaro a questo punto che non è quella la regola da invocare se si vogliono fermare gli stabilimenti. Se si vuole porre un freno al proliferare di impianti votati alla gestione dei rifiuti, quella regola va cambiata: scrivendo qiali tipi di impianti ci possono stare e quali no. Sono i Comuni ed i loro Sindaci che possono farlo, non altri soggetti. Sono le amministrazioni comunali che, nel ruolo di soci dell’ASI, possono assumersi la responsabilità e l’onere di attuare -nel concreto- le misure di salvaguardia del territorio che ritengono maggiori di quelle già esistenti.

Sempre che lo vogliano

Nel Marzo del 2017 (più di tre anni fa), l’associazione ambientalista Civis di Ferentino aveva previsto che “nei prossimi anni, per sopperire al deficit impiantistico dell’area di Roma, il territorio della Valle del Sacco diventerà il bacino d’elezione per la collocazione di nuovi impianti con più elevato impatto ambientale”.

Ai sindaci della Valle del Sacco l’associazione allora chiese di predisporre ed attuare una moratoria che vietasse la collocazione di alcune tipologie (non tutte) di impianti di trattamento di rifiuti. In pratica tenendo fuori quelli davvero inquinanti, lasciando dentro quelli che potevano essere utili al risanamento del territorio.

Perché, sembrerà strano, alcuni di quegli impianti sono in grado di risanare. È il caso della filiera della fitodepurazione: piante e coltivazioni che bonificano la terra e poi lavorate possono diventare imballaggi (con cui sostituire la plastica) o componenti per la bio edilizia.

La moratoria aveva lo scopo di bloccare gli impianti i cui impatti potevano aggravare lo stato ambientale del territorio. Moratoria la cui durata era limitata al tempo necessario per realizzare gli interventi di risanamento ambientale: ad esempio le bonifiche del SIN Bacino del fiume Sacco.

Alcuni Comuni, fra i quali Ferentino (sindaco Antonio Pompeo) e Patrica (sindaco Lucio Fiordalisio), approvarono delle delibere d’indirizzo. Si impegnavano ad attuare la moratoria. Che però avrebbe dovuto essere concretizzata con modifiche dei Piani Regolatori Comunali, con interventi sul Piano Territoriale dell’ASI, con interventi e modifiche sulle normative regionali che imponessero una più stringente tutela ambientale.

Invece, dopo aver rivendicato l’iniziativa sul piano politico, le Giunte dei Comuni ritennero che non andasse fatto altro e fosse sufficiente l’approvazione del testo.

Un nuovo modello di sviluppo

Foto © Christian Reimer

Cambiare le regole per attuare una più incisiva tutela ambientale, non è sufficiente. Non basta per risanare il nostro territorio: ci vogliono idee e gambe per un nuovo modello di sviluppo economico e sociale.

Ad esempio, messa da parte ogni demagogia, bisogna distinguere fra le varie tipologie di impianti di gestione dei rifiuti; quelli votati al recupero e riciclo delle frazioni della raccolta differenziata (carta, vetro, plastica ecc.) sono indispensabili per diminuire il ricorso alle discariche.

Così come l’insediamento di iniziative produttive basate sui principi dell’economia circolare, deve essere favorito rispetto alle attività che invece si rifanno ai vecchi modelli di sviluppo.

Indirizzare e sostenere gli investimenti delle imprese verso le attività della green economy, favorisce il loro insediamento sul territorio. Così che nelle aree industriali gli spazi liberi siano occupati da queste e non dagli impianti con più alto rischio d’impatto ambientale. All’interno dell’ASI sono troppi i lotti dismessi e non riutilizzati da imprese ed attività che assicurano maggiore sostenibilità ambientale. 

I sindaci, nel ruolo di soci del Consorzio ASI, ben potrebbero attuare iniziative di questo genere. Invece, ogni volta che si tenta di promuovere l’economia circolare si alzano barricate ideologiche e politiche.

Un’agenda per l’Ambiente

La Valle del Sacco

Ogni volta che si sollecitano le bonifiche della Valle del Sacco, il risanamento idrogeologico e della qualità dell’aria – che sono attività capaci di far crescere la ricchezza del territorio – arrivano le strumentalizzazioni. E con loro i proclami, le roboanti dichiarazioni d’intenti a cui segue l’immancabile vuoto di contenuti e risultati conseguiti.

Ogni volta che si propone un’organizzazione diversa del territorio, più moderna ed efficiente come il Grande Capoluogo, scatta la tagliola del campanilismo e della difesa del proprio orticello. Nemmeno l’emergenza COVID-19 riesce a risvegliare dal torpore la politica. Quella politica che deve indicare gli indirizzi per il futuro, deve ideare, promuovere e attuare una strategia di sviluppo del territorio compatibile con il risanamento ambientale.

Non basta la sola TAV, che pure è un segnale positivo.