Il ministro e quell’amico comunista

C'è una politica che va oltre l'ideale e non nega il rispetto. Come nel caso di del comunista Titta Giorgi che quando stava in Regione passava a prendere sempre il fascista Sese Caldarini. In aula si combattevano, ma la strada la condividevano

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Una campagna elettorale scialba: un poco come una minestra senza sale. Le fazioni tifavano. E non distinguono più i fronti e la linea in mezzo che è neutrale. Tanto che in un incontro pubblico dove facevo domande (che poi è il mio mestiere), per farsi vedere dal capo hanno inveito dandomi dell’infame. Civiltà perdute, educazioni mai avute.

Ma in questo confusionario stato dell’arte sono un inguaribile positivo e cerco sempre il meglio anche nel niente.

L’amico comunista

Titta Giorgi

Mi raccontano del ministro Andrea Abodi che in una manifestazione elettorale per Matilde Celentano candidata sindaco dal centrodestra unito ricorda che ha qui un amico. Si, un amico. E amico che stima come si stimano gli amici.

Lui è di Fratelli d’Italia. E l’amico? L’amico non è uno qualsiasi: è il capo nobile dei comunisti pontini, Titta Giorgi. Il capo non dei comunisti di ora che seguono i colori ma di quelli con le camice di fustagno e che per lo giusto se facevano accide.

Lo elogia parlando un linguaggio che capisce chi fa politica da bambino, che non l’ha incontrata dopo ma perseguita sempre. Del resto Titta quando stava in Regione passava a prendere sempre Sese Caldarini con la macchina e Sese era di Alleanza Nazionale. In aula si combattevano, ma la strada la condividevano.

L’ideale non nega il rispetto

Esiste una politica il cui rigore ideale non nega l’umano rispetto. Giovannino Guareschi lo spiega in quando Peppone riceva l’ordine della sua vecchia maestra di essere sepolta con la sua bandiera. Non riesce l’omone a dire no alla minuta maestra che venerava per via del fatto che gli aveva donato il saper leggere, scrivere e fare di conto. Ma la bandiera della maestra era quella del Re. Peppone sottopone la richiesta al consiglio comunale, tutti votano contro… Mai la bandiera della reazione.

Peppone tira le somme: la democrazia ha deciso mai quella bandiera per le nostre strade. Poi si ferma, si gonfia e dice solenne: ma qui comandano i comunisti e i comunisti dicono che ciascuno deve portare la sua bandiera. La scena successiva è Peppone con il fazzoletto rosso che regge la bara con la bandiera del Re e piange.

Questa è la politica che ha bisogno di uomini rigidi come fusi nei principi ma che capiscono e sono capaci di amore.

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