Il mio universo scintillante e silenzioso (Il caffè di Monia)

Un caffè con lo sguardo fisso nel nulla. Lasciando che il pensiero vaghi. Perché la domenica mattina prevede il diritto di lasciare in libertà la mente

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Nel filmino che mi ha fatto vedere, mia figlia aveva un vestito blu, i capelli raccolti in due codine corte, le scarpine rosse, quelle con occhietti e la fibbia. Correva e si mangiava  la manina mentre sua nonna le indicava la cinepresa e nello sfondo c’era una vecchia che portava affaticata la sua spesa. 

Nel filmino, teneva stretti in mano Tartaruga e Cilindretto. Tartaruga era un animaluccio di pezza verde a forma di anello. Aveva la faccia rotonda e un sonaglino nella testa. Cilindretto era una specie di tamburello di tessuto imbottito che all’interno aveva una campanella che tintinnava armoniosamente. Tartaruga e Cilindretto erano i giocattoli preferiti di mia figlia. Quando glieli portavo lei li guardava con i suoi occhi di tempesta e fremeva tutta. Stendeva le mani, cercava di afferrarli, li metteva in bocca ed emetteva acutissime grida di gioia.

Mi chiedevo spesso cosa ci trovasse mia figlia in Tartaruga e Cilindretto. Ora ho capito che il senso della perdita dell’innocenza era tutto in quell’unica domanda.

Ho guardato negli occhi mia figlia circa dieci anni prima che nascesse. Ero al mare in una notte di autunno. Pioveva forte e il cielo era coperto di nubi scure. Ogni tanto il vento feroce apriva uno squarcio tra le nuvole e lasciava vedere il cielo blu severo screziato dalla luce della luna piena.

L’altro giorno, mi ha guardata dritto negli occhi. Ho rivisto lo stesso cielo e ho sentito, per un attimo, il vento freddo lasciarmi un brivido salmastro sulla pelle.

Quel giorno, l’avevo portata al mare. Aveva messo  i capelli nella cuffietta e il suo viso era sembrato tornare quello di quando la dovevo addormentare, ondeggiando nel buio delle notti più belle che io abbia mai vissuto.
Quel giorno al mare, non voleva che le stessi  vicino e preferiva saltellare, immergersi e galleggiare in una specie di danza che non aveva nulla a che fare col nuoto, ma sembrava sfiorare l’acqua con grazia, quasi consapevole della grande bellezza di cui era messaggera. Io provavo a convincerla  ad uscire, per questo cercavo la mia piccola e, indifferente alle sue proteste, la indossavo congiungendola all’alveo naturale del mio petto.

Ma lei, il cui corpo era stato forgiato per aderire perfettamente al mio, scappava via con piccole grida e grandi spruzzi dietro i quali perdevo di vista il suo costumino azzurro, la cuffietta rossa e i suoi occhi scintillanti.
Era un ferragosto di troppi anni fa mi pare, sí doveva essere quel giorno di ferragosto. Il colore del cielo era quello dei disegni di bambina, sfumature di tenerezza di giovani amanti. Di sensualità di animale selvatico che si lascia accarezzare. Inspiegabile come la certezza di essere perfettamente felice senza averne un perché e senza volerlo scoprire

Il filmino continua a girare. Ora, qui dalla finestra aperta, i grilli risuonano in un’espirazione senza fine. Nel silenzio della sera, le tende si gonfiano appena. La mia gatta accanto a me sul letto somiglia ad una piccola nuvola grigia sul mare. Un paese sulla collina si accende in un tremore di brace; viene da lì un calore di pane scuro appena cotto: origine delle razze, profumo di sacramento.

Ogni cosa galleggia lieve e come estinta. Respiro cosmico. Tutto è pulsare, divenire e sogno; ogni cosa prende forma e consistenza. Persino l’ombra fa la sua parte. E nel cielo, dietro il palcoscenico di azzurro scuro illuminato ancora dal poco sole radente, mute e silenziose, ci sono cento milioni di stelle in attesa che il sipario si levi e inizi lo spettacolo della notte.

Scrivo e dimentico ciò che ho scritto, lascio che il mio pensiero vaghi e raggiunga chi lo raccoglie