Il Pd medita sulla sconfitta: Regionali per la rivincita

La Direzione Pd analizza il voto. E fa autocritica. "L'ombra del populismo è figlia del nostro elitarismo". L'appello all'apertura. Il rischio di soluzione schizofreniche. La rotta di Orfini e di Astorre

Andrea Apruzzese

Inter sidera versor

Un Partito che dialoga, che dibatte, anche duramente. Senza lesinare critiche al proprio interno su quella che, a tutti gli effetti è stata una sconfitta politica a livello nazionale. Sulla quale ora occorre riflettere, prima che sia troppo tardi: ovvero, prima delle elezioni Regionali del Lazio.

In attesa delle dimissioni del governatore Nicola ZIngaretti, eletto deputato, dalle quali decorreranno i 90 giorni per tenere il voto, Latina intanto non ha perso tempo: quella del Pd pontino è tra le prime assemblee provinciali dopo il voto del 25 settembre. Della serie: noi non aspettiamo il nazionale, noi ragioniamo anche prima. Una decisione che potrebbe valere anche per le scelte regionali.

L’ora dei ‘mea culpa’

Omar Sarubbo

A dominare il dibattito sono stati i mea culpa, le critiche incrociate, la voglia di far sentire il proprio dissenso. Il tutto tra urla e silenzi rumorosi. Alla presenza dell’ex presidente nazionale Matteo Orfini ora eletto deputato nel collegio Latina – Frosinone. E del segretario regionale Bruno Astorre.

Sullo sfondo, il “campo largo“, un freddo convitato di pietra citato più con timore che con reverenza. E invece potrebbe essere la soluzione, replicando il modello attuale di governo regionale.

Attacca il segretario provinciale, Omar Sarubbo: «Abbiamo pagato l’assenza di una coalizione. Abbiamo pagato la carenza di una capacità di rappresentare, dentro cui sta la forza trainante del voto. Farà anche bene un Congresso Nazionale, ma occorre capire in che finestra temporale vada a inserirsi, dato che ci sono Regioni e Comuni al voto. E le Regionali sono per noi ancora più importanti delle politiche: o certificano il vento della destra senza centro, o riusciamo a costruire un argine, e a tornare a un voto più territoriale». E invita all’apertura, a un Partito che «non sia un luogo chiuso».

C’è bisogno di identità

Poi, un insieme di interventi a tratti anche duri. Da quello di Franco Mansutti (già dirigente Regionale e provinciale) che denuncia come «molti sono rimasti a braccia conserte, in campagna elettorale, ora occorre cambiare passo». A quello di Francesco Scacchetti segretario del Pd di Roccagorga che chiede di «usare questo momento per ricostruire un pensiero che ci proietti nel futuro».

L’ex presidente della Provincia, nonché ex sindaco di Pontinia, Carlo medici, punta sul «bisogno di identità e di unità, dato che non c’è stata uniformità di azione». Mentre l’ex capogruppo in Consiglio comunale, Giorgio De Marchis, lamenta che «ormai non siamo più in grado di generare emozioni». Ancora più duro il segretario comunale del capoluogo, Leonardo Majocchi: «Il fatto che non abbiamo capito che tutto ciò che si muoveva intorno a noi, anche le disuguaglianze, questo approccio, dimostra che l’ombra del populismo non è figlia altro che del nostro elitarismo».

Rischio schizofrenia

Bruno Astorre

A tutti, il Segretario Regionale Bruno Astorre ha ribattuto con la necessità della centralità dei territori, anche rispetto alle linee della direzione nazionale.

«Ho sentito cose schizofreniche sulle Regionali: non alleiamoci ma non possiamo perdere. Ma come possiamo dire che il campo largo sia un’accozzaglia, se sono anni che governiamo da Azione ai Cinquestelle? E lo facciamo perché ci concentriamo sulle cose da fare per la Regione».

Astorre mette in evidenza un dato: i numeri dicono che la Regione è contendibile se il mondo Progressista è capace di restare unito come ha fatto in questi ultimi cinque anni alla Regione Lazio. Ma unito non sui numeri bensì sui progetti: che sono stati il vero collante di questa legislatura regionale. «Ce la giochiamo, se riusciamo a costruire un campo largo uguale a quello della Regione Lazio. Se ci concentriamo sui temi regionali, possiamo costruire un’alleanza, cui poi vanno dati passione e sentimento. Se tutta la classe dirigente del Lazio capisce che il campo largo può essere il modello, potremmo prenderci la rivincita sulle elezioni politiche».

Il tema dei candidati

Matteo Orfini

Da Roma arrivano segnali poco confortanti. Carlo Calenda continua ad imporre una scelta al Pd: o con lui o con Conte. Dal Quartier Generale del M5S l’ex premier Giuseppe Conte è tentato dalla corsa in solitaria nella convinzione (in questo accomunato a Calenda) di poter poi dare l’assalto alle macerie del Pd. (Leggi qui: Regionali, il ‘modello Lazio’ si complica: M5S pensa di andare da solo).

Per Bruno Astorre sono solo i normali segnali che caratterizzano l’avvio di ogni discussione ed ogni confronto: si parte da lontano per avvicinarsi.

A questo proposito, c’è anche il tema di chi sarà ad avvicinare i territori al centro. Tradotto: chi saranno i candidati nella lista del Pd. «Sei candidature dalla provincia di Latina ci possono essere. Poi ci sono anche le altre liste: c’è la possibilità della rappresentanza». Ma il Pd, prima, deve fare una cosa: «Dobbiamo recuperare politicamente un elettorato che ci ha abbandonato, con messaggi che siano pochi, ma chiari». Perché «forse noi diciamo troppo, e anche cose che non entusiasmano».

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