Il penultimatum. Un grande classico della politica.

La saggezza corrosiva di Andreotti. Sprecata in scenari come quelli di oggi. Dove si va avanti a colpi di penultimatum

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Da ragazzo non lo avrei mai pensato ma, durante la mia vita pubblica, mi sono poi reso conto che il politico che ho citato di più, indipendentemente dalla mia estrazione culturale è stato Andreotti. Il divo Giulio per gli amici e forse anche per i detrattori.

Insomma oscillando con piacere tra letteratura futurista  e nietzschiana declamavo ogni volta ne avessi l’occasione “Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!” per poi rincarare la dose con “bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”.

Suonavano così affascinanti e dense di significato, me ne innamoravo ogni volte le pronunciassi e sentissi. Ma quando dalla teoria passai alla pratica dovetti ricorrere a qualcosa di più comprensibile, immediato, fruibile. Ed allora saccheggiavo a piene mani le battute del divo Giulio.

Quelle che ho usato di più certamente sono due.

In minoranza non ci vai, ti ci mettono”. Buttale ma efficace.

E “le dimissioni non si annunciano. Si danno”. Sagacemente realistica.

Entrambe le ho sempre ricondotte nel più vasto mondo dei “penultimatum”, che sono da sempre un grande classico della politica.

Il penultimatum

Giuseppe Conte e Beppe Grillo (Foto: Paolo Cerroni / Imagoeconomica)

Tanto in voga come termine che qualche anno fa la Treccani lo ha inserito nel dizionario con la definizione “Nel linguaggio giornalistico, con riferimento alle relazioni o alle trattative tra forze o esponenti politici, una minaccia di ultimatum fatta per ottenere in cambio qualche vantaggio o concessione”.

In genere sono una manifestazione concreta di debolezza. Un tentativo di raggiungere determinati obiettivi che non riesci ad ottenere con le forze a disposizione in quel momento.

Oggi sono molto più numerosi i penultimatum che i veri e propri ultimatum. Sono sempre strumentali ed un po’ banali, non come i veri ultimatum che in se hanno qualcosa di virile, decisivo, che mettono in gioco un vero rischio e la possibilità di perdere qualcosa.

Questa settimana è stato un florilegio di penultimatum. Lo scontro Conte Grillo ad esempio è l’apoteosi del penultimatum. E nonostante ne abbia parlato copiosamente nelle scorse settimana anche in questa non resisto a citarli perché la telenovela è troppo divertente ed avvincente e forse a questo punto anche un tocco ridicola. (Leggi qui Grillo, Conte ed i politici con la sindrome rancorosa del beneficato).

Reggetemi sennò lo ammazzo

Il presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte

Mi ha fatto tornare in mente un aneddoto che raccontavano sempre i vecchi democristiani di sezione di un dirigente che arrivato a notte fonda ad uno scontro durissimo con un collega di Partito esasperato si alza ed urla scagliandosi verso l’altro “Reggetemi sennò lo ammazzo” ma visto che nessuno si era prodotto nel gesto di tenerlo, indeciso, si gira verso i suoi e dice “Non mi reggete? Ma allora siete dei delinquenti volete che lo ammazzo” facendo finire lo scontro in burletta. Così mi sembrano Grillo e Conte in questi giorni.

È vero ha iniziato Conte con una conferenza stampa surreale su facebook dando il primo penultimatum a Grillo, chiedendo se fosse un padre generoso o un padre padrone, con l’aria sagace di chi pensa di avere assestato un colpo ferale mettendo l’avversario alle corde. 

Una conferenza in cui si autocitava un centinaio di volte e parlava di se alla terza persona. E come mi insegnò un grande maestro: diffida sempre di chi parla di se alla terza persona.

Per nulla intimorito Grillo però gli ha riassestato una bordata niente male definendolo sul suo blog uno che i problemi “non potrà risolverli perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione“.

Che tutti ci siamo chiesti: ma come, ce lo hai spacciato per due anni come l’uomo della provvidenza in grado di guidare l’Italia meglio di chiunque altro e poi lo descrivi come un ebete?

Di penultimatum in penultimatum

Giuseppe Conte in tenuta da tennis

E comunque, pur picchiando, lascia tutto su un nuovo penultimatum, non dicendo chiaramente che se ne debba andare.

Allora Conte risponde con un paio di interviste “finto volanti” ma ovviamente telefonatissime. Prima sullo sportello dell’auto blu in impeccabile completo, dove ventila la creazione di un nuovo Partito, affermando “il mio progetto non resterà in un cassetto” (altro penultimatum).

Poi in tenuta da tennis, con tanto di borsone, sempre intento ad uscire dall’onnipresente auto blu. Una scena che ha imposto un paio di domande. La prima è se sia normale che il forse segretario ed ex premier del Partito più anticasta al mondo, almeno a parole, vada in bella mostra a giocare a tennis utilizzando l’auto blu che prima tanto deprecavano e demonizzavano. La seconda più faceta. Ma voi lo avete mai visto uno che va a giocare e parte già vestito da tennis in calzoncini e canotta, gioca, verosimilmente, e poi ritorna sempre con la stessa tenuta, presumibilmente stropicciato e sudaticcio?

Sarebbe da chiedere alla povera scorta se, oltre al fragrante aroma del sacro sudore del leader, abbia lasciato anche lo stampo del suo nobile corpo sul sedile, modello sacra sindone. Per le bimbe di Conte più feticiste potrebbe essere una scoperta sensazionale. Comunque qualcuno lo informi dell’invenzione degli spogliatoi per il bene dell’ Italia intera.

Il nocciolo è in un ‘anche

Giuseppe Conte

Ecco è in queste interviste che Conte dà il meglio di se producendo una dichiarazione che suona letteralmente così: “la mia proposta politica è utile anche per il paese”.

Ed in quell’ “anche” c’è tutto il nocciolo della vicenda: a chi altri dovrebbe essere utile la costituzione di un Partito, anche e soprattutto a se stesso intendeva? È così che, producendosi nel più grande lapsus freudiano della settimana, Conte chiude il ciclo dei penultimatum lasciando poi il passo in questi giorni ai mediatori che, dopo tante finte minacce, si mettono al lavoro al grido di “volemose bene (sennò siamo tutti rovinati).

Sarebbe stato felice nell’ascoltarlo Freud che classificava i lapsus tra gli “atti mancati”, e quale atto è più mancante di un ultimatum a vuoto. E non a caso il testo su cui apparve per la prima volta era “psicopatologia della vita quotidiana”, che sarebbe un titolo perfetto di questa settimana politica direi.

Quel campione di Matteo Renzi

Ovviamente i nostri amici non sono gli unici a prodursi in queste spericolate evoluzioni la vita politica ne è piena tutti i giorni. Renzi ad esempio ne è un campione assoluto. Con una variante specifica però, che ogni tanto un colpo lo assesta, e ne sa qualcosa Conte. Ma quando colpisce spesso lo fa alla chetichella, non lo annuncia. Ed in queste settimane lui ed i suoi hanno un solo messaggio da distribuire. Avete visto che abbiamo fatto bene a sostituirlo con Draghi? Approfittando del pessimo spettacolo che l’ex avvocato del popolo, ormai ridotto ad avvocato di se stesso, sta mostrando.

Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica

Ce li ricordiamo tutti  i “cacceremo Benetton da autostrade”, “no alla tav”, “no al gasdotto in Puglia”, e tanti altri tutti scolpiti nella pietra degli annales dei penultimatum. Come i mai con Berlusconi o con Salvini del Pd, e viceversa, ed i mai con altri Partiti dei grillini. Ormai tutti patrimonio mondiale dei penultimatum.

Ed allora con rinnovato spirito critico ed ispirato da tali vicende sono andato a ritirare fuori dalla mia libreria “Sommario di decomposizione” il capolavoro di Emil Cioran. Un libro di aforismi, di varia lunghezza, dove Cioran invero affronta argomenti differenti, ma quanto mai attuale.

Ci parla della leggerezza, da non confondere con la stupidità, come arma per sopravvivere, e in ciò mi ha ricordato sempre, così come in altri brani, Nietzsche e il suo concetto di maschera. Ma soprattutto si scaglia contro qualsiasi tipo di fanatismo, tessendo le lodi degli antiprofeti e degli scettici, ammonendoci sul fatto che anche il più scettico, però, è pur sempre affetto da una forma di fanatismo non meno pericolosa, cioè quella verso se stesso

Fanatismo verso se stesso

Ecco il fanatismo verso se stesso è la chiave di tutte queste vicende, di chi annuncia il “mio” progetto politico e non il “nostro”, di chi parla di se citandosi ed alla terza persona e di chi ha fatto del culto dell’immagine il sostituto dei contenuti politici.

Tanto che oggi per minacciare di fondare un Partito basta avere una buona immagine, preconfezionarsi sondaggi entusiastici ed ottenere l’appoggio di alcuni media mainstream. Non serve avere un programma serio e vero o essersi già misurato col consenso popolare.

Mario Monti

È la stessa storia che abbiamo visto prima con Mario Segni, riluttante al Partito e poi scomparso, di Lamberto Dini prima e di Mario Monti poi, invece fondatori di Partiti comunque rapidamente scomparsi.

Modelli perfetti da inserire in un “sommario di decomposizione” alla maniera di Cioran.

E fossi Conte questi esempi me li andrei a riguardare e come il vecchio democristiano gli consiglierei di chiedere ai suoi peones : “reggetemi sennò succede un macello”.

In fondo l’ennesimo penultimatum non si nega mai a nessuno. Figuriamoci ad uno che parla uscendo da un auto blu vestito da tennis.

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