Il Pesce d’oro e la burocrazia infinita. I giudici: “Mettetevi d’accordo”

La storia infinita della trattoria Pesce d'Oro. Che da anni è al centro di un contenzioso infinito. Autorizzazioni negate, rilasciate, ridiscusse. Un rimpallo tra Comune, Tar e Consiglio di Stato. Che ora ha ribaltato ancora una volta la situazione

Andrea Apruzzese

Inter sidera versor

Il “Pesce d’oro” può e deve essere ristrutturato. Comune di Latina ed Ente Parco Nazionale del Circeo sono tenuti a rivalutare l’istanza dei titolari. È forse l’ennesima puntata, di una storia lunga decenni, il cui ultimo capitolo prende le mosse nel 1999.

Siamo a Rio Martino, sul lungomare di Latina, lungo il canale una cui sponda segna il termine del territorio comunale del capoluogo e l’altra sponda segna l’inizio di quello di Sabaudia. Appena all’inizio della duna, proprio in corrispondenza delle bocche di porto, immerso tra cielo e mare, da più di mezzo secolo sorge un immobile, un tempo ristorante, oggi fatiscente rudere abbandonato.

È al centro di una battaglia a suon di carte bollate, ricorsi, autorizzazioni, abusi presunti e sanatorie concesse. Conferenze di servizi avviate e terminate negativamente, l’ultima delle quali pochi mesi fa.

L’emblema della burocrazia

Il rudere del Pesce d’Oro

Quella del Pesce d’oro” appare come una vicenda simbolo della burocrazia italiana.

Fu una delle realtà di ristorazione più rinomate negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Nel 1999 fu nuovamente assentita la concessione demaniale marittima per l’immobile: come bar ristorante. Dopo dieci anni il 2 ottobre 2009 fu emessa dal Comune concessione edilizia in sanatoria (per sanare opere abusive del precedente concessionario), per l’adeguamento statico del fabbricato. Infine il 30 settembre 2010 arriva il permesso a costruire. Prevedeva interventi di ristrutturazione dell’immobile, per renderlo idoneo allo svolgimento dell’attività di somministrazione.

Lavori che iniziano e si fermano subito. Perché? In contemporanea partono quelli per la ricostruzione del porto canale di Rio Martino e del piazzale antistante il ristorante. Il Comune sospende anche la ristrutturazione, ritenendo che dovesse essere preceduta dall’adeguamento statico. Nel 2016 arriva la nuova concessione demaniale marittima e nel 2017 viene richiesta la proroga della concessione edilizia per l’adeguamento.

Su cui però l’amministrazione, secondo i proprietari, non si pronunciò. Da qui, i ricorsi.

Il Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato (Foto: Vincenzo Livieri © Imagoeconomica)

Ora il Consiglio di Stato si è pronunciato sull’ultimo appello presentato dai titolari. Lo hanno presentato chiedendo di riformare la decisione del Tar di Latina dell’aprile scorso.

In quella data, il Tar aveva rigettato il ricorso dei proprietari contro la pronuncia del Parco del gennaio 2022: confermava il parere favorevole con prescrizioni dell’ex Azienda di Stato per le Foreste Demaniali del 1999 sul progetto di ristrutturazione edilizia sulla sola porzione originaria dell’immobile.

Secondo il Tar, infatti, «al sommario esame che è proprio della presente fase di giudizio, la domanda di tutela cautelare non è favorevolmente scrutinabile per carenza del requisito del periculum in mora, atteso che, alla luce della relazione tecnica depositata dalla stessa parte ricorrente, l’immobile di cui è causa si trova già in una situazione di irreversibile degrado, posto che la sua struttura “necessita di una ristrutturazione totale poiché non recuperabile sotto il profilo della manutenzione straordinaria poiché ormai compromessa da troppo tempo”».

Traduzione dal linguaggio tecnico. Non c’è il rischio che tardando il giudizio si venga a creare una danno per la struttura: è talmente malmessa che può solo essere abbattuta e ricostruita.

Tutto ribaltato

Foto: Carlo Carino / Imagoeconomica

Ora però il Consiglio di Stato ribalta tutto, «ordinando all’Ente Parco nazionale del Circeo e al Comune di Latina di riesaminare congiuntamente l’istanza dell’appellante, tenendo conto della situazione effettiva degli immobili per cui è causa, come determinata dagli intervenuti atti di concessione in sanatoria/condono edilizio e trovando una soluzione concordata che consenta alla richiedente di ristrutturare l’immobile».

I giudici d’appello ritengono «che va, invero, positivamente apprezzato il periculum in mora prospettato dall’appellante, anche e soprattutto tenendo conto del tempo trascorso e delle vicissitudini anche giudiziarie che l’appellante ha dovuto affrontare». Per loro la fretta c’è, tenuto conto che quella struttura è diventata così proprio perché è passato tantissimo tempo.

Inoltre, si ordina al Tar la fissazione a breve dell’udienza di merito.

Abusi sanati

La vicenda nasce in merito ad alcuni abusi sull’immobile. Il Consiglio di Stato infatti ha chiesto e ottenuto dal Comune una dettagliata relazione su parti da sanare e parti effettivamente sanate. E dunque «dagli atti prodotti è possibile evincere che sono stati sanati tutti gli abusi realizzati alla data del 2 ottobre 2009, evidenziati in giallo nella planimetria, che vanno ad aggiungersi a quelli evidenziati in celeste, che rappresentano il nucleo originario, e al netto di quelli evidenziati in magenta, da demolire».

Per questo, «l’immobile attuale (compresi gli ampliamenti sanati di colore giallo) risulta di consistenza, di ampiezza e di volume diversi rispetto all’immobile “originario” (di colore celeste) su cui si è espressa l’ex Azienda di Stato per le foreste demaniali nel 1999, nota richiamata dall’Ente parco nazionale del Circeo nel 2021, che riguardava solo l’originaria parte del fabbricato di mq 268 (colore celeste) ma non anche quella di mq 495,36, assentita con la concessione edilizia in sanatoria del 2009 (colore giallo)».

Insomma: ci sono stati dei lavori abusivi, sono stati sanati, l’Azienda di Stato deve esprimersi tenendo conto anche della parte sanata.

Una soluzione va trovata

Per i giudici dunque, «la conformità edilizia (quanto alle parti celeste e gialla) non può essere posta in discussione, stante la concessione in sanatoria». Inoltre su Comune e Parco incombe «l’onere di trovare una soluzione alla situazione di empasse che si è determinata con riferimento ad un immobile che, fatte salve le parti in colore magenta da demolire, erroneamente il Comune definisce abusivo».