Il regno dell’effimero e l’inaugurazione del nulla

La civiltà dell'immagine. Dove si pensa che basti una foto per costruire il personaggio. Vero. Ma effimero. Come insegnano i recenti casi della Francia e degli imbrattatori di fontane

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

In pochi tra i giovani ricordano Renato Nicolini fu un buon intellettuale di sinistra ed un attivo assessore alla cultura del comune di Roma. Nel 1977 inventò l’”estate romana” che nacque con l’intento di avvicinare il grande pubblico alla cultura. Il pronto sdegno degli intellettuali di sinistra si manifestò come nella canzone “Bomba non bomba” di Antonello Venditti: “no compagni io disapprovo e passo, manca l’analisi e poi non c’ho l’elmetto”.

Ma malgrado lo sdegno dei benpensanti la manifestazione ebbe grande successo ed è ripetuta ancora oggi. Ciononostante non gli evitò il pernicioso appellativo del “re dell’effimero” che gli affibbiarono i suoi stessi compagni troppo ortodossi.

Un visionario di nome Nicolini

Renato Nicolini (Foto: Giuseppe Carotenuto © Imagoeconomica)

Eppure Nicolini aveva visto giusto tanto quanto Andy Warhol quando disse “nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”, anticipando le caratteristiche della cultura moderna. L’immagine che prevaleva sul contenuto.

Ma per gli anni Ottanta e Novanta il dibattito annoso tra i contenuti e la loro forma di comunicazione mantenne livelli civili tra alti e bassi. Poi arrivarono gli anni Duemila. Gli anni Duemila hanno cambiato radicalmente la comunicazione instaurando la civiltà dell’immagine.

Un’immagine ben costruita, posta nella giusta prospettiva può dichiarare senza tema di smentita che ciò che stiamo asserendo è vero. L’occhio porta al cervello in maniera diretta l’immagine, il pensiero viene dopo. Non a caso nel marketing digitale viene usata l’immagine come mezzo primario di attrazione.

L’immagine colpisce la mente inconscia, tanto che se incontri al ristorante un personaggio visto sul web, stai tutto il tempo a chiederti dove l’avrò incontrato? Invece non è altro che un ricordo che la tua mente inconscia ti porta davanti. Il tuo inconscio, quando meno te l’aspetti porta alla tua mente un’immagine, un pensiero e anche un paradigma sociale che altri hanno preparato per manipolare la tua mente.

I selfie e l’invidia

Il condividere continuamente foto in cui si appare come vincente, con una vita interessante tra amici, vacanze e ristoranti alla moda, diventa un modo di identificazione sociale che non ti appartiene, ma semplicemente ti permette di sentirti integrato nel tuo mondo sociale. Il tuo mondo sociale non è stato creato da te, ma da tutto quello che compare sotto forma di immagini, video e altri messaggi pubblicitari che diventano con il tempo subliminali. Esempio lampante è il fotografare il cibo se si va a cena fuori. Inconsciamente con questo gesto ti identifichi in un gruppo sociale.

Altra conseguenza non da poco è stata l’invidia sociale. Questa, non nuova alla natura dell’uomo, ha attraverso i social moltiplicato schiere di invidiosi sociali. La stessa spinge a  costruire campagne di odio verso i personaggi famosi o quelle persone che appaiono agli occhi dei già menzionati odiatori seriali, ciò che loro non possono essere.

Le immagini quando si iscrivono nella nostra memoria, contribuiscono ad arricchire l’archivio che la nostra coscienza maneggia per distinguere il vero dal falso. Con i media questa facoltà è anestetizzata, quindi permettiamo che una realtà simulata sostituisca quella reale. L’immagine si disgiunge ed è molto più potente della parola scritta, spesso la parola scritta viene ignorata a favore dell’immagine.

Creare e distruggere la reputazione

La ‘barcaccia’ (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

L’utilizzo di immagini che bypassano il pensiero, diventando quasi subliminali, come del resto la pubblicità che ci porta a desiderare ciò che non ci serve, oppure la semplice disposizione della merce nei supermercati e centri commerciali, potrebbero e forse lo stanno già facendo: manipolare il pensiero, l’opinione politica, possono distruggere una reputazione oppure possono creare un mito. Possono far diventare un deficiente un grande guru e uno studioso; al tempo stesso far diventare uno scienziato un deficiente. Possono far sembrare un pubblico amministratore mediocre un buon amministratore. Per questo si è passati dall’invidia sociale alla “pena” sociale. Concetto che riprenderemo in chiusura e che scatta quando nonostante l’immagine prevalga e venga veicolata a volte è talmente ridicola che ottiene l’effetto opposto. La pena.

La scorsa settimana citammo come casi simili gli attivisti di ultima generazione imbrattatori a palazzo vecchio con super Nardella ad inseguirli e profetizzammo abbastanza agevolmente gli scontri francesi che hanno monopolizzato la settimana politica. (leggi qui: L’ignoranza delle persone colte)

Questa settimana ne hanno fatta un’altra. Perché ormai il ritmo è settimanale. Hanno versato vernice nera nella barcaccia, la famosa fontana di Piazza di Spagna. E giù tutto il mondo a girare la foto della barcaccia tinta di nero, ed ancora pubblicità a questi fagianoni. Messaggio politico: il clima. Sempre il clima. Ah quanto ci manca quando il discorso era sulle mezze stagioni. Eppure immagini forti a parte è tutto costruito artefatto montato. Tanto da fare quasi pena sociale non invidia o tentativo di emulazione. I commenti infatti non sono spesso molto gentili.

Le immagini vere di personaggi finti

Mathilde Caillard (Foto © Denis Allard / Leextra / Opale)

Voglio dire come, non fare un paragone semplicissimo con il gesto compiuto dall’artista futurista Graziano Cecchini nel 2007 quando colorò di rosso la Fontana di Trevi. Ve lo ricordate? Nessun danno niente scenate o esibizionismi nessuna pappardella sul clima. Un gesto artistico puro. Lo stesso autore fuggì per restare anonimo ma fu poi identificato.

“Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia”. Urlavano come incipit del manifesto i Futuristi. Ecco nelle immagini finto clamorose ma precostituite non risiede alcun fascino. Sono un prodotto un semplice prodotto. Un prodotto commerciale anche di basso livello.

Diciamolo qualcuno usa più fantasia. Nei giorni scorsi dalla proteste francesi è emersa una nuova eroina. Una ragazza francese tutta vestita di nero che a capo del corteo cantava e ballava con coreografia accattivante “Pas de retraités sur une planète brûlée. Retraites, climat: même combat”. Che tradotto vuol dire «Pensioni, clima, stessa lotta: nessun pensionato su un pianeta bruciato».

Questo è l’inno-techno creato dal movimento francese Alternatiba Paris per la difesa del clima e per la giustizia sociale, per sostenere le proteste che sono esplose in Francia a seguito all’approvazione della riforma sulle pensioni voluta da Emmanuel Macron. I techno-attivisti del gruppo, durante le proteste, hanno utilizzato il ballo, il canto e la musica, intendendoli come un «mezzo rivoluzionario per liberarsi dall’oppressione». «La danza è uno strumento politico e il corpo uno strumento di lotta: la gioia è uno degli ultimi spazi che questo sistema oppressivo non ci toglierà. Puoi fare una dichiarazione politica seria mentre canti e balli, è sempre stato parte dei movimenti sociali», ha spiegato Mathilde Caillard, 25 anni, una delle giovani attiviste climatiche diventata quasi un’icona delle proteste parigine del movimento ambientalista per il suo modo di ballare.

Non era un marchettone

Franco Battiato durante la sua visita ad Anagni

D’altronde aveva ragione come sempre il maestro Battiato quando cantava “nei ritmi ossessivi la chiave dei riti tribali”. In un video divenuto virale sui social, Caillard viene ripresa mentre protesta avanzando a tempo di techno, raccogliendo numerose critiche e insulti, ma anche riuscendo a coinvolgere sempre più giovani nella causa. 

Io devo dire il vero lo stavo per bollare come una delle solite marchettone preconfezionate da far diventare virali, ed in parte lo è. Ma poi ad un tratto ho ricordato un verso del manifesto del futurismo tanto per restare in tema: “Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne”.

Le maree multicolori e polifoniche nelle capitali moderne sembrava quasi una profezia. Come parole di più di un secolo or sono risuonino così moderne ed attuali mi è sembrato incredibile ed allora nel paragone tra gli imbrattatori seriali ed i cantori techno sociali ho senza dubbio apprezzato più i secondi. Simpatia sociale per i primi pena sociale per i secondi.

In fondo ho sempre stimato qualsiasi forma di impegno, di fantasia. Io sono uno che al semaforo a Roma se viene il finto zoppo che fa il finto pianto sui finti guai raramente lo premio. Che ne so almeno quello che fa la ruota con le palline, il mimo o il record dei palleggi tra il rosso e il verde e cerca in qualche modo di guadagnarsi l’attenzione  va ricompensato.

La pena sociale

Dunque oggi siamo arrivati allo sfruttamento così complesso della civiltà delle immagini che non basta più solo l’invidia sociale ma si è instaurata anche l’opzione della “pena sociale”. Tanto si fa in fretta a credere ad un’idea o un proclama politico che l’entusiasmo se deluso si trasforma in arrabbiatura o addirittura in pena. E non si recupera più. Da qui i repentini cambiamenti di colore dei governi e delle amministrazioni. Se la tua immagine è vincente viene apprezzata, è un arma, ma deve anche essere vera altrimenti il giudizio elettorale è terribile.

Ancora di più nelle amministrazioni inferiori dove il fack cecking non è demandato a Mentana e ai suoi siti ma al vivo e reale giudizio dei cittadini.

Che ne so: una volta quando facevo politica si inauguravano le opere quando erano finite. Oggi si inaugurano gli inizi. A volte, visto che la burocrazia è per gente competente altrimenti ritarda molto, nel tentativo di crearsi un’immagine non si inaugurano manco più i cantieri ma solamente i cartelli. Le immagini per l’appunto.

Ed il controllo dei fatti però lo fa il cittadino stesso. Gli basta andare dove hanno inaugurato l’immagine dell’opera e vedere se poi c’è qualcosa di concreto. Se passi e dopo settimane mesi è sempre lo stesso scenario allora scatta la pena sociale. Ciò che tu pensi sia produttivo per la tua immagine diventa distruttivo.

E non ti salva nemmeno la signorina francese che balla sensuale al ritmo della techno, né “i Dervisches Tourners che girano sulle spine dorsali o al suono di cavigliere del Katakali”. Una volta che ti hanno riconosciuto come mistificatore è finita, tu pensi di stare convincendo le persone ma poi tac nelle urne prendi la botta.

Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante” scriveva Nietzsche ma quando sei vuoto dentro e conti solo su un immagine costruita al computer che sostituisca la tua incapacità, al massimo finisci per ballare solo il “ballo del qua qua”. E magari sei pure stonato.