Il Renzi direttore che non vuole un house organ, non subito almeno

Buona la prima. Renzi debutta da direttore firmando il Riformista. Ma nel timore di apparire un talebano dell'informazione commette un errore grossolano

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Teddy Roosvelt diceva ai suoi che gli “house organ” sono la prova provata della debolezza di chi li usa. E quando gli chiesero se fosse stato giusto mandare i marines in Marocco lui rispose: “Perché rovinare la bellezza di tutto questo con la giustizia?”. Ecco, Matteo Renzi ad uno come Roosvelt gli avrebbe chiesto uno stage anche a costo di strigliargli il cavallo.

Il leader di Italia Viva è uno di cui dire che è intelligente non sarà mai figura retorica per punzecchiarlo su qualche cappellata. Non perché non ne faccia, ma perché di solito ne fa poche, non le fa sapere e quando le fa è impunito nel negarle. E metterle a carpiato

Il giorno del direttore

Foto © Imagoeconomica

Perciò che nel suo esordio come direttore editoriale de Il Riformista lui ci mettesse tutto l’equilibrio di cui è capace appare scontato e banale. D’altronde il “Gran giorno” del direttore Renzi era colmo di aspettative di polpa: dalla sua atipica posizione di leader politico salito a cassetta di un sistema complesso che la politica dovrebbe descriverla senza accoglierla, ai cascami dell’ultimo scontro con Carlo Calenda, gli ingredienti per rendere il suo esordio giornalistico un boccone sugoso c’erano tutti.

Cretino aspettarsi che Renzi desse lo start come un talebano dell’informazione partigiana. Ma molto meno provare a capire dove andrà davvero a parare il direttore con la sua nuova avventura. Renzi ha scelto Bruno Vespa per anticipare ciò che sarebbe andato “in macchina” oggi e lo ha fatto a ragion veduta. Vespa è ecumenico, monumentale in una nicchia dell’informazione a basso tasso di scomodità ed ortodosso sui temi “caldi” ma senza mai essere urticante. Una manna per chi ha scelto la casella ambigua di quello che oggi Renzi è e fa.

E il leader di Italia Viva ha messo subito le cose in chiaro: Il “suo” Riformista non sarà uno dei pugili che all’angolo si infilano il paradenti, piuttosto il ring dove chiunque potrà salire e dare cazzotti. O prenderne.

L’imparzialità non esiste

Il vestito è quello giusto e non vi è nulla oggi, tra quelle colonne, che faccia pensare il contrario. Tuttavia appare chiaro che Renzi, nella frenesia orgiastica di dover dimostrare che il quotidiano che dirige non è di parte e soprattutto non è dalla sua parte, sembra aver dimenticato una cosa, un tema di ghisa solida.

Non esistono, non sono mai esistiti e non esisteranno mai giornalisti imparziali. Perché l’imparzialità è degli imbecilli: di chi non ha il coraggio delle idee. E infatti da nessuna parte viene richiesta l’imparzialità ai giornalisti. Semmai esistono ed è giusto che esistano giornalisti obiettivi. Meglio ancora se indipendenti. Anche quando al giornalismo ci vieni prestato e non sei parte organica della meravigliosa ghenga di chi fa informazione, la tua stella polare etica è molto più bassa sull’orizzonte.

È quella per cui è impossibile non mettere del tuo in quello che scrivi. Ma è doveroso dare alle cose o alle persone che non sono proprio nelle tue corde gli stessi spazi e la stesa considerazione che riservi a coloro di cui ti piace tutto.

Tra fumus ed excusatio

Matteo Renzi (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

Renzi però è arrivato a meta con il “fumus” del politico paracadutato in un mondo di libertà. E in “excusatio non petita”, non molto almeno, si è incarognito troppo nel dimostrare che lui quella libertà non la vuole toccare. Ed ha sbagliato, perché i giornali sono liberi quando alla libertà aspirano in tensione costante, non quando la realizzano a tutto tondo. Lì sono solo ipocriti perché la libertà non è mai tonda e i giornalisti sono cristiani con editori appollaiati sulle spalle che a volte sussurrano, altre urlano. Ma zitti zitti non ci stanno mai.

Ecco perché nell’intervista con Vespa si sono realizzati i due step, i due binari concettuali con i quali Renzi si è affannato a spiegare che no, il suo non è l’avvento di un nocchiero con le sue rotte, ma l’arrivo di capitano da crociera. Che le rotte se le farà dare dal mare e dai posti più interessanti verso cui le maree lo faranno approdare.

Perciò ha giocato di Tafazzismo magnanimo. Ed essendo Renzi lo ha fatto sapere ad ogni singolo neo di Vespa: “Oggi ero in Parlamento e ho chiesto alla Camusso di fare un pezzo contro il Jobs Act e Nannicini lo farà a favore. In sintesi, sarà un luogo di dibattito, contro la cancel culture“. Nessuno sarà escluso e nessuno sarà attaccato dunque, ovviamente con qualche piccola deroga anche a contare che la parola “Italia Viva” non la si leggerà, secondo un’altra pelosità ad effetto squadernata dal nostro.

Quale deroga

Quale deroga? Ovvio, quella che sposa perfettamente la linea editoriale storica del patron Romeo. La linea concettuale del centrismo riformista e la linea personale di Renzi: le toghe manettare.

Insomma, se da un lato il neo direttore ha precisato che non ci saranno attacchi alla magistratura ha tuttavia puntualizzato che ci saranno articoli su singoli magistrati che hanno “sbagliato”. E in questo caso Renzi si sente mondo da ciò che lui rappresenta per vissuto perché la stella polare nel cielo ci sta altissima ed è quella del garantismo, una cosa che in Italia mette d’accordo tutti.

Perciò i sassolini dalla scarpa su Scarpinato, Travaglio e sulla trattativa Stato-mafia bocciata dagli ermellini di Piazza Cavour Renzi se li è tolti non come “il nuovo sceriffo in città”, ma con il candore di chi invoca principi universali di approccio all’esercizio dell’azione penale solo quando esso sia motivato.

Unbuona la prima” ma con riserva dunque, un esordio blando, piacione e neutro che è la somma esatta di quello che Renzi è: equidistante, funzionale, pratico. E letale quando decide di non esserlo più. Ma questo lo vedremo alle Europee.