Il riduzionismo ed nuovi soggetti nella campagna elettorale

Il meraviglioso e caleidoscopico mondo del nanismo della politica di oggi. Da quelli che vanno a tutti gli incontri perché hanno promesso il voto a tutti, a quelli che non ci arrivano ed invidiano. Ma il riduzionismo non funziona in politica

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Come tutti sapete sono dedito da sempre a declinare le figure che animano il meraviglioso e caleidoscopico mondo del nanismo della politica. Sapete anche che non lo intendo in relazione all’altezza fisica ma ad un certo modo di comportarsi, a certe scelte, ad alcune mancanze di valori che oggi imperano. Solo in alcuni casi sfortunati coincide anche con fattezze fisiche ridotte. Ma sono deplorevoli ed isolati esempi limite. Rari ma ci sono.

Ed è proprio il mutare delle condizioni della campagna elettorale che ha radicalmente cambiato il modo di fronteggiarsi degli avversari politici. Ed anche diciamolo, la loro qualità. Passando dalle epiche sfide nei dibattiti tv o nelle piazze gremite a più modeste riunioncine più o meno casalinghe, utili più che al confronto, per pubblicare qualcosa sui social. Nella speranza che come per incanto i social stessi ne moltiplichino la valenza e l’interesse.

La teoria del minimale

Il padiglione Barcellona, esempio di minimalismo (Foto © Ashley Pomeroy)

Insomma da appassionato di architettura ho sempre ammirato il motto del celebre architetto Mies Van Der Roheless is more” che letteralmente significa “meno è di piu”.

Sostanzialmente vuole dire che la forma di un edificio, di un oggetto o di un abito non deve essere il fine del design (e quindi pensata a priori), ma solo il risultato di un processo volto a dare una risposta semplice ad un bisogno complesso. Quindi in poche parole: la forma segue la funzione e non il contrario.

Nel 1965 il filosofo inglese Richard Wollheim ispirato proprio dalla concettualita di Mies coniò il termine “minimalismo“. In un articolo intitolato Minimal Art egli notava e discuteva della riduzione minimale del contenuto artistico e l’eliminazione di tutto ciò che è superfluo. La “riduzione minimale” a cui faceva riferimento Wollheim era dunque quella del contenuto artistico.  Da allora, però, il minimalismo ha oltrepassato i confini dell’arte e del design, e “less is more” è diventata una filosofia riscontrabile anche in ambito sociale ed antropologico. 

Oggi, con un secolo di “Less is more” alle spalle, si inizia a parlare addirittura di Riduzionismo , l’evoluzione contemporanea del minimalismo. Partendo dal minimalismo, il riduzionismo fa un mash up di semplicità, funzionalità e connessione emotiva. Insomma azzera tutto riduce il più possibile all’essenziale ma cerca di differenziarsi dal minimalismo proprio per la connessione emotiva.

Il riduzionismo non vale per la politica

Ma ciò che vale per l’architettura non sempre vale anche per la politica e forse si è esagerato. Perché va bene il minimalismo ed il riduzionismo ma la totale assenza di temi mi sembra un po’ troppo. E la sparuta presenza di fenomeni divulgativi ne è il degno corollario e conseguenza.

Ed a proposito di modelli organizzativi infatti, volendo anche tralasciare i temi, siamo nella tragedia. Scomparsa ogni forma di pubblicità elettorale. In fondo non dovendo dire nulla sembra quasi una conseguenza naturale. Scomparsi i comizi scomparse le grandi assemblee, scomparse le strutture di Partito. Ci si limita a riunioni tra amici nelle case nei bar, al massimo una trattoria da pubblicizzare attraverso i social come effetto moltiplicatore.

Dunque l’applicazione del riduzionismo allo stato puro anche in politica. Ma se in architettura certamente funziona in politica non ne sono convinto.

La politica dovrebbe essere il luogo del conoscere e soprattutto del confronto mentre oggi è diventata un susseguirsi di azioni di piccolo cabotaggio e sotterfugi. Allora in questo diverso quadro culturale e politico nascono e proliferano una schiera di loschi ed equivoci figuri che infesta le pur ridotte espressioni organizzative elettorali.

Le figure della neopolitica

Foto © Thiago Miranda

La prima figura di questa neopolitica riduzionista sono i globetrotter. Forse potremmo chiamarli i peripatetici ma l’inglese fa più scena.

Sono quei soggetti che si fanno tutte le manifestazioni. Generalmente perché hanno promesso quella manciata di voti che hanno a diversi candidati. Consci che il risultato potrebbe languire pensano bene di corroborare la promessa con la loro illustre presenza che garantisce, a loro avviso, la manifestazione del reale impegno profuso. Ho visto questa settimana dei soggetti partecipare la mattina ad un incontro con un candidato, al pomeriggio inaugurare il comitato di un altro ed alla sera gozzovigliare sereno con un bicchiere di prosecco in mano alla kermesse di un altro.

Ovviamente è intervenuto in tutti in consessi a dire che il candidato sostenuto al momento è l’unico che ce la possa fare e che il suo sostegno non mancherà.

Ma il globetrotter può esibirsi nella forma semplice o complessa. Infatti a volte per sembrare più rappresentativo crea un piccolo nucleo di soggetti, che ne so un paio di assessori e consiglieri, da portare in tutte le manifestazioni a predicare il verbo del sostegno incondizionato. Qualcuno più sfacciato ancora porta parenti, i più incredibili portano al seguito amanti finte suocere e parenti stretti delle stesse tanto per non dare nell’occhio. Si crea dunque questa specie di caravanserraglio itinerante per i vari appuntamenti, pronto a recitare la stessa solfa all’occorrenza.

La fuga alla foto

Foto Baninov / Pixabay

Anche questo è riduzionismo. Invece di ingaggiare figuranti nuovi si usano sempre gli stessi con  migliore risparmio di energie. Less is more!

In questo però i social non funzionano a favore completamente. Perché permettono di disvelare subito l’arcano  e con una rapida letta sul telefonino ti capita di vedere in sequenza gli stessi soggetti in uno due o tre post di candidati diversi.

Allora spesso al momento delle foto di rito iniziano delle fughe Fantozziane per non essere immortalati. Scuse strampalate, finte telefonate, accenni di saluto inesistenti alla Calboni per spostarsi, tutto affinché non si capisca dalle foto che si era presenti in più posti quasi contemporaneamente diciamo. E questa categoria la chiameremo dei fuggiaschi, perché rifugge strategicamente l’immortalamento.

I delatori

Allora per completare il quadro del controllo minimalista è nata una nuova figura conseguente: il delatore , cioè quello che si manda alla manifestazione col solo intento di spiare, di controllare e di contare le persone, carpire gli argomenti di dibattito.

In genere li vedi mezzi occultati dietro le colonne o appostati in zone di osservazione dove possono essere poco notati ma controllare tutta l’area. Salutano poco non intervengono, non guardano nessuno negli occhi, spesso danno già dettagli in diretta col telefonino a chi attende notizie impaziente.

Il delatore poi deve essere una figura modesta non condire con proprie valutazioni l’accaduto ma riportare oggettivamente e senza condizionamenti quanto visto. Il delatore fotografa, filma registra. Un vero operatore professionale. A volte lautamente ricompensato nei casi più modesti si accontenta di scroccare la cena a buffet.

Gli invidiosi

Invidia (Giotto – Cappella degli Scrovegni)

Dunque questa esposizione spropositata rispetto ai contenuti per converso crea pure una figura che prima era rara in politica ma oggi va per la maggiore. Gli invidiosi. Si perché dediti solo ad impicciarsi degli affari degli altri senza promuovere iniziative proprie, si finisce per immedesimarsi negli altri. O ammirandoli o invidiandoli. Più spesso la seconda come da nobile tradizione italica.

Nella divina commedia gli invidiosi sono i penitenti che scontano la loro pena nella II Cornice del Purgatorio: indossano un mantello di panno ruvido e pungente, siedono a terra appoggiati l’un l’altro contro la parete del monte e hanno gli occhi cuciti da filo di ferro che impedisce loro di vedere mentre in vita essi guardarono il prossimo con occhio malevolo, come fa comprendere la stessa etimologia dal latino invideo.

Ecco l’invidioso in politica è colui che non riuscendo con mezzi propri ad emergere o prevalere cerca con tutti i modi possibili di denigrare l’avversario, di calunniarlo al fine di eliminarlo tanto da poterne prendere il posto. È una delle forme più deteriori del nanismo della politica, riservata a coloro poco dotati ma molto ambiziosi. Un’accoppiata deleteria.

L’invidioso crea un mondo a parte dove lui è benvoluto mentre il suo avversario non conta niente, profetizza risultati e traguardi raggiunti inesistenti. E laddove gli fanno notare che non esistono, rassicura tutti che si partirà al più presto. L’invidioso è capace di chiamare i giornali romani per sparlare dell’avversario, per influenzare chi lo invita negativamente. È capace di scrivere lettere anonime anche contro i migliori amici e poi incontrarli e baciarli come se nulla fosse. L’invidioso è uno che dice che vince le elezioni al primo turno ma poi non viene manco eletto in minoranza. Brutta bestia l’invidia.

I comizianti in estinzione

Giovanni Di Capua

Ed allora ha ragione Lidano Grassucci che in mezzo a tante figure disarmanti e naneggianti in politica, sembra essere un gigante il candidato che oggi nel 2023 prenota la piazza di un comizio sfidando la campagna elettorale minimalista figlia del riduzionismo con la sola arma della parola. (Leggi qui: Regionali: l’ultimo comiziante capace di parlare in piazza).

Sarebbe impazzito nel vedere quando il senatore Romano Misserville candidato sindaco di Anagni nella sezione elettorale della contrada di san Filippo prese nelle urne un solo voto. Uno. E non sapendo chi fosse indisse un comizio nella zona per ringraziare lo sconosciuto votante parlando di fronte alla platea vuota ma in un atto di eroismo e classe oratoria. Non di riduzionismo ma di gigantismo politico.

Si rattristerebbe anche lui, vero gigante della politica, a vedere che in quella zona il seme lasciato da quel grande intervento oggi ha fatto crescere frutti mediocri ma il gesto travalica il tempo e lo spazio per diventare perenne. D’altronde in qualsiasi epoca del mondo, in qualsiasi sistema politico, i nani restano nani ed i giganti restano giganti.

E nessuno ha saputo sintetizzarlo meglio di Shakespeare nel Macbeth quando scrive: “coloro ai quali egli comanda si muovono soltanto per un ordine, mai per un sentimento di amore. Ora egli sente che il titolo di re gli casca da dosso come la veste di un gigante ad un nano che l’ha rubata”.

Cosa aggiungere di più. Less is more!

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