Il sabato dei tre re di maggio in cerca di una corona

Sono tutti e tre i re di maggio e sono diversi ma una sola cosa li unisce: in quello a cui sono arrivati ci hanno creduto fino alla fine.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La monarchia è fatta così. Per quanto forma di governo autarchica e fondata sul diritto di nascita ha sempre e comunque bisogno di conferme. Non esiste nella storia un solo sovrano che non abbia proclamato al popolo il suo potere senza essere convinto sotto sotto che sarebbe stato molto meglio che quel potere lo considerasse giusto anche chi di esso doveva subire gli effetti.

Re Aurelio da Napoli

Aurelio De Laurentiis (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

I re regnano in nome di Dio ma poi governano in nome dei popoli, perciò la monarchia è sempre fiduciaria. E quando non lo è finisce coi ceppi di legno e la capoccia del re che rotola come un pallone. Ed a proposito di palloni il primo re di maggio ha a che fare esattamente con quello. Nel 2004 il Napoli calcio lo potevano salvare solo San Gennaro e l’incontenibile ottimismo di un popolo che ne aveva viste troppe per buttarsi giù alla prima ruzzolata. Comunque fece un male cane vedere una squadra costretta ad invocare il Lodo Petrucci per uscire dalla palude della serie C.

In quel caso il re arrivò dritto sparato come Robert Bruce. Ed arrivò a bordo di un motoscafo salpato da Capri. A bordo c’erano Aurelio De Laurentiis e circa 31 milioni di euro con i quali il produttore sbaragliò la concorrenza (e non è che ve ne fosse tanta, a fare la tara alle scalmane di Luciano Gaucci) e fondò il Napoli Soccer. C’era di nuovo un regno possibile e c’era un reame per cui combattere. Da allora arrivarono robe come Coppa Italia, Supercoppa Italiana, Higuain e Mertens.

E ancora i record di incassi dopo che una volta a Napoli vennero registrati solo 150 paganti, il record di punti in serie A ed oggi lo scudetto numero tre dopo 33 anni di digiuno. Con un nigeriano matto in campo e il nume di Maradona a guardare benevolo. Ecco, oggi Aurelio De Laurentiis è il vero re di Napoli, una Napoli che per anni lo ha guardato con diffidenza e che oggi lo seguirebbe sulle lune di Giove, se solo lui lo chiedesse. E se esistesse una funicolare abbastanza lunga. De Laurentiis è il re illuminato.

Il regno eterno di Silvio

Silvio Berlusconi

Il secondo sovrano è sovrano assoluto. Molto più di Luigi XIV anche se il secondo aveva le casse un po’ più vuote perché non aveva Milano 2 e Mediaset. Esattamente oggi il nostro monarca è pronto a (ri)presentarsi ai sudditi osannanti che dagli East End Studios di Milano attendono trepidanti che lui dia la stura ad una nuova stagione di “Libertà”. Oddio, il termine con la monarchia ci va un po’ in ossimoro. Ma a ben vedere questo è un dilemma ontologico che Silvio Berlusconi ha risolto da tempo.

Lo ha fatto creando di fatto un partito-azienda che oggi più che mai ha bisogno di parlare di futuro. Perché l’età del suo leader sembra suggerire che quest’ultimo possa essere fosco e sperso in una guerra fra bande. Non ci sono eredi, non esistono delfini e la linea si successione è di fatto interrotta. Perciò come Arduino d’Ivrea, Berlusconi oggi si appresta a parlare ai suoi de ‘La forza dell’Italia’. Di quella e soprattutto della forza che ci vorrà per tenere in piedi un Partito che non è nato per sopravvivere a chi lo ha fondato.

E che rischia di fare la fine dei reami agonici dei Burgundi dopo che la schiatta di Carlo il Franco cadde nel tranello “comunista” che precedette il maggiorascato. Antonio Tajani, che dell’imperatore azzurro è il Prefetto del Pretorio, ha detto che quello di oggi “è una sorta di omaggio a Berlusconi, un modo per ringraziarlo per tutto quello che fa“. E non ha capito ancora bene lui stesso se questa cosa sappia di commiato o di ritorno alla “Tigre è ancora viva”.

Il Cav fra poche ore parlerà dal San Raffaele e porgerà il regale fianco alle interpretazioni. Ecco, Berlusconi è il re bomba, nel senso che qualsiasi cosa dirà qualcuno salterà in aria: di gioia o per tritolo politico.

L’ora di re Carlo

Il terzo re di maggio è re per davvero. Solo che vive in un Paese che per dire che uno è re deve fare tante di quelle cose regali che il nostro rischia di cingere la corona assieme al cinto erniario. Una volta Filippo Mountbatten di Edimburgo, uno che con le battute al vetriolo ci ha campato meglio che con gli alamari, di lui disse che “sembra un tonno”.

Filippo lo disse di Carlo quando costui era ancora un principe Windosor destinato a battere Toto Cutugno nella hit degli eterni secondi. Carlo sembrava la versione british dei Jalisse e non arrivava a meta su nulla: con le nozze, con la corona e nell’appeal di sudditi esigenti. Che vedevano in sua madre il limite invalicabile oltre il quale la monarchia diventava fuffa anacronistica. Perfino per loro che chiedevano a Dio di “salvare la Regina” anche mentre facevano il pediluvio.

Poi, come accadde con Cecco Peppe e gli Asburgo anche se in modalità più soft, la Grande Mietitrice gli era venuta incontro e da tonno a delfino fino a Grande Capodoglio Britannico il passo era stato secco e tutto d’un fiato. Oggi Carlo è Carlo III e sta va a prendersi quello che gli spettava per diritto. Da tanti di quegli anni che probabilmente la corona ha perso tutto il suo fascino e di essa sono rimasti solo i grevi orpelli che i vecchi odiano più dei calli.

Ma tant’è, la monarchia sopravvive anche alla stanchezza di chi la incarna. Carlo è il re a scoppio ritardato ed è l’unico dei tre che non dovrà convincere i sudditi che gli è andata di culo e che va tutto bene. Lui è Re per Grazia di Dio e Dio non ammette discussioni, forum con la Ronzulli o ranking Uefa.

Sono tutti e tre i re di maggio e sono diversi ma una sola cosa li unisce: in quello a cui sono arrivati ci hanno creduto fino alla fine. In barba ai guai, all’età ed alla beatitudine paciosa dei cadetti. Ed oggi ciascuno di loro si è preso la sua corona.