Il sottile filo tra Banca Popolare di Bari e la Cassinate

Foto © Imagoeconomica / Benvegnu' Guaitoli

A gennaio le indiscrezioni di una possibile aggregazione tra la Popolare di Bari e Bpc. Subito smentite dalla Cassinate. I tre elementi chiave del caso. Che non è il fallimento di un modello di banca.

Quando a gennaio iniziò a circolare la voce che fossero interessati a loro, Banca Popolare del Cassinate corse a smentire. I Formisano sanno leggere i numeri e già allora sapevano quanto fosse compromessa la situazione della Banca Popolare di Bari. Avevano ben chiaro che non avrebbe portato da nessuna parte  l’ipotizzata nascita di un polo d’aggregazione sul modello della francese Crédit Agricole. Nell’elenco di banche da ‘aggregare’ secondo i piani dei manager pugliesi c’era anche la Cassinate. Pare che il presidente Donato Formisano, appena letto il lancio dell’agenzia economica Reuters abbia commentato: “la Cassinate compra, non vende“. L’ufficio stampa tradusse in maniera più bancaria il garbato, ma invalicabile, niet. (leggi qui Banca Popolare di Bari vuole incorporare la Cassinate. Bpc: «Non interessati»).

Giuseppe Conte

La vicenda della Banca Popolare di Bari pone all’attenzione una serie di riflessioni. La prima: non siamo messi bene se a guidare questo Paese c’è un presidente del Consiglio dei Ministri che poco dopo l’ora di pranzo rassicura Bruxelles sulla tenuta delle nostre banche ed all’ora di cena, nello stesso giorno, convoca d’urgenza una seduta di Consiglio per varare quello che a tutti gli effetti è un piano di salvataggio per una banca.

E lasciamo perdere la scena pietosa portata sulla ribalta da Italia Viva e Cinque Stelle, con i primi a battere i piedi che volevano le scuse dei secondi per essere stati riempiti di fango sulla storia di Banca Etruria. E con i secondi che tentano di mettere su un’altra delle loro inutili Commissioni affidandola ad un tizio convinto delle congiure della finanza mondiale ordite dai banchieri ebrei ispirati dai principi dei Savi di Sion. 

La seconda riflessione è che chi doveva controllare ha controllato. Ma non ha fiatato. Lasciando che Banca Popolare di Bari continuasse ad incamerare pezzi di finanza avariata e poi finisse esattamente come sta facendo in queste ore. Come un cargo caricato di rifiuti tossici e poi fatto affondare simulando un incidente.

Banca Popolare di Bari © Imagoeconomica / Paris

La terza riflessione ci riporta a casa. È emerso che i numeri si possono truccare. Non è una grande novità: tutti i professori di Economia insegnano che per anni il primo bilancio falso è stato quello dello Stato. Nel caso della Popolare di Bari però Fanpage ha messo in rete una serie di intercettazioni audio in cui si sentono presidente e Amministratore Delegato dire “Truccavate persino i conti delle filiali, quello che è successo è un esempio di scuola di gestione cattiva, irresponsabile“. È allarmante perché allora potrebbe venirci il dubbio che anche i nostri risparmi potrebbero non essere al sicuro.

Cosa ci fornisce l’esatta dimensione del rischio se nemmeno dei controllori ci possiamo fidare? La risposta sta nel fatto che, tanto per fare un esempio, la Banca Popolare del Cassinate se deve darti un mutuo per la prima casa non ti chiede in cambio di comprarti qualche chilo di titoli spazzatura, usando proprio i soldi del mutuo. Se hai i conti a posto i soldi te li danno, se non hai i conti a posto hai ancora qualche possibilità che te li diano lo stesso. Perché, come dice il presidente Formisano: “Sta qui la forza della banca di territorio, conoscere le persone, la loro storia e decidere sulla base di quello. È stato così che abbiamo finanziato la ricostruzione nel Dopoguerra e la seconda grande rivoluzione edilizia legata all’arrivo dello stabilimento Fiat. Conoscevamo le persone“.

Ecco, il caso della Banca Popolare di Bari insegna che le banche camminano sulle gambe delle persone. Non è il fallimento del modello di banca del territorio, del credito a misura di campanile. È il fallimento di chi ha amministrato seguendo un criterio sbagliato. L’esatto contrario di chi a gennaio si è affrettato a smentire, ricordando “noi compriamo, non vendiamo“.