Il Terzo Polo e la terzietà che non arriva ancora

Il matrimonio difficile tra Renzi e Calenda. Cosa sta accadendo. E perché? Il sospetto che tutti vogliano aspettare il rompete le righe in Forza Italia. Che non ci sarà

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Se Carlo Calenda e Matteo Renzi stiano divorziando si deve «chiedere a lui», assicura il leader di Azione. Nero su bianco sul Corriere, «Renzi si rifiuta di prendere l’impegno di sciogliere Italia Viva quando nascerà il nuovo Partito e sta bloccando ogni passo avanti sulla strada del partito unico». E questo per Calenda rappresenta un problema, perché «se da due Partiti non nasce un Partito ma ne nascono tre, significa semplicemente che vuoi tenerti le mani libere». La condizione di Calenda per la nascita del Partito unico è lo scioglimento di Italia Viva.

I toni sono quelli del divorzio. Delle liti che precedono le stoviglie rotte e gli stracci che volano. Divorzio? «Così pare, anche se per tutti noi è stato un fulmine a ciel sereno» assicura Maria Elena Boschi intervistata dal Corriere. Giura che nessuno in Italia Viva riesce a capire perché Calenda «abbia cambiato idea all’improvviso» sul progetto del Partito unico. Di più: Maria Elena Boschi garantisce che «anche i colleghi di Azione erano stupiti. Questa scelta di Carlo non convince nemmeno i suoi perché è priva di motivazioni».

Troppe frizioni

Carlo Calenda e Matteo Renzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Matteo Renzi e Carlo Calenda ci stanno provando davvero, ad essere due amici in empatia di pensieri e non due persone in sintonia di obiettivi. Ma è dura. Lo è per tutta una serie di motivi che sono equamente distribuiti fra ciò che sono come individui e quello che rappresentano come leader di sistemi complessi. Nella travagliata ma non tanto lunga genesi del Partito unico dei liberali di centro ci sono intoppi. Intoppi e frizioni forti.

E a fare la quadra sulla formazione che dovrebbe fare del “concretismo” la sua unica bandiera ci si sono messe questioni di seconde file incazzate e paturnie social. Perciò giocano fattori multipli che aleggiavano già da tempo. Ma che in queste ultime ore hanno fatto come nelle lezioni di chimica al liceo, quando il prof non se lo filava nessuno: sono precipitati e stanno sedimentando sul fondo di una beuta trasparente ma non troppo.

La situazione è grave ma non è seria, come diceva Ennio Flaiano, perché in realtà Azione ed Italia Viva sono più nel mirino della stampa e di se stessi che in quello dell’opinione pubblica che per la faccenda non ha interesse blando. Ma il dato resta.

Una poltrona per due

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Foto Paolo Lo Debole / Imagoeconomica)

Se Repubblica scrive che quello a cui si assiste pare un remake di “Una poltrona per due” un motivo ci sarà e non sta solo nell’atavica faida che si creò a suo tempo fra i dem e quei dem che si erano esodati dal Nazareno.

Disegniamo la scacchiera partendo dai ruoli: nella composizione del Terzo Polo Carlo Calenda ha le stigmate del frontman che ci ha messo la faccia e Matteo Renzi quelle del regista che ci ha messo strategie. Quelle e i soldi. Lo ha detto Renzi in serata ieri parlando a i suoi per definire il congresso del 10 giugno: “Dall’inizio dell’unione Italia Viva-Azione abbiamo dato circa 1 milione e mezzo di euro, la maggior parte per promuovere il volto e il nome di Calenda, ci sono le fatture“.

Ma perché il neo direttore de Il Riformista si è sentito di fare di ineleganza virtù e sottolineare che Calenda ha viaggiato con un biglietto “pagato da altri”? Il mainstream ci dice che è stato proprio per quello, per la scelta giornalistica di Renzi, che a Calenda era piaciuta poco tanto da farlo correre su Twitter (Renzi ha sempre detto scherzando ma non troppo che a Carlo gli “andrebbero tolti i social”) e fargli scrive cose. Cose come questa: “C’è il rischio di un conflitto di interessi“.

Il movente perfetto

Carlo Calenda e Matteo Renzi

È davvero quello il motivo? No, quello è solo un movente perfetto. Tanto che Renzi, che è uno a cui se gliela servi facile calcia al volo, aveva precisato crotalo e finto zen al contempo: “Sul Riformista voglio essere molto chiaro. Nella telefonata che ha preceduto la mia conferenza stampa Carlo era entusiasta e mi ha spiegato che bisognava fare il giornale del Terzo polo. Io gli ho spiegato di no, non aveva senso“. Insomma, la tensione nella nascita del Partito unico in cui dovrebbe tracimare il Terzo Polo non è una faccenda legata ad un singolo fattore, ma è figlia di un bouquet. Di quello e di un modello spartano a due teste che in politica funziona poco e male.

E il primo è che se da un lato a volere l’accelerazione era stato Calenda e Renzi glie ne aveva concesso sospirando un morso con un timing stretto, è anche vero che Italia Viva è un partito più strutturato di Azione ed ha bisogno di tempi di decantazione e liturgie dialettiche molto più complesse per perdere la propria identità senza perdere il suo background social democratico soft. La riprova? Nelle ultime ore sono stati molto più netti gli strali dei gregari che quelli dei leader.

Teresa Bellanova, Ivan Scalfarotto e Davide Faraone non le hanno mandate a dire agli azionisti. Che per bocca di Matteo Richetti insinuavano: “Uno deve decidere se nella vita fa politica o informazione. Quando mi telefona Renzi mi parla del Partito o mi intervista per il Riformista?“. Prendiamo un Aulin e chiediamoci: ma se tutti e due i leader e tutti e due le formazioni dicono di avere fretta di “quagliare” ed attribuiscono alla controparte la colpa di non aver ancora “quagliato” cosa sta succedendo davvero?

La chiave su La7

Calenda l’ha messa in summa su La7. Dove ha detto: «C’è un punto fondamentale: abbiamo promesso un Partito unico e Renzi su questo non sta rispondendo. Questo non va bene». Tutto chiaro? No. Da Italia Viva parte il controcanto e fanno sapere ad AdnKronos: «La verità? La verità è che Calenda ha paura di perdere il congresso». Il nodo sarebbe quello: il congresso avrebbe caratteristiche da base della piramide che ovviamente favorirebbero la formazione più strutturata. Calenda si sarebbe ritrovato perciò come quello che a furia di chiedere una cosa l’ha ottenuta prima che fosse pronto a gestirla.

Ma è nodo monco in eziologia perché il mutuo patto fra i due prevede che Calenda sia runner, non foss’altro per il fatto che Renzi è in sacca sabbatica con la sua avventura editoriale. E qui la bilancia si riequilibra e svela il “delitto perfetto” del senatore di Rignano: lui lo sapeva benissimo che il suo partito deve digerire la mescola finale con Azione con molta più difficoltà degli altri. Lo sapeva perché le Europee incombono e perché c’è da fare messe futura con i futuri profughi forzisti.

Come sapeva benissimo che per frenare il timing e portarlo a velocità più consona alla complessità del momento sarebbe bastato un movente. Perciò ha fatto come quei debitori ligi che promettono di essere all’appuntamento con mezz’ora di anticipo ma che poi telefonano al creditore per dire che la mamma sta male e che si tarderà di due ore ancora. Così c’è più tempo per raggranellare i soldi o per far finire la giornata con un pareggio.

E cosa c’è di meglio che spiazzare tutti e mettersi a fare il giornalista annunciando un momentaneo “ritiro” proprio nel mezzo di una genesi complessa? L’impressione è che al di là di singole “colpe” quello a non essere ancora mixato sia il quadro di insieme. Perché per far nascere un partito c’è bisogno di tanti seguaci e di un solo capo. Se di seguaci ne hai pochini e i “capi” sono due diventa tutto più difficile.

A meno che tu non sia Sparta.