Il trappolone a Tommaso Miele ed i falsi tweet su Renzi

Il caso dei tweet pieni di insulti a Matteo Renzi usciti da un account Twitter non più in uso al giudice Tommaso Miele. Mentre è in piena corsa per diventare presidente nazionale della Corte dei Conti. L'alto magistrato rompe il silenzio. Non fa accuse. Ma le impronte della 'macchina del fango' sono evidenti. Il messaggio a Matteo Renzi. Che risponde a stretto giro.

Quei tweet non sono miei, non mi riconosco in quelle parole. Io non uso quel linguaggio e notoriamente sono una persona molto equilibrata. Il mio garantismo è di chiara fama, al punto che qualcuno lo ritiene eccessivo: non me ne preoccupo, lascio parlare la Legge“. Tommaso Miele è presidente della Corte dei Conti del Lazio: non è diventato Giudice Costituzionale per un solo voto venuto a mancare all’ultimo secondo. Oggi il suo nome è il primo nella terna per la nomina al vertice della Corte dei Conti nazionale. Ed è nel mirino di una sofisticata macchina del fango.

La terna di rottura

Tommaso Miele. Foto © Alessandro Meoli / Imagoeconomica

Una terna di rottura, fatta saltando tutti gli schemi consolidati. E quando è stato chiaro che Tommaso Miele è davvero lanciato verso la presidenza inizia il cecchinaggio. Compiuto con una micidiale macchina del fango: con il chiaro obiettivo di farlo sbandare, risultato massimo ottenibile su un magistrato che non ha scheletri nell’armadio. (Leggi qui Corte dei Conti, un presidente al… Miele).

Niente imbarazzi in un’intera carriera, niente tangenti e nemmeno un’amante. Zero droga, zero cavalli: l’unico eccesso è quello di cui deve farsi carico il suo apparato digerente. Infatti, l’unica cosa di troppo nella sua vita sono trigliceridi e transaminasi. Anche le origini lo premiano: figlio di due umili commercianti di granaglie in un modesto paese di provincia che ha come solo elemento di notorietà i natali dati a San Tommaso padre della Chiesa moderna.

In magistratura c’è entrato dopo avere vinto il concorso per l’accademia di Polizia. Ad Abbasanta, dopo averlo fatto marciare ed andare a cavallo sui monti dell’entroterra di Sardegna, hanno capito che gli era più congegniale la teoria e l’insegnamento. Così l’hanno spedito alla Scuola Sottufficiali per insegnare Diritto e Procedura.

Miele, un giudice scomodo

Corte dei Conti © Imagoeconomica / Benvegnu’ Guaitoli

Scomodo lo è sempre stato: perché non è né trinariciuto nè baronale, anzi concede fin troppa confidenza. Elargita sulla forza di una convinzione: a parlare sono gli atti e la Legge, non l’attovagliamento.

Troppo scomodo un tipo così. Inaccettabile che possa fare il presidente della Corte dei Conti: perché può permettersi di non rispondere, politicamente parlando. A nessuno. Nemmeno alle camarille che in questi anni hanno tolto parte della credibilità alla corporazione dei Magistrati. Arrivando a sostenere, in pubblico ed a viso aperto: “Penso che sarebbe giusto prevedere per i magistrati la visita psicoattitudinale obbligatoria ogni 6 mesi, come per i piloti d’aereo. Dopotutto anche noi assumiamo la responsabilità sulla vita ed il futuro delle persone, delle loro famiglie dei loro beni. Vedo troppi integralisti sotto la toga”. (Leggi qui Corte dei Conti: Miele inaugura l’anno giudiziario. “La Giustizia non è vendetta”).

Per impedirgli di diventare presidente della Corte dei Conti hanno tirato fuori una serie di tweet che risalgono a quattro anni fa. Quelli che lo conoscono non hanno bisogno di domandargli se siano veri o una bufala. (leggi qui su Il Foglio).

Messaggi che coprono di insulti Matteo Renzi. Che Tommaso Miele avesse alcune riserve su parte dei temi proposti dal referendum è notorio, che possa averle espresse con quei toni e quei termini è probabile tanto quanto la possibilità che la sua giuridica rubicondità possa passare per la cruna di un ago.

L’account hackerato

Corte dei Conti © Massimo Franceschin / Imagoeconomica

Chi ha scritto allora quei messaggi? Sull’ipotesi che il suo account sia stato hackerato il giudice risponde.

Non ho mai detto questo. Quei tweet, che sono presenti sul mio profilo, sono stati scritti da una persona a me ignota, che evidentemente ha avuto accesso al mio account, utilizzando indebitamente il mio Ipad. Spesso lo lasciavo incustodito in ufficio anche per diversi giorni e senza alcuna protezione, racconta.

Lasciavo l’Ipad senza password perché potessero usarlo i miei collaboratori per la ricerca di leggi o provvedimenti. Un errore che oggi non ripeterei. Riconosco di essere stato poco accorto da questo punto di vista ma io sono assolutamente trasparente, non ho nulla da nascondere“.

Inoltre secondo Miele, ”visti gli orari credo che chi ha scritto quei tweet abbia portato a casa sua l’Ipad“. All’epoca della pubblicazione peraltro, aggiunge, “io non usavo l’account da alcuni anni. Di fatto era abbandonato“.

L’iPad di Miele? Incustodito

Ipad lasciato incustodito

Vero. Ma manca un dettaglio. All’epoca, proprio perché volutamente non usava l’account con il suo nome e cognome al fine di preservare l’immagine del magistrato, ne possedeva un altro: conosciuto solo ad una cerchia di fidati, per poter comunicare con moglie e figli.

Miele è stato definito dalla stampa come un ultrà grillino. ”Non sono mai stato iscritto al Movimento 5 Stelle, né ad altri Partiti, né ho mai manifestato pubblicamente il mio pensiero politico perché ritengo che un giudice non lo debba mai fare“.

Poi chiarisce: Io non ce l’ho con Renzi, assolutamente, anzi ho avuto modo di apprezzarne soggettivamente l’azione di governo. Approfitto di questa occasione per chiedergli formalmente scusa non già per il contenuto dei tweet che non sono miei, ma per il fatto che siano stati pubblicati per effetto di mia mancata vigilanza sul profilo social“.

Fuori dopo 4 anni

I tweet di un account cancellato risalgono a 4 anni fa ma sono usciti fuori soltanto adesso che Miele è in pole position per diventare il numero uno della magistratura contabile nazionale.

Un caso? Per Miele non è un caso. Non sono un dietrologo o un complottista, non ho le prove per accusare nessuno e dunque evito qualsiasi congettura – dice – Non ci voglio neppure pensare che in una magistratura, in occasione della nomina del vertice, si ricorra a complotti”.

In tanti – anche colleghi – mi fanno notare la circostanza che vengano tirati fuori proprio ora questi tweet, benché pubblici, vecchi di 4 anni. Giudichi chi ha gli elementi per farlo, anche a me la circostanza e la coincidenza sorprendono ma più di questo non posso dire“.

La mia nomina – aggiunge Miele – forse non è gradita a qualcuno all’interno della Corte, forse dà fastidio che io sia – stando a quel che ho letto sui media – stato indicato quasi all’unanimità da tutto il Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, sia dai componenti laici che dai componenti togati’‘.

Tornando ai tweet delle polemiche, Miele ricorda come “all’epoca non vennero mai ripresi e non hanno mai interessato nessuno”.

Non è la prima volta

Tommaso Miele © Imagoeconomica

Non è la prima volta che “qualcuno cerca di mettermi in cattiva luce, aggiunge.

Non è la prima volta che la macchina del fango si mette in moto puntando su Tommaso Miele. Era accaduto anche quando era in corsa per diventare presidente della Corte dei Conti del Lazio: una sede prestigiosa, strategica perché da lì è possibile muovere fili importanti: di quelli che a Miele non interessano.

‘“Qualcuno ha cercato di sgambettarmi facendo uscire ad orologeria notizie riguardanti inchieste penali da cui io sono stato immediatamente estromesso già in fase istruttoria, non appena i magistrati hanno avuto modo di leggere la carte, riconoscendo il comportamento assolutamente irreprensibile del sottoscritto“.

Quando Miele finisce nel mirino

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Ma quando Tommaso Miele finisce nel mirino? Quando diventa un bersaglio mobile, da abbattere sotto la macchina del fango? O almeno da far sbandare sulla via dell’elezione?

Tutto comincia quando della Corte dei Conti approda alla Consulta Angelo Buscema pupillo di Sergio Mattarella e nominato a sue tempo da Paolo Gentiloni. Buscema viene letto con appena 4 voti di vantaggio su Vito Tenore, un moderato che insegna anche presso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione (Sna).

L’elezione di Buscema lascia libera la poltrona di capo della magistratura contabile. Tommaso Miele è il suo erede naturale: per lo spessore giuridico, il profilo morale, il passato integerrimo. Ne sono convinti anche i componenti laici del Consiglio di Presidenza: molti di loro considerano uno sfregio il fatto che a Miele sia stato fatto mancare, poco tempo addietro, quel solo voto che lo avrebbe proiettato nella Corte Costituzionale.

In accordo con i componenti togati lanciano il nome di Tommaso Miele: una designazione di rottura, perché fa saltare la consolidata tradizione che privilegia l’anzianità alla competenza, la polvere alla bravura.

Aspiravano a quella designazione nomi blasonati come Raffaele Dainelli (in pectore a Buscema), Luciano Calamare (per anni controllore della Rai), o Carlo Chiappinelli.

La pregiudiziale Renzi

Matteo Renzi

Gli insulti a Matteo Renzi intanto, veri o falsi, raggiungono il loro effetto. Scatta la pregiudiziale nei confronti di Tommaso Miele. A Palazzo Chigi c’è chi pensa sia opportuno congelare quella nomina perché suonerebbe come un attacco frontale al fondatore di Italia Viva.

Gli sherpa si mettono in azione. I sostenitori di Miele sono tanti. E così contattano l’uomo di Rignano e gli spiegano che forse è in corso una macchinazione. In quegli stessi minuti l’AdnKronos ufficializza la posizione dell’alto magistrato: nega la paternità di quelle frasi, si scusa per non avere custodito l’account.

Il messaggio giunge a destinazione. Matteo Renzi non è uno sprovveduto. Capisce al volo la situazione. Solleva il cellulare e detta alle agenzie di stampa: “Come spirito costruttivo, al momento non commento“. È il segnale di ‘Cessate il Fuoco’. Vuole capire. Chiede conferme ed informazioni ai suoi fidati.

La partita è aperta.