Il triangolo rosso e la battaglia buona del soldato Lucy

“Sono stato bambino, figlio e figlia, soldato, disertore e prigioniero, madre, prostituta e amante. Ma qualsiasi persona sia stata, posso dire con convinzione di essere stata sempre me stessa”. L'addio a Lucy Salani

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Nel Piemonte sabaudo di un secolo fa i fratelli ed i genitori di Luciano Salani lo capirono subito che quel ragazzo aveva “qualcosa che non andava”. Lo capirono molto velocemente perché per ripudiare un figlio “effeminato” nell’Italia del 1938 neanche serviva il contenitore angusto del fascismo. Sotto la coltre nera del Ventennio già iniziato covava ancora un’Italia giolittiana e notabile già abbastanza rigida di suo: un’Italietta austera che tra gonna e pantalone metteva l’acciaio di un Risorgimento baffuto.

Luciano però lo sapeva già di non essere Luciano e cominciò a chiamarsi Lucy. Lo faceva di nascosto, da 19enne, nelle camerate lerce e mascoline del reggimento di artiglieria Cormons a cui dopo l’otto settembre del 1943 era stato assegnato. Dichiararsi omosessuale non gli era servito a scampare la leva coatta dell’Italia bipolare che si suicidava a Salò e provava a sopravvivere a Cassibile.

Il guaio di Luciano-Lucy era proprio questo e lo sarebbe rimasto per decenni: la sua storia di vita era perfettamente sovrapposta ai momenti della Grande Storia che strapazzava il Paese. Perciò la forza di quella donna in un corpo di uomo restarono sempre sullo sfondo e ci vollero decenni di casini e il grip di una scrittrice coraggiosa come Gabriella Romano per far si che la sua storia diventasse una Storia.

Lucy: disertore, mignotta, deportato

Lucy Salani

Luciano comunque alla fine disertò e di corsa nei campi bombardati tenendo per mano Lucy si ritrovò prima con i genitori e poi sull’altra parte del fronte, a combattere per i nazisti a Suviana. Ma se quella persona stava male con quelli che avevano “ragione” figurarsi come doveva sentirsi con quelli che avevano torto, perciò quella volta lì fu Lucy a prendere Luciano per mano e a disertare una seconda volta.

A Bologna Lucy fece la mignotta. Era un modo come un altro non solo per sbarcare il lunario, ma anche per dire al mondo come la pensava il suo cuore. E come si regolava di conseguenza il suo corpo. Manco a dirlo la arrestano in un covo di battone, scappa, la riacciuffano e si ritrova sotto processo a Verona. La Verona che aveva fucilato Ciano. I nazisti la condannarono a morte ma Albert Kesserling commutò la condanna nei lavori a vita. Dove? A Bernau, da cui se la diede a gambe. Poi a Dachau, dove le gambe tremavano troppo dal terrore per mettersi in moto in una fuga. Le gambe di Lucy tremarono forte quando incontrò l’orrore e le venne attaccato un triangolo rosso in petto. Il rosso dei prigionieri politici ed il rosso delle secchiate di sangue che Lucy vide scorrere in sei mesi.

La liberarono gli americani, a Lucy. Era stata fucilata nell’orgia assassina che fece da preludio alla fine del campo. Con gli obersturmführer teschio-tibiati delle SS a dare ordini secchi e frettolosi di raggruppare i prigionieri e sparare su di loro dalle garitte per non lasciare testimoni. Un proietto di Mauser bucò una gamba di Lucy e gli alleati la trovarono così, sanguinante in un mucchio di cadaveri. La guerra era finita, almeno quella degli altri, ma la guerra di Lucy non cessò mai.

I diversi non esistono

Lucy Salani

Non poteva finire perché in quegli anni Lucy era sopravvissuta al fuoco nazista ma era morto Luciano, lui non era sopravvissuto al fuoco del cambiamento che gli covava dentro. Da Roma a Torino fino a Parigi Lucy Salani, quella che gli studiati amanti delle caselle chiamano “la sola donna transgender sopravvissuta ai campi di concentramento”, iniziò il suo percorso vero. Donna era nata dentro e donna divenne fuori. La famiglia l’aveva vista bruco, la guerra l’aveva tenuta crisalide e la pace la scoprì farfalla, lepidottero zoppo e con le ali strappate ma ancora capace di volare fino alla sua identità.

Negli anni a seguire Lucy visse fra i poveri della terra e la povertà di un mondo che non era pronto ad accettare chi fosse. Perciò continuò a combattere, stavolta per affermare se stessa.

E’ morta pochi giorni fa, Lucy Salani. Vecchia e fiera. E’ morta e se n’è andata da un mondo che sta iniziando a capire. Capire che non esistono “diversi”, ma tutte le declinazioni possibili della vita, singoli strumenti di un unico, bellissimo concerto. Le dobbiamo un ultimo passo. A lei ed a noi: smettere di capire e semplicemente vivere. Ognuno col suo spartito, tutti con la musica in testa.

Ricordandoci di come ha lottato lei per scrivere la sua, di canzone.