Il Vate, il canone Rai e il signor Rossi

Quell'insolito collegamento tra D'Annunzio ed il canone Rai. Per cercare di tenere tutto in equilibrio

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Gabriele D’Annunzio conosceva il click-bait ed il suo valore: ne diede prova certissima quando, pischelletto ma già Vate in erba, fece diffondere la falsa notizia della propria morte per creare un effetto-traino sull’uscita della sua prima opera, l’acerbo “Primo Vere” del 1879. Lo studente verseggiatore lanciò una sua fatale caduta da cavallo. E, per ironia della sorte, oggi proprio dal posto dove sta un cavallo pare ripartire la nuova stagione di modernizzazione dell’autore, il cavallo della Rai.

Il signor Rossi della Rai

Giampaolo Rossi (Foto © Imagoeconomica)

Molto dopo la Reggenza del Carnaro e abbastanza dopo gli Immancabili Destini, tanto da non suscitare sospetto alcuno, in Rai infatti è approdato, come direttore generale, un Rossi. Ma non è un signor Rossi qualunque: è Giampaolo Rossi, l’uomo chiamato a trasformare la “Melevisione” in “Melonivisione. Ma con il garbo decadentista che spazza via ogni sospetto dal voler mutare la televisione di Stato in un megafono del sovranismo di ritorno.

Ecco, siccome Rossi è uno che ama essere decadente ma con nuances di “Sturm und drang” e di sé dice che è più futurista di Marinetti, non si è fatto scappare l’occasione. E ha detto due cose, una che ha fatto piacere ai pescaresi concittadini di D’Annunzio ed un’altra che è piaciuta poco a quelli che sul comodino ci tengono Alberto da Giussano.

Rossi ha manifestato la pia intenzione di voler promuovere un cartone animato su Gabriele D’Annunzio, roba che Zerocalcare scansati. Ovvio che il nuovo direttore generale della Rai questa faccenda l’ha tirata fuori dal cilindro come fanno i maghi quando sanno che di fronte hanno un pubblico di piccoli Silvan. Perciò la proposta di fare del Vate già giovane un secolo fa un giovane ancor più giovanile è arrivata davanti alla platea di Cartoons on The Bay – International Festival of Animation, Transmedia and Meta-Arts. Che si è tenuta a Pescara ovviamente, cioè a casa D’Annunzio. Che è un po’ come dire ad Alberto Angela che Piero Angela era bravo.

Non è Rai per passatisti

Gabriele D’Annunzio

Rossi ha messo le mani avanti e ricordandosi che tra D’Annunzio com’era e D’Annunzio come dovrebbe essere ci passano una manica di decenni gran parte dei quali immortalati dall’Istituto Luce, ha coniato una parola chiave. Lui non è un “passatista”. Cioè? Trattarsi di neologismo utile quando essendo uno che guarda al passato devi fare di tutto per non farlo vedere e perciò spieghi che non stai guardando al passato ma al futuro travestito da passato.

Roba che ti torna utile se a volerti in Rai è stata una che con il passato ancora oggi, a torto o a ragione, ci fa i conti. Il “passatista” non è perciò figura che riguarda Rossi, che ha usato il termine solo per dire ciò che non è. E lo ha spiegato: “Mi descrivono come un futurista… però (e in quel però avversativo c’è tutta l’ammissione del passatismo che c’è e come, ma solo in deroga) noi siamo qui, nella città di Gabriele D’Annunzio, in un luogo molto rappresentativo come la ex fabbrica del liquore Aurum, il cui logo e il cui nome furono ideati proprio da lui”.

Poi giù di apologia per uno che di apologeti non ne ha mai avuto bisogno: “D’Annunzio è stato uno dei personaggi più incredibili della modernità italiana, ma in genere viene rappresentato come una sorta di uomo austero, barocco, decadente”.

Dopo aver detto la bugia per creare l’effetto verità, Rossi la verità l’ha detta insinuando che sia stato lui a rivelarla con un’angolatura nuova per leggere il personaggio: “In realtà (dove “in realtà” schiude tronfio la presunta nuova chiave di lettura) D’Annunzio è colui che ha inventato la modernità, il cinema, la pubblicità. Ha inventato il logo dell’Aurum ma anche lo stemma della Nazionale italiana di calcio. Buona parte delle visioni moderne in termini comunicativi le ha inventate D’Annunzio”.

Dall’apologia all’epica

Dante e il suo poema, affresco di Domenico di Michelino nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze (1465)

E udite udite ché non si finisce mai di imparare “è stato anche un grande uomo d’azione, oltre a essere il poeta italiano più tradotto nel mondo dopo Dante Alighieri”. E giù di epica: “Secondo me l’impresa di Fiume che fece lui è stata una delle più grandi epopee libertarie della storia non solo d’Italia ma d’Europa, fu l’evento in cui c’era il voto alle donne, la parità di diritti, la Costituzione del Carnaro. Che fu l’unica al mondo che mise la bellezza al centro dell’essere cittadini”.

Poi la chiosa ruffiana mitigata da quel pubblicistico condizionale: “Sarebbe davvero molto divertente fare un cartoon su un personaggio così moderno come Gabriele D’Annunzio”. Il canone d’annunziano come prova provata della modernità della nuova Rai è apparso come il suo ispiratore: potente, fluo, ridondante e cremoso. Ma deboluccio nella giustificazione della sua esistenza empirica. Ma c’è un altro canone, di certo più tetragono, con il quale Rossi vuole fare i conti, ed è quello da pagare alla Rai.

L’evergreen supremo di ogni cambio vertice in governo ed azienda è ancora un’amletica bascula. Gabella da resettare per molti, tassa dovuta da rimettere in bolletta autonoma per pochi. E tra quei pochi c’è Rossi, che qui però di supercazzole elegiache a disposizione ne ha ben poche. Perciò una ce la giochiamo noi: come D’Annunzio che nel 1915 rifiutò la cattedra di Pascoli per andare a guerreggiare così Matteo Salvini, che ai versi preferisce i tweet, sta conducendo la sua personale guerra contro il canone e rifiuta ogni accomodamento mediato sul tema.

Il reset del canone Rai

Matteo Salvini e Claudio Durigon (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Nessuno s’adombri per il paragone con Pascoli, a contare che sul Ponte di Messina il ministro si è paragonato a Brunelleschi, quindi ha cominciato lui. Salvini il reset del canone Rai lo aveva promesso ai suoi elettori a Pontida. Con tanto di proposta di legge ufficiale: via in cinque anni e la chiudiamo qui. E lì son stati mezzi dolori. Perché in maggioranza non sono tutti d’accordo e perché Rossi è uomo “di Meloni”, cioè è uno che sulla spalla ha poggiata una mano catafratta d’acciaio. E può tenere botta passando per uno che ha una convinzione ferma, non uno sponsor maximo.

Perciò ha detto motivando cartesianamente la cosa: “Lo ricordo, e non perché voglia fare polemiche di alcun tipo, la Rai è il servizio pubblico che ha il canone più basso in Europa. Molte meno risorse di quante ne possa avere la Bbc o France Television“. E la Lega? Non cede di un millimetro ma la butta in gradualità. Dicendo “La Lega ribadisce l’impegno di ridurre, fino all’obiettivo di azzerare, il canone Rai che oggi è a spese degli italiani“.

Sì, ma il Vate riesumato per sostituire Peppa Pig con la famiglia “strana” che tanto fece incazzare Lollobrigida? In attesa di vederlo su sfondo fluo con storyboard ha lasciato un consiglio a entrambi, a ciascuno per il suo fronte: “Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane“.

E ancora una volta la Storia se lo abbraccia stretto e la cronaca fa un passo indietro.