Il vescovo dall’altare: «Le istituzioni facciano mea culpa»

Il monito del vescovo di Rieti durante la Messa celebrata via streaming. per anni si è discusso delle cose sbagliate. Bisognava concentrarsi su Salute ed Educazione. Invece di dividersi sui migranti. Che ora scopriamo quanto invece ci servano

«Tanti dibattiti sui migranti, motivo di divisioni, e poi non ci si è concentrati su salute e dell’educazione»: il vescovo di Rieti monsignor Domenico Pompili, non è uno che parla a caso. Non gli sfuggono le parole davanti ai microfoni: è stata una delle prime umane tentazioni che ha imparato a dominare. E anche per questo s’è ritrovato a guidare la Commissione Cultura e Comunicazione Sociale della Conferenza Episcopale Italiana: è la diretta espressione dell’azione pastorale della Chiesa italiana in questo settore (stampa, cinema, radio, tv, web).

È per questo che hanno un peso enorme quelle parole, pronunciate celebrando la messa via streaming da quel vescovo che per 11 anni è stato parroco di Vallepietra, poi parroco della Concattedrale San Paolo Apostolo ad Alatri, segretario dell’allora vescovo Luigi Belloli. Monsignor Pompili è uno di quelli nominati vescovo da Papa Francesco.

Una recente celebrazione del vescovo Pompili

Nel corso della messa ha invitato tutti, in primo luogo le istituzioni, ad un ‘mea culpa’ per tutto ciò che comprendiamo solo oggi con  l’emergenza coronavirus e che è stato trascurato .

«Abbiamo abboccato all’opinione assai diffusa che l’unico problema del nostro Paese fosse l’arrivo di chi veniva da fuori. – ha detto  il vescovo ricorrendo all’immagine del pesce d’aprile – L’immigrazione ci ha divisi, ha tenuto banco nei dibattiti. Salvo ora capire meglio che sarebbe stato necessario concentrarsi su altri ambiti: la salute, l’educazione».

Pompili ha ricordato “l’appello del sindaco di Bergamo Giorgio Gori che chiede migliaia di braccia da fuori città per far ripartire l’agricoltura: anche questo è stato un pesce d’aprile a cui abbiamo abboccato“.

Il tweet di Gori

Braccianti Agricoli

Il riferimento è al tweet lanciato il 31 marzo dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori raccogliendo l’allarme lanciato da Confagricoltura dopo le prime settimane di emergenza sanitaria. «Nell’agricoltura italiana lavorano 400mila lavoratori stranieri regolari, il 36% del totale, la maggior parte dei quali rumeni. Quest’anno non arriveranno. Chi raccoglierà gli ortaggi e la frutta? Servono almeno 200 mila lavoratori extracomunitari. Serve subito un decreto flussi».

Il grave problema nelle campagne, la mancanza di manodopera, era stato sollevato dal presidente dell’organizzazione agricola Massimiliano Giansanti. Aveva ricordato che «con il blocco della circolazione, le quarantene e le persone con problemi di salute e quelle che se ne sono andate non è facile reperire forza lavoro».