Il vescovo Pompili: «Basta egoismo sulle ferite di Amatrice»

Foto © Imagoeconomica Stefano Carofei

L'omelia del vescovo Pompili (originario di Acuto) durante la messa per la commemorazione delle vittime del terremoto di Amatrice. Le accuse ad un Paese che litiga ma non mette in sicurezza

La polvere si attacca alla gola. Entra dal naso, si appoggia sui bronchi, fa starnutire. È una polvere che non vedi, una polvere sottile di macerie che qui ad Amatrice ancora sono realtà, sono ferita nell’anima. Tre anni dopo quella notte maledetta che fece venire giù un intero paese ed il suo circondario, non c’è bisogno della polvere per ricordare il dramma, per commemorare l’incubo.

Domenico Pompili è il vescovo mandato da Papa Francesco a guidare una diocesi ferita. Guarda al passato, protesta per il futuro. Lo fa dall’altare durante la messa. Perché «Senza un progetto, cioè senza un respiro lungo non si va da nessuna parte. E come si vede, proprio in questi giorni, l’Italia stessa boccheggia. Più che una visione in questi tre anni si è fatta strada una certa confusione. Se manca uno sguardo condiviso si spegne anche l’entusiasmo, passata l’adrenalina dell’emergenza».

Macerie di un Paese

Il vescovo Pompili durante la Messa

Non parla solo delle macerie di Amatrice. Ma anche delle macerie di un Paese che si sta sgretolando, dividendo, nel quale tutto è criticabile e non ci sono più punti di riferimento. E rischia di avere ragione solo quello che urla più forte. È uno concreto monsignor Domenico Pompili, sa benissimo come si usano le parole: nel suo passato ci sono incarichi di responsabilità nella Comunicazione della Conferenza Episcopale. È per questo che oggi chiede di «Sapere, ad esempio, cosa fare delle cosiddette ‘Aree interne’ del Paese: è un modo concreto per fare chiarezza rispetto ad un contesto che va rigenerato non per ostinazione, ma per necessita’. Perché l’Italia senza i borghi dell’Appennino non è più la stessa».

Guarda al presente, non scorge un futuro preciso il monsignore. Per questo le sue parole sono pesanti come macigni, portati all’interno del Palazzetto dello Sport di Amatrice in occasione del terzo anniversario dal terremoto che sconvolse il Centro Italia. Ad assistere alla funzione ci sono il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ed il sottosegretario Vito Crimi. Il vescovo vuole chiarezza: per Amatrice ma anche per il Centro Italia, l’Appennino, il Paese. Perché la politica trascorre il tempo a litigare ma un piano per la messa in sicurezza delle aree interne ancora non decolla.

Le macerie di Amatrice

«Occorre però – ha continuato il vescovo Domenico Pompiliche su questa priorità si converga quando si decide di infrastrutture, servizi sociali, opportunità culturali. Più che una visione in questi tre anni si è affermata una limitazione che coincide con il proprio ‘particulare’. L’ingenuità di cavarsela da soli, peraltro, è figlia di una mentalità diffusa: quella del ‘prima io’, che porta a non prendersi cura dell’insieme». È un atto d’accusa che coinvolge tutti, perché si rischia di privilegiare pochi e invece la ricostruzione deve essere parte di un progetto che coinvolga tutti. Non solo ricostruzione materiale ma anche morale. Stando insieme.

Basta grida sui social

Ma è solo l’inizio: il vescovo punta il dito. Contro l’egoismo, contro le grida dalle piazze virtuali dei social, mentre Amatrice soffre. Denuncia «Il rarefarsi della socialità’, a dispetto dei social, è l’esito triste del restringimento mentale degli individui. E quando vien meno il campo largo sulla realtà la capacità di resistere scompare. Ritrovare una ‘visione‘- ha concluso il vescovo- è l’unica strada per sottrarsi alla paralisi di un’analisi senza speranza. Lo dobbiamo non solo ai nostri figli, ma anche a quelli che non sono piu’ tra noi. La domanda vera, infatti, non e’ da dove vieni, quanto ‘dove vai?’»

La messa del vescovo Pompili

Poi la citazione alle Scritture. L’ultimo libro della Sacra Bibbia, l’Apocalisse di Giovanni. Il passaggio scelto è quello in cui l’autore scrive “L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo“. Il vescovo spiega che il libro dell’Apocalisse non indulge a scenari apocalittici, ma al contrario concentra la sua attenzione su una città che annuncia il superamento del mondo attuale.

Cosa vuole dire? «Gerusalemme, dunque, diventa il simbolo di un mondo nuovo e allontana lo sguardo da un mondo vecchio e ormai anacronistico. A tre anni dal terremoto– ha continuato il vescovo- siamo comprensibilmente centrati sui ritardi della ricostruzione, sullo spopolamento, su una burocrazia che non conosce deroga, sul disamore che si intravede rispetto a questa bellissima terra. Questo e’ il mondo vecchio. Non basta pero’ quest’analisi indiscutibile. Occorre un’altra cosa: ci vuole una ‘visione’. Questo e’ il mondo nuovo».

Amatrice subito dopo il terremoto

Ma se in tre anni non c’è stata una visione, allora cosa è avvenuto? «A dire il vero, più che una visione in questi tre anni sono prevalsi ‘punti di vista’ diversi, anche a motivo dell’alternarsi di Governi, di responsabilita’ personali, di varia umanita’. E la tendenza ogni volta e’ stata quella di ricominciare daccapo, nel modo esattamente contrario a chi è venuto prima. L’effetto inevitabilmente non poteva essere che lo stallo» ha concluso monsignor Pompili.

Le Fake su Renzi

Matteo Renzi

Il terremoto di Amatrice diventa occasione per tornare a colpire Matteo Renzi. Accusarlo di ritardi nella gestione dell’emergenza e della ricostruzione. L’ex premier non ci sta ed a chi ha messo in giro su Facebook la Fake News ribatte «La notte di Amatrice e degli altri territori colpiti dal sisma resterà per sempre nel mio cuore, ferita mai cicatrizzata, dolore ancora presente. Sono passati tre anni e sembra ieri. A chi insiste con le fake news e le polemiche assurde dico che ho fatto il premier per tre mesi dopo il terremoto. Prendermi gli insulti per cio’ che non ha funzionato nei tre anni successivi, non nei tre mesi, mi sembra ingiusto».

Una risposta affidata alla sua bacheca. Sulla quale il senatore prosegue «Lasciamo stare gli insulti e le fake news: l’unico modo per ripartire ed evitare le polemiche e’ dare tutti una mano nell’ambito delle proprie responsabilità. Il dolore delle famiglie delle 299 vittime non avrà mai fine: almeno onoriamo la memoria di chi ha perso la vita ricostruendo senza polemiche. Tutti insieme».

Esattamente come ha chiesto il vescovo Domenico Pompili.