Il vitello di metallo al quale ci siamo fatti schiavi

Nessuno ci ha obbligato. ma ci siamo fatti schiavi. Ci siamo costruiti un vitello d'oro come fecero gli ebrei durante la fuga nel deserto. E come loro, ci siamo sottomessi ad un modello di vita che nessuno ci ha imposto. Se non noi stessi

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele  (Esodo 32, 8-9)

Se rileggiamo con attenzione le parole di questo famosissimo brano del Libro di Esodo, capiamo esattamente cosa accade all’uomo d’oggi: si è costruito un idolo, l’ha fatto lui, non gliel’ha imposto nessuno, è chiaramente una sua decisione. Un atto di libertà che poi si trasforma in schiavitù, cui rendere sacrifici, cui obbedire,  da adorare.

È davvero una contraddizione spaventosa: siamo pronti a servire qualcosa che noi stessi abbiamo costruito, ci prostriamo a lei, e non siamo capaci di liberarcene… Eppure l’abbiamo fatta noi. È la polemica fondamentale di tutto il profetismo di Israele che contesta l’idolatria, cioè l’adorazione da parte dell’uomo di qualcosa che l’uomo stesso ha costruito.

Adorazione del Vitello d’oro (Nicolas Poussin)

Facile capire che il paradigma di Esodo (l’uomo adora qualcosa che lui stesso ha fatto) possa applicarsi alla nostra vita di oggi. Qual è l’idolo che ci siamo costruiti? E’ quello del consumo, del godere del possesso, dell’avere necessità di comprare cose che poi effettivamente non ci servono.

Una semplice occhiata agli armadi di casa ci convincerebbe immediatamente di come il paradigma di Esodo sia efficace: quanti vestiti, scarpe, maglioni, camicie sono lì dentro senza che li usiamo? Non ci basterebbe il tempo che resta da vivere per indossarli tutti. Eppure, continuiamo a comprare, a consumare, senza renderci conto che si tratta davvero di un idolo, cui offriamo il sacrificio della nostra vita, della nostra serenità, financo della nostra felicità.

Liberarsi dal vitello

Non è un ragionamento pauperistico, non si tratta di rinunciare al denaro oppure di accontentarsi, ma di tornare in sé stessi. Chiedersi se  davvero sia necessario comprare tutta questa roba che poi non utilizziamo, come bambini che vogliono tutti i giocattoli che vedono, per poi stancarsene rapidamente, abbandonandoli, tristi.

Foto © Borko Manigoda / Pixabay

Si tratta di un’idolatria sottile che riguarda tutti gli strati della popolazione, da chi ha più disponibilità di denaro a chi ne ha meno, fino ad essere spinti a comportamenti illegali, anche delittuosi, pur di avere la somma necessaria per rendere sacrifici all’idolo, a quel vitello d’oro che in questi decenni ci siamo costruiti e che rischia di essere il nostro padrone definitivo.

E la Parola appare in tutta la sua chiarezza: Ecco il tuo Dio! Dio è il fondamento dell’esistenza, il principio cui tutto si àncora, il punto di riferimento essenziale. Noi abbiamo reso il consumo il nostro dio: macchine, viaggi, borse, scarpe, week end. Tutto in una corsa affannosa a consumare che ci lascia sempre con l’amaro in bocca, perché quel dio è invece il prodotto delle nostre mani e non è invece il senso della nostra esistenza, l’orientamento della nostra vita, il sole che mena altrui per ogne calle, come direbbe Dante nella selva oscura.

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti).