Ilva, retromarcia Cinque Stelle: gli indiani non hanno mai comprato Patrica

Arcelor Mittal non ha mai comprato la Ilva di Patrica. Smentiti gli annunci fatti dall'onorevole Segneri. Cosa è accaduto. La svolta del 2017 con il piano industriale proposto dalla Demi Engineering. Al quale nessuno ha dato seguito.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Bugie, incomprensioni, dilettantismo e molta approssimazione. C’è questo dietro al dramma che si sta consumando in queste ore sulla pelle degli ottanta lavoratori della ex Ilva di Patrica.

Lo stabilimento non verrà rilevato dagli indiani di Arcelor Mittal. .

Ad ammetterlo è stata l’onorevole Enrica Segneri (Movimento 5 Stelle), la stessa che due settimane fa aveva annunciato che Patrica era stata acquistata da Arcelor Mittal insieme agli stabilimenti di Taranto e tutti gli altri del gruppo.

Una retromarcia innestata dalla deputata mentre è in piena corsa. Con il rischio di spaccare il cambio.

 

Mittal ci ripensa, i sindacati sapevano, il Governo no

L’onorevole Enrica Segneri non dice di essere stata precipitosa nell’annunciare un acquisizione che in realtà non è avvenuta. Ma parla di un ripensamento. Nella sua dichiarazione ufficiale scrive che « Mittal ha fatto un passo indietro sull’acquisizione del sito dell’ex Ilva di Patrica. In un incontro avvenuto qualche giorno fa al Ministero dello Sviluppo Economico».

Per la deputata, la colpa di quel ripensamento è dei sindacati, che non si sono fidati delle politiche del Pd.

è arrivata sul tavolo una lettera risalente a luglio 2017, quando al governo c’era il PD, in cui Mittal stessa, sottoscriveva alla presenza dell’allora rappresentanza del Mise e delle rappresentanze sindacali e dei commissari dell’ex Ilva, il suo disinteresse al sito di Patrica. 

Un documento di cui il governo non sapeva nulla. Ma del quale erano però a conoscenza i sindacati.

Un documento che sostanzialmente evidenzia il fatto che non si aveva fiducia, all’epoca della sottoscrizione del documento, nelle politiche di Calenda e del governo di allora e probabilmente si spinse a prendere la strada della cessione, scegliendo così di dividere il destino dell’Ilva di Patrica da quello dell’Ilva di Taranto.

 

Una ricostruzione che manda su tutte le furie la Fim Cisl, il sindacato che più di tutti ha seguito la questione Ilva di Patrica. Il sindacato in serata ha bollato come “fantasiosa” la ricostruzione della deputata. Esprimendo stupore e risentimento.

Fim Cisl nega di avere firmato la lettera alla quale la deputata fa riferimento. «Non è mai stata sottoscritta dai rappresentanti di Mittal, né davanti al Ministero e né tantomeno davanti alle Organizzazioni Sindacali. Bensì inviata dall’allora Amministratore Delegato di Mittal Italia ai soli commissari».

Le cose sono andate in maniera diversa da quella sostenuta dalla deputata del Movimento 5 Stelle. Molto diversa.

 

La Demi Engineering

Per comprendere tutta la storia bisogna introdurre un nome: Demi Engineering di Giulio Capobianco. È una società specializzata nella meccatronica, con sede a Roma, fondata da un ingegnere della provincia di Frosinone.

Progetta e realizza automatismi meccanici per la movimentazione e l’immagazzinamento. A Roma ha una divisione specializzata nella progettazione e realizzazione di macchinari per cartiere, in particolare quelle che trattano il tessuto – non tessuto tissue. Ma è attiva nei rami della termoidraulica, cartario, chimico-petrolchimico, alimentare e siderurgico.  Installa impianti industriali, si occupa del pre-trattamento delle superfici. Nel settore petrolifero fa piping, impianti oleodinamici, parcheggi automatici, verniciatura ed impianti tecnologici all’interno dei processi produttivi.

 

Nel 2017 l’ingegner Giulio Capobianco chiede udienza al Ministero: vuole allargare il suo campo di produzione. Intende entrare nel mercato dei portelloni di carico per navi mercantili e per traghetti passeggeri.

Il 25 maggio 2017 viene ricevuto dal dottor Gianpiero Castano, direttore generale del Ministero dello Sviluppo Economico, delegato ai Tavoli di Crisi. Con lui ci sono il segretario di presidenza della Commissione Industria di Palazzo Madama senatore Francesco Scalia, il segretario generale della Cisl per la provincia di Frosinone Enrico Coppotelli ed il suo segretario dei Metalmeccanici Fabio Bernardini.

A Castano, l’ingegner Capobianco dice di essere pronto a rilevare lo stabilimento di Patrica.  Perché i capannoni hanno un’altezza ideale per i carri ponte necessari a quelle produzioni. Ci sono già le cifre: 4,8 milioni di euro e la possibilità di riassumere il personale in scadenza di mobilità.

 

La clausola Scalia e la chiave Gnudi

Capobianco presenta le sue credenziali, viene pesato. Si decide di giudicarlo affidabile: ha risposto a tutti i requisiti richiesti, sia quelli tecnici che quelli bancari.

Viene informato l’ex ministro dell’Industria Pietro Gnudi, nel 2017 è amministratore straordinario Ilva, in base alla legge Marzano che tutela i grossi complessi nazionali in crisi.

il professor Gnudi spiegato che fino al 2017 il problema dello stabilimento di Patrica stava nel fatto che fosse considerato un pezzo unico insieme alle acciaierie di Taranto e tutti gli altri impianti. Fu il senatore Francesco Scalia a volerlo, per fare in modo che anche Patrica agganciasse un eventuale piano di vendita o rilancio che toccasse Taranto.

Il fatto di considerarla un lotto unico ha garantito a Patrica una via di salvezza collegata direttamente con Taranto. Ma allo stesso tempo impedisce la vendita. Invece con il passaggio all’amministrazione straordinaria si può procedere allo spacchettamento.

Partono le procedure. Dal ministero viene garantito che entro luglio 2017 si sarebbe dato avvio alla gara pubblica per l’assegnazione del sito di Patrica.

Poi, se ne sa più nulla.

 

Cambia il governo: è il caos

Il 22 gennaio il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ed il dottor Gianpiero Castano vengono sollecitati. Il bando ancora non è partito. Giulio Capobianco vuole sapere se deve investire a Patrica oppure puntare su altre operazioni.

Nessuno risponde. Al punto che il 7 febbraio il ministero riceve un sollecito. Cosa accade? È in pieno svolgimento la trattativa con Arcelor Mittal per la vendita di Ilva. Nessuno vuole compiere il benché minimo gesto che possa turbare il tavolo.

Si decide allora di aspettare che gli investitori indiani: se Arcelor vuole anche Patrica va a loro, se agli indiani non interessa si spiana la strada a Capobianco.

Ma a marzo il centrosinistra si sgretola nelle urne. Al governo sale la nuova coalizione Lega – Movimento 5 Stelle. E proprio questi ultimi puntano i piedi: no alla vendita ad Arcelor Mittal, nel loro programma politico non c’è la vendita di Ilva ma la bonifica dell’intera area; l’accordo viene denunciato dal ministro Luigi Di Maio.

In breve si assisterà ad uno dei primi salti mortali carpiati che caratterizzano questo Governo: il paradossale “la vendita è illegittima ma siccome la carte sono fatte bene non possiamo impugnarla“.

E Patrica che fine fa?

 

Segneri informata dei fatti

L’onorevole Enrica Segneri viene informata sulla situazione. Lo fa la Cisl ai massimi livelli del territorio. Viene aggiornata sull’operazione Demi.

Ma nulla si muove. Perché il Movimento 5 Stelle ha detto che Ilva non si deve vendere ma bonificare. Anzi no, si deve rifare la vendita. No, anzi la vendita non si può rifare perché Calenda l’ha fatta bene anche se è illegittima.

Arriva l’inizio di ottobre. E torna a farsi viva sull’argomento l’onorevole Enrica Segneri, componente della Commissione Lavoro di Montecitorio. Annuncia raggiante che Ilva Patrica è stata venduta insieme al resto del compendio. Se è scattata la clausola però è merito di Scalia e non di altri (leggi qui L’incomprensibile esultanza dell’onorevole Enrica)

 

Ho salvato io Patrica

L’onorevole Enrica Segneri è talmente convinta che la vendita di Ilva sia avvenuta in blocco che non solo scrive il comunicato stampa in cui lo annuncia. Ma se ne vanta anche nel palazzo della Provincia.

Nel corso di un incontro avvenuto il 28 settembre la parlamentare sosteneva che Arcelor Mittal aveva confermato l’interesse anche per lo stabilimento Ilva di Patrica. Cche si sarebbe proceduto con un contratto d’affitto ed entro novembre Mittal sarebbe stata proprietaria dello stabilimento ciociaro.

 

Uscendo, taccia il consigliere Anci Samuel Battaglini.

Il quale oggi scrive «Rimango attonito nell’apprendere che la Ilva di Patrica non sia stata rilevata da Arcelor Mittal. Soprattutto perché solo una quindicina di giorni fa, la stessa onorevole Enrica Segneri, fuori dal palazzo della Provincia, alla presenza di diversi amici di “Vertenza Frusinate“, mi diceva che avrei dovuto ringraziarla del fatto che era riuscita ad intervenire nella trattativa ed a convincere il gruppo Mittal ad inserire nel piano anche lo stabilimento di Patrica. Trattandosi la Segneri di un parlamentare di governo, oltretutto membro della commissione Lavoro e non di un consigliere del piccolo centro lepino, avevo pensato che il tutto fosse possibile. Ed invece, a quanto pare, la cittadine portavoce deputata grillina aveva spacciato una voce di corridoio per un prestigioso risultato da lei portato a casa».

 

Invece non è così

Fim Cisl è la prima a dubitare delle dichiarazione della parlamentare. Chiede un incontro al Ministero per avere conferma dell’interesse di Mittal su Patrica.

È lì che si scopre l’arcano.

Alla luce di questi fatti e considerata la presenza dell’onorevole stessa, rimaniamo sconcertati dalla ricostruzione fantasiosa e caricaturale di quanto avvenuto, in quanto lei stessa nell’apprendere la notizia al tavolo ministeriale chiedeva un ulteriore intervento del MiSE verso Mittal, per essere delucidata se il contenuto della lettera di un anno e mezzo fa, fosse ancora valido o meno.

Qualora Mittal avesse avuto davvero interesse verso il sito di Patrica, avrebbe chiaramente disconosciuto quanto affermato un anno e mezzo prima.

Invece, come a luglio 2017, ha confermato che mai era stato interessato al sito di Patrica. 

 

Insomma, Mittal non ha mai avuto interesse verso lo stabilimento di Patrica. Lo ha scritto nero su bianco nel 2017. Per questo Francesco Scalia – che l’aveva intuito – aveva ottenuto la clausola che invece obbligava a salvare tutto e tutti. Clausola poi fatta saltare quando Capobianco si è fatto avanti per comprare l’impianto e riassumere i lavoratori.

A proposito: nessuno gli ha telefonato per chiedergli se è ancora disposto a fare l’investimento.

Questi sono i fatti.