In morte della tessera: il Pd cambia pelle e sceglie Schlein

La vittoria di Elly Schlein e la sua rivoluzione passano da una tappa obbligata: il rapporto con la 'nuova base' che l'ha eletta dovrà trasformarsi in voto per il Pd. Altrimenti la sua elezione sarà stata solo il disperato segnale della voglia di cambiamento per un Pd bloccato in una eterna discussione

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La svolta epocale del Pd passa per una rivoluzione non solo di idee e concettuale, ma attraverso un vero cataclisma organizzativo che restituisce un Partito più vivo ed ottimista ma “spurio”. In un punto vitale, in quello che per i Partiti è considerato mantra imprescindibile: l’elezione ad opera degli iscritti ma stavolta sostanziata con il voto dei cittadini. E il meccanismo è a due facce, perché se da un lato sublima la scelta dell’ottima Elly Schlein come punto di massima espressione di volontà popolare, dall’altro rappresenta anche il punto più basso di un “patto”.

Del contratto morale cioè che si instaura fra un Partito e coloro che ad esso aderiscono scientemente prima di organizzare la sua esistenza e vivere le sue lotte. Insomma, che abbia vinto Schlein è un bene forse ancor più che se avesse prevalso Bonaccini a traino del voto “interno”, per la democrazia e per l’opposizione al governo Meloni, ma non è detto che possa essere un bene per il Pd così come lo conosciamo. Questo a meno di non voler dar retta ai satanassi insider e considerare le neo segretaria nuova copertina di un libro già letto. (leggi qui: Schlein vince le Primarie Pd: Latina con lei, Frosinone con Bonaccini).

Rivoluzione o scivolamento

Elly Schlein con Domenico Alfieri e Nazzareno Pilozzi

Il che porta ad un successivo piano di ragionamento: quello per cui o i Dem accettano definitivamente di abdicare dalla struttura ortodossa della loro formazione e vanno avanti con una guida ottimale come la Schlein oppure scivoleranno inesorabilmente nel contenitore vasto, vivo ma “diluito” delle grandi formazioni d’area. Contenitore peppiante e dinamico ma deprivato della struttura legittimista per cui un tesserato è “di più” di un cittadino che ha deciso di dire la sua su una faccenda della quale starà a braccetto in maniera random dopo aver esercitato una prerogativa domenicale.

Se il destino segnato era la socialdemocrazia europea di medio mordente, allora questo è lo scarrocciamento gaio di un carro allegorico. Ma se il target era la lotta ad oltranza al fianco degli ultimi allora quello a cui abbiamo assistito è lo scatto in avanti di una nuova macchina da guerra, senza aggettivi in chiosa ché pare porti male.

Il meccanismo è sottile e va capito in entrambe le sue facce: la prima è quella per cui l’universo prog non può che salutare con soddisfazione l’elezione della prima Segretario donna del Partito storicamente più importante e per lunghi anni più grande del Paese. Segretario con un battage ambientalista puro e che è essa stessa icona di un futuro ancora con una gamba nel presente. La seconda è l’altra, quella per cui il rapporto fiduciario con gli elettori “non di bottega” dovrà essere al più presto consolidato. E ove possibile, istituzionalizzato.

Il fidanzamento di Schlein con una nuova base

Elly Schlein, alle spalle Danilo Grossi

Per disegnare lo scenario torna utile un paradosso vetero-familista e becero da Italietta del boom ma calzantissimo concettualmente: quello in cui il “fidanzamento” del Pd con la sua nuova base larga deve sfociare al più presto in nozze, pena l’abbandono della sposa prima che la coppia “figli”. È fin troppo facile intuire infatti, data la natura composita della galassia dem e la potenza di fuoco della frangia di Stefano Bonaccini, sconfitta ma non resettata, che se la Schlein non facesse messe di tesserati lì dove ha fatto frotta di accoliti presto avrà problemi serissimi.

E saranno problemi che andranno a fare massa critica con quelli già atavici del Pd. Che nella cervellotica fisiologia del Partito non sono certo scomparsi assieme ad Enrico Letta, ma solo arretrati per la durata della legittima bolla emotiva successiva ad una vittoria. Che è e resta bella, netta e bene augurante. Per quanti ancora identificano il Nazareno come un tempio della sinistra soltanto un po’ in disuso ma ancora passibile di una mano di vernice pop, l’arrivo della nuova Segretaria ha i toni forti di una rivoluzione. E tuttavia esso rischia di prendere i toni messianici di un avvento in cui il “messia” ha tantissimi discepoli ma pochi apostoli.

Il Pd non è Macron

Nella politica italiana, specie dopo il Lingotto, essere la figura del momento non è mai bastato e nessun Partito sa più del Pd che i trionfi delle sue guide vanno consolidati con la marcia di chi a quelle guide si è affidato.

Solo che il presupposto della marcia è l’identità netta del marciatore, e in questo caso sulla nuova strada del Nazareno ci sono troppe “truppe ausiliarie”, arruolare le quali equivarrà a vivere. Se restassero occasionali cottimisti della bella ma effimera democrazia partecipata il rischio è altissimo, lo conosce la Schlein e lo conoscono quelli che già da domani alla Schlein inizieranno a fare le pulci. Da dentro.