Le strane lacune nell’inchiesta sui rifiuti

C’è un sottile filo giudiziario che collega l’inchiesta sullo scandalo nella Sanità in Abruzzo e quella sul traffico di rifiuti in provincia di Frosinone.

La prima, qualche anno fa, aveva portato all’arresto del governatore della Regione: Ottaviano Del Turco. Alla caduta del suo governo. A nuove elezioni vinte, giustamente, dal fronte opposto a quello del presidente di marca socialista. La seconda, in questi giorni, ha portato sotto inchiesta tutte le più grosse attività specializzate nel recupero e lavorazione dei rifiuti in provincia di Frosinone. Alla nomina di un commissario con cui rimpiazzare gli attuali amministratori.

Il filo che unisce le due indagini è disarmante. In entrambi i casi, nessuno è accusato di avere preso soldi. I magistrati romani ed i carabinieri forestali non ipotizzano il reato di corruzione. E non perché se ne siano dimenticati. Bensì non è un reato ipotizzato in quest’indagine.

Di quello che è scritto nell’inchiesta si sa praticamente tutto. Tutto è stato pubblicato. E mancano alcune cose. Semplicemente perché non ci sono. Proviamo a fare un riassunto. I filoni investigativi sono due: il primo punta sui rifiuti pericolosi spediti in provincia di Frosinone spacciandoli per immondizia ordinaria. Il secondo prende di mira le lacune dello stabilimento Saf di Colfelice.

Il primo filone: i rifiuti. Partono da Roma e – stando alla ricostruzione dell’accusa – chi li mandava faceva il furbo: erano rifiuti speciali e invece li dichiarava immondizie urbane normali. Evitando così di pagare i costi di smaltimento salatissimi. Qui chi ci ha guadagnato è chiarissimo.

Ma chi riceveva i rifiuti in provincia di Frosinone cosa ci ha guadagnato? Manca la risposta a questo quesito: è un buco enorme nell’inchiesta, sul quale si infileranno i difensori di tutte le imprese ciociare. Perché avrebbero dovuto prendere dei rifiuti pericolosi spacciati per normali?

Sono stati pagati sotto banco? Le carte dell’inchiesta rispondono: No. Hanno ricevuto regali per accettare quei carichi? Le stesse carte dicono: No. Facciamo a capirci: le imprese locali sapevano che i rifiuti (forse) non erano regolari? No. E lo dice la procura.

Ma allora, perché vengono tirati in ballo? Dovevano fare controlli più approfonditi sui carichi in ingresso.

Quali controlli? Il perito, sulla cui relazione si poggia l’intera inchiesta, non lo dice. Le imprese si difendono dicendo di avere rispettato alla lettera ciò che prevede la norma.

Allora sono scemi gli investigatori? No: uno degli elementi elementari del diritto sostiene che la norma vada interpretata e prevede addirittura tre tipi di interpretazione, per capire davvero cosa intenda. In italia vigono i principi del Diritto Romano, non di quello Anglosassone (nel quale sono le sentenze precedenti a diventare vincolanti per quelle successive). Nel caso della norma sui controlli, semplicemente, è mutata l’interpretazione.

Qual è quella corretta? In Ciociaria è stato fatto tutto il possibile per accertare se i rifiuti che arrivavano erano regolari? Oppure è stato chiuso un occhio? O tutti e due e pure il naso per non sentire la puzza? Ecco: è quanto l’indagine ora sta accertando. Che intanto dice una cosa chiara: in tema di Ambiente, fa nessuna differenza che siano stati presi soldi sottobanco per ricevere i rifiuti o non sia stato incassato nemmeno un centesimo. Soldi o non soldi, se la norma non è stata rispettata è ugualmente reato. Moralmente farà differenza. Giuridicamente no.

Per questo, i magistrati hanno nominato dei commissari per gestire le aziende indagate. E gli amministratori? Per loro nessun divieto di entrare nelle loro aziende; anzi, gli è stato chiesto di collaborare con i commissari. Cioè, i buoni chiedono ai cattivi: ‘Per favore ci dai una mano?’. Insolito.

Il secondo filone. Quello sulla Saf. Neanche qui si ipotizzano giri di denaro sotto banco. Ma abbiamo visto che sotto il profilo investigativo non sposta di un centimetro le cose. Si ipotizzano tre fatti: 1) l’impianto non funziona al meglio 2) i cittadini sono stati frodati perché pagavano per lo smaltimento anche del rifiuto organico (gli avanzi della cucina) ma se ne recuperava poco 3) venivano mandati in discarica più rifiuti.

Anche qui, c’è una lacuna. Chi ci ha guadagnato? Il presidente Mauro Vicano? Il direttore Roberto Suppressa? L’ex presidente Cesare Fardelli? Le carte dell’inchiesta rispondono che ci ha guadagnato la Saf. E chi si mette in tasca i guadagni: Vicano e Suppressa? No: abbiamo visto che gli atti non lo ipotizzano nemmeno lontanamente. Chi ci guadagnava allora? I soci. Cioè i Comuni. A questo punto iniziano a sentire un brivido sulla schiena i manager delle Asl che hanno risanato i conti nel Lazio durante gli ultimi quattro anni. Anche loro – su disposizione di Nicola Zingaretti – hanno procurato vantaggi alle aziende che dirigevano. E se vale lo stesso principio, rischiano presto di finire pure loro nel registro degli indagati.

Il danno ipotizzato dai magistrati allora dove sta? Nel caso Saf si ipotizza la frode: perché la società ha un contratto con i Comuni nel quale si impegna a lavorare pure gli ‘organici’ (gli avanzi delle cucine di casa). Non c’era bisogno di scomodare i carabinieri per saperlo. Bastava leggere le comunicazioni fatte un anno fa, con cui Saf avverte Regione e Comuni di avere sospeso la lavorazione degli organici: «costa troppo, portateli da un’altra parte che risparmiate». Doveva abbassare le tariffe, scorporando la quota per gli organici? Vicano sostiene di averlo fatto e che nessuno durante l’inchiesta glielo ha domandato. Anzi, dice che non gli hanno mai fatto nemmeno una domanda. Se sia vero lo si scoprirà molto presto.

Il dubbio vero è un altro. Ed è quello che intelligentemente ha sollevato il deputato Luca Frusone (M5S). Nei giorni scorsi ha commentato: «Meno male che Saf doveva essere un’eccellenza». Ha ragione. Cerchiamo di capire: l’ex presidente Cesare Fardelli iniziò a prendere i rifiuti da Roma su ordine perentorio del Ministro, al quale i carabinieri del Noe avevano garantito che funzionava tutto bene nello stabilimento di Colfelice. Negli atti si dice che non ci ha guadagnato nemmeno un centesimo per lui personalmente (ma abbiamo visto che non fa differenza).

Se è così, invece di portarlo in galera andrebbe trasferito in un manicomio. Ed i carabinieri secondo i quali la Saf funziona bene sono complici e vanno indagati pure loro, insieme al ministro.

Ci sono punti chiarissimi nell’indagine. E lacune altrettanto chiare che rischiano di compromettere l’intero lavoro compiuto dagli investigatori. Perché come cittadini che pagano le tasse sui rifiuti e come soci della Saf abbiamo il diritto di sapere se questo stabilimento funziona (come dicono i carabinieri del Noe) o non funziona (come dicono i carabinieri Forestali). Se era chiaro a tutti che l’organico non si lavora più (come dice Vicano) oppure è una scoperta. Così come, da cittadini, vorremmo sapere qual è la regola per non essere inquinati: quella applicata in tutta l’Italia o quella ipotizzata solo nel Lazio? Perché c’è anche questo paradosso: una delle aziende indagate è una multinazionale che applica in modo uguale i protocolli di controllo nei suoi stabilimenti, a Frosinone come a Milano. Si può sapere chi ha ragione?

Ottaviano Del Turco a suo tempo venne arrestato, risucchiato nel tritacarne giudiziario e mediatico, poi a distanza di anni è stato sputato fuori innocente e con tante scuse. La stessa cosa accaduta pochi giorni fa al sindaco di Caserta, arrestato nel pieno del suo mandato.

Se ci sono stati avvelenatori del territorio, vengano tritati e buttati fuori dalle loro aziende. Rinchiusi come la legge prevede. Purché non ce li sputino fuori come Ottaviano Del Turco.

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