Internazionale, i protagonisti del 2021

I protagonisti del 2021 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo. E cosa ci attende nel 2022

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Up & Down 2021

Le classifiche diventano antipatiche a due condizioni: se chi le fa spaccia una legittima opinione per sacrosanta verità e se nello stilare le stesse si deraglia da quel minimo di metodo che comunque dovrebbe nutrire ogni upgrade di analisi. È lì, nel punto a metà strada esatta fra ciò che pensiamo noi e ciò che il mondo ritiene quanto meno pensabile, che una buona classifica si accasa senza sfrattare buon senso e buon gusto.

Il 2021 è stato un anno più pieno di roba del solito, con l’interfaccia tiranna del covid. Tuttavia quel che certi uomini, certe donne e certe faccende hanno fatto al di là e malgrado il covid è la cifra esatta di quanto il covid abbia trovato pane per i suoi denti. Perché se sei un virus una specie magari la puoi minacciare, ma se assalti quel che questa particolare specie ha prodotto alla fine la partita la perdi.

E noi saremo qua a raccontare come l’hai persa. Buon 2022, uomo.

UP

ANGELA MERKEL

Angela Merkel (Foto ZumaPress Inc)

Mettere a crogiolo tutte le skill di Angela Merkel nel calderone celebrativo del 2021 significherebbe barare. Lo sarebbe perché come tutti gli statisti la Merkel il meglio di sé non lo ha dato alla fine, ma agli esordi è nel mezzo. Tuttavia c’è una legge non scritta che cinge di serto anche gli scattisti stanchi degli ultimi metri quando costoro fanno massa critica di quella umanità che i loro ruoli avevano relegato a rumore di fondo.

Angela Merkel non ha fatto eccezione, lei aveva tutti i numeri per essere una grande della Storia e tutte le presunte aridità che questo ruolo assegnerebbe a quelli bravi davvero: conservatrice, tedesca e poco empatica.
E poi donnone a guardiania di un’Europa a due marce, ereditiera cinica del sacrificio di Shroeder e sentinella di una Costituzione surrogata col trattato di Lisbona. Perfino ridacchiante virago in un siparietto famoso di cui la parola catalizzatrice fu “Italia“.

Lo scorso 8 dicembre insomma ai più pareva evidente che stesse appendendo i legiferati al chiodo una ex nerd mannara con la stessa empatia di una vongola verace. Ed è stato esattamente per questo che quando al posto Frau Merkel che come da tradizione germanica ha scelto le canzoni con cui prendere commiato dalla vita pubblica, è arrivata Angela, tutto si è svelato.

Angela Merkel, l’inflessibile cannibalessa con lo spread al posto del cuore, ha pianto nell’ascontare la canzone di Nina Hagen, una punk rocker degli anni 80 al cui paragone Lady Gaga pare Cristina D’Avena.

È lì abbiamo capito tutti cosa avesse sacrificato Angela per diventare Frau Merkel. E ci è piaciuto tantissimo.

Cancelliera con le borchie.

GINO STRADA

Gino Strada. Foto © Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica

Cos’è un burbero? A volte, diceva Chaplin, è un grande uomo che bada all’essenziale e che prima di dare una carezza ad un bambino gli dà una sciarpa. Ecco, Gino Strada in questa nicchia ci sta comodo comodo anche a fare la tara all’upgrade morale della sua morte, che santifica perfino i cretini, figuriamoci quelli davvero in gamba.

Oddio, nel caso di Strada la santità è accessoria, visto che il tipo era ateo. Tuttavia il dato crudo è un altro: quel che ha fatto Gino Strada al mondo e quello che il 2021 deve all’idea matta e bellissima di Gino Strada non può passare in sordina.

Nei giorni che hanno fatto preambolo e postilla alla sua morte nei punti caldi e macellai del pianeta c’erano centinaia di bambini, donne e uomini raccolti, curati e salvati dall’orrore infinito delle guerre.

Perché se la guerra come concetto da salotto pacifista è una le guerre come avvenimenti da cartina geografica sono tante, una per ogni occasione persa di evitarla. Ed Emergency é stata là a far guerra alle guerre con cerotti, bende, tigna e flebo appese su teste piene di mosche fuori ed orrore dentro.

Gino Strada era ateo, si, ma quello che il suo amico Don Andrea Gallo vedeva in quegli occhi testardi e incarogniti dalle rughe era la cosa più vicina a Dio che un uomo possa scorgere quando capisce che la Fede a volte mette l’abito della fiducia, un abito non da cerimonia, ma un abito… di Strada.

La guerra di Gino

AUNG SAN SUU KYI

Aung San Suu Kyi

Arrestata a febbraio, caricata di reati ombra fino a settembre e condannata per il primo di essi a dicembre. Eppure Aung San Suu Kyi non ha smesso neppure per un giorno di fare quello che le riesce meglio: lottare.

Dalla sua cella in Myanmar che sembra diventata un fermo posta da quanti avvisi di garanzia ci vanno a meta il già Nobel per la Pace ha continuato a mettere in guardia il suo Paese.
Da cosa? E soprattutto come, visto che nell’ex Birmania è difficile parlare anche se si è a piede libero? Il target è quello di sempre, lo stesso che ha voluto San Suu Kyi in carcere: la giuntaccia kaki che ad inizio 2021 ha preso il Paese alla gola e ne ha fatto una macelleria poliziotta.

Il come è la benevolenza di un funzionario di polizia scoperto ed arrestato il 23 dicembre.
È l’ultimo guizzo di San Suu Kyi ha riguardato l’endorsement del governo militare del Myanmar all’Alma Mater di Pechino sulle miniere di giada. È presto detta: la moratoria su quegli scannatoi autorizzati che nel 2012 volle proprio l’ex politica non ha più valore. Perciò in quei budelli insicuri la polizia ci mette a lavorare e a morire a centinaia bambini, dissidenti e minoranze etniche, che cavano il prodotto finito e lo spediscono in Cina per ingagliardire un mercato mondiale affamato di gioielli insanguinati.

E se perfino dal carcere dove potrebbe restare per 80 anni San Suu Kyi urla il suo sdegno per quest’ultimo sconcio allora vuol dire che si può essere liberi anche se si è in catene, e questo sa di speranza anche per chi come noi le catene non sa cosa siano.

Tigre di giada.

DOWN

JOE BIDEN

Foto: Gage Skidmore / Surprise

L’American Rescue Plan Act ed il rientro degli USA negli accordi di Parigi sul green basterebbero da soli a metterlo fra l’argenteria buona del 2021. Se a questo si aggiungesse in upgrade che Joe Biden ha battuto uno come Donald Trump il posto figo fra i buoni gli sarebbe toccato d’imperio.

Tutto bene ma non benissimo da gennaio fino ad agosto dunque per “Sleepy Joe“, poi è arrivato l’Afghanistan e quel che degli accordi di Doha del febbraio 2020 non è stato cambiato ed a cambiare è stato il range del 46mo inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue.

Joe Biden ha preso due cantonate maiuscole che fanno massa critica nella sua valutazione. La prima è stata quella di non aver modificato gli accordi di Doha che vedevano come contraenti i taliban non ancora governanti; se sei l’America non tratti con i terroristi e soprattutto non fai regali macroeconomici alla Cina.

La seconda è un po’ il core effettivo del pollice verso: nei giorni bui dell’esodo controllato a metà da Kabul Biden ha dato molto più che l’impressione di essere completamente nel pallone ed in balia degli eventi.

È vale come sopra: se sei l’America gli eventi o li determini o li subisci con stile e via di fuga certa e indolore. Da uno che fra le sue skill aveva proprio una competenza sbandierata ai quattro venti in politica estera ci si aspettava di meglio e di più.

Oggi il governo talebano vuole un seggio all’Onu e pretende Pechino come commensale, e non si deve essere Kissinger per capire quanto le due cose siano letali.

Provaci ancora, Joe.

ALEXANDR LUKASHENKO

Alexander Lukashenko

È come se il meglio del peggio dell’Urss fosse sgusciato via fra i calcinacci del muro di Berlino, fosse strisciato un filino più ad Ovest ed avesse figliato un cantuccio buio di mondo dove la storia ha frantumato la clessidra sotto il tacco di uno stivale. La Bielorussia di Alexandr Lukashenko è così: una gemma velenosa in un giardino curato poco.

Il presidente quasi a vita della più ortodossa delle ex Repubbliche Socialiste Sovietiche ha iniziato l’anno fra cascami di brogli elettorali, carcerazione ed esili forzosi degli oppositori, lo ha condito nel mezzo vellicando i sivranisti USA fuggiaschi di QAnon e lo ha concluso in bellezza facendo del confine con la Polonia un lungo rosario di migranti scorticati dai cavalli di frisia.

Tutto questo Lukashenko lo ha fatto nella comoda e sfacciata nicchia di un servaggio a Vladimir Putin che sarebbe perfino comico se non fosse così osceno e foraggiato di armi.

Oggi il mondo guarda la Bielorussia e non vede un totem anacronistico e un po’ ridicolo di un tempo ormai morto, ma come un faro agghiacciante di un tempo che non vuole morire. E il prete nero di questa vita dopo la morte che ancora resiste alle soglie del 2022 è uno che evidentemente è in barba al nome che porta, non ha mai ascoltato i consigli di chi è più saggio di lui.

Alessandro il Piccolo.

I NO VAX IDEOLOGICI

Fiaccolata no vax (Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica)

“And the winner is…”. Poco da fare, anche a costo di essere banalmente mainstream la maglia nera del 2021 tocca anche a loro.
Attenzione, a prendersi il serto di spine non sono i No Vax come categoria concettuale ampia, ma tutti coloro che nel no al vaccino anti covid ci hanno visto lo sfogo umorale per le cretinerie che già applicavano in altri ambiti.

Insomma, se non si precisa che la pandemia l’idiozia l’ha concimata ma non l’ha fatta nascere non si coglie la polpa del problema. Non la si coglie perché in un universo parallelo dove il coronavirus non avesse fatto capolino avrebbe resistito, tenuto duro ed abbaiato uno zoccolo duro di sanculotti social che avrebbero comunque trovato un altro nemico da abbattere.

Ma in questo universo qua il coronavirus è arrivato e non ha messo in moto gli aneliti di “libberta‘” di gente che crede che il mondo sia una plafoniera o che Elvis faccia il benzinaio su Plutone.

No, qui la pandemia ha scatenato gli appetiti di pancreas di gente che ha incentivato parte dei contagi, dei ricoveri e delle morti. Persone con cui avremo a che fare anche in questo 2022 salato che ci attende. E che faremo di tutto per convincere che il bene non è tale se non è collettivo.

Invano, ma testardi nel provarci sempre.

L’anno che arriva? Non sappiamo cosa c’è dentro.