Internazionale, i protagonisti della settimana XLVIII

I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

LA REPUBBLICA DI BARBADOS

Quando nel 1536 i primi esploratori portoghesi videro quella grossa isola piatta nei Mar dei Caribe non trovarono altra fantasia sciapa che chiamarla Barbados perché le radici di mangrovia che affioravano dall’acqua salmastra sembravano le lunghe barbe che gli indios nativi Arawak, glabri come pargoli, non portavano. 

Insomma, fin dai suoi albori in storia occidentale Barbados pareva destinata a seguire l’usta anche figurativa dell’Europa che arrivò a possederla. Perché chiamare La Barbuta un’isola abitata da gente senza barba è come battezzare la buonanima di Kojak Zazzera Fiera e pretendere che quello poi non ti meni con il cric.

A proseguire la tradizione mettendoci piglio sassone furono gli inglesi, che prima come Isole Sopravvento, poi come Compagnia delle Indie Occidentali, poi come Reame del Commonwealth e poi ancora come Colonia del Cricket lasciarono le impronte digitali sull’isola, che divenne una delle innumerevoli perle di una corona che faceva piombo vampiro sul capo di mezzo mondo

Questo almeno fino a pochi giorni fa, quando Barbados è diventata due cose insieme. Due cose che hanno dato il senso di una storia che viaggia veloce come i grossi marlin che solcano quei mari e che ammaliarono Hemingway. Barbados infatti è diventata repubblica parlamentare e repubblica governata da due donne

Foto: The Royal Family

In occasione del 55mo anniversario dell’indipendenza già ottenuta dalla Gran Bretagna ma mai suggellata con l’autodeterminazione l’isola delle piccole Antille si è staccata dalla “madre patria” nebbiosa e si è ripresa il sole sfavillante che brilla sui paesi che decidono per sé. E che Barbados non fosse solo zucchero, palme e spiagge sciantose e fosse in scia con i grandi afflati etici del pianeta lo si era capito già a settembre. 

Come? Con la proclamazione del “divorzio” dal Regno Unito in appeasement al movimento Black Lives Matter. In soldoni il messaggio era che gli indios volevano fieramente vivere e decidere come indios, non più come compari coatti dei pallidi ex padroni. A suggellare quel divorzio da Londra è arrivato uno che in divorzi è specialista: Sua Altezza il Principe di Galles Carlo, che è stato accolto da Dame Sandra Prunella Mason, ex governatrice e presidentessa dalla Repubblica. 

Presidentessa che dopo aver incassato i voti di due terzi delle Camere aveva detto: “È giunto il momento di dare un vero addio al nostro passato coloniale. I cittadini barbadiani vogliono un capo di Stato barbadiano“. E siccome il Destino ama lasciare segni Carlo si è presentato all’appuntamento come sempre perfettamente sbarbato. Senza barba. Esenza più Barbados.

La Corona perde perle, Maestà.

FAIZ HAMEED 

È andato a Kabul in gran segreto ed è stato tradito dal Natale che arriva. Chi e in che senso? Faiz Hameed, tenente generale dei potenti servizi segreti del Pakistan, è andato a Kabul in gran segreto ma un repoter spagnolo che stava telefonando ai suoi per concordare il suo arrivo sotto l’albero lo ha riconosciuto nella hall di un albergo di Doha, in Quatar. Perciò ha spremuto un po’ di fonti facendo tana al capo delle barbe finte più sospettose del pianeta. 

E a Kabul, Hameed ci è andato per mettere un po’ di cosucce in chiaro, secondo Al Jazeera English, cose a loro modo “natalize” perché in Afghanistan lui ci ha scartato un bel regalo. Quale? Scartiamo una caramella di geopolitca: il Pakistan condivide con l’Afghanistan talebano un confinaccio lungo 2.670 km. Sono chilometri porosi ed inquieti, chilometri che danno su un paese dotato di nucleare che però negli ultimi 40 anni ha patito molto la vicinanza con l’Afghanistan.

Ha pagato prezzo quando è stato usato come trampolino di lancio per le bordate militari di Washington e dei suoi alleati sull’URSS dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979. Poi, dopo l’11 settembre ha pagato prezzo perché era diventato buen retiro cavernicolo dei capoccia di Al Quaeda.

Gli insorti Tehreek-e-Taliban-Paki, cioè i talebani pakistani e beluci, hanno attaccato obiettivi per anni, uccidendo più di 83.000 persone e infliggendo perdite per miliardi di dollari all’economia pakistana. Insomma, Islamabad ha tutto l’interesse a riconoscere i talebani una volta tanto che i talebani non portano grane ma stabilità, anche di facciata per il corrusco e lontano Occidente.

Non è un caso che l’intelligence pakistana, di cui Faiz Hameed è il rais supremo, è stata accusata di sostenere i talebani afghani, in particolare la rete Haqqani. E secondo Al Jazeera Hmeed è andato a riscuotere il premio, con la promessa che il Pakistan potrà allentare la sua sorveglianza militare sul confine afghano e concentrare forze, truppe e logistica marmalda sul confine che davvero al Pakistan interessa. 

Quale? Quello che lo separa dall’arcinemico di sempre: l‘India. E se in etica tutto ciò è deprecabile, in geopolitica è un piccolo capolavoro, che dà sollievo al dente che duole mentre affila la zanna che freme.

Ti faccio il servizio (segreto).

DOWN

DUNELM

La tempesta perfetta economica che sta attanagliando il Regno Unito da ormai tre mesi soffia forte anche nel settore degli articoli per la casa e dell’abbigliamento e con il Natale ormai alle porte. Insomma, è tempo di “Niente tende, siamo inglesi“, e vediamo perché. 

Lo facciamo partendo dalla cronaca blanda di questi concitati giorni che anche in Gran Bretagna preludono a quello che sarebbe dovuto essere il primo Natale decente dopo due anni di pandemia, Natale mezzo rovinato dalla variante Omicron e dall’Ue che per un attimo la parola Natale la voleva mettere all’indice. 

Storiella cardine: ad Hastings una coppia di neo sposi è stata sorpresa a rubare tovaglie natalizie, lui glie le passava e lei se le drappeggiava sotto la gonna lunga. Singolarità di crimine e di ingegno a parte la rogna l’hanno spiegata quelli di Dunelm. Cos’è? E’ la più grande, capillare e mainstream catena di rivenditori di mobili ed articoli per la casa del Regno, una specie di Ikea ma con la foto di Elisabetta e Carlo alla cassa. 

I rivenditori da Dunelm a Halfords hanno lanciato un alert: Brexit, pandemia e crisi dei carburanti hanno innescato enormi difficoltà nell’importazione di prodotti ed incrementi dei prezzi al dettaglio che scansatevi o sudditi. Qualche esempio? L’inflazione dovuta all’aumento dei prezzi dei materiali e dei costi di trasporto ha fatto si che trasportare un container di merci dall’Asia orientale al Regno Unito sia diventato roba da vichinghi a Terranova: difficile.

Nel 2020 farlo costava in media 8mila dollari, cioè circa 6mila sterline, quest’anno costa più di 20mila dollari, cioè circa 18mila pounds di Sua Maestà. Anche il cambio con il dollaro, che è resta moneta di transazioneinternazionale dato che i cinesi non sono scemi, mette i bastoni fra le ruote e l’effetto è uno solo. 

Lo ha spiegato serafico e rassegnato Clive Black di Shore Capital, un po’ l’Oscar Giannino inglese, ma con più capelli: “L’impatto grossolano della crisi sui prezzi determinerà un livello molto più basso di sconti sull’abbigliamento su molti altri beni. Questo perché i rivenditori sono stati cauti nell’acquistare forniture e costretti a commesse singole per noleggiare i mezzi pesanti con cui portare le merci dai docks ai punti vendita“. 

C’è stato un crollo degli utili e dei rendimenti di capitale, un taglio dei dividendi per gli azionisti e una generalizzata svalutazione degli asset innescata anche dagli acquisti on line che la pandemia ha incentivato“. Perfino il settore dei cosmetici e dei prodotti per capelli sta patendo rialzi monstre. 

Insomma, la rogna c’è: oltre Manica tovaglie e saliere dovranno essere riciclate per i regali di Natale e non usate per il Natale stesso e molti capelli dovranno restare a mo’ di zazzera e non impomatati. D’altronde basta guardare la testa di BoJo per consolarsi e buttarla in scelta trendy.

Rogna Unita.

MARIE LE PEN – ERIC ZEMMOUR

Si è incartata. Come quando nell’autobus già pieno arriva la matrona con la spesa che ti schiaccia contro la portiera come una buccia di fico. A quattro mesi dal voto presidenziale in Francia Marie Le Pen non è più la più trucida della destra transalpina ed è schiacciata fra un Macron che nei sondaggi scende ma non tracolla ed una destra estremissima che toglie ossigeno alla sua destra estrema. 

In effetti e malgrado l’epico duello con BoJo su migranti e diritti di pesca, Monsieur le President non pare avviato al 100% a bissare come Chirac nel 2002. 

Dal canto loro gli analisti stanno fiutando l’usta di un parvenu a paragone del quale la Le Pen pare Karola Rackete: Eric Zemmour. Panoramica sul personaggio che in base ai sondaggi tiene per la gola il 17% del 32% dei voti della destra francese: innanzitutto prima di candidarsi ufficialmente ha orientato il voto verso di lui dall’esterno facendo credere che non si sarebbe candidato. Perché? Perché se la destra rediviva di questo decennio in Europa tende a parlare alla pancia del Paese la destra di Zemmour parla ad un punto molto più giù. Al punto cioè dove pascola è gente che te la devi coltivare a suon di slogan e uscite truzze.

Il tipo ha pubblicato un best seller dal titolo sovraneggiante, “La France n’a pas dit son dernier mot” (La Francia non ha avuto l’ultima parola) che ha venduto più di 200mila copie. In quel tomo pacato Zemmour sostiene che i cittadini francesi con nomi “non francesi” dovrebbero cambiare il loro nome. Poi strologa sulla teoria del “grande sostituto“, quella cervellotica che tira moltissimo fra i suprematisti bianchi Usa e che sparge la paura che le popolazioni occidentali vengano “sostituite” dagli immigrati. 

Ciliegina sulla torta, Zemmour ha affrontato molte volte il tribunale per incitamento all’odio razzista, islamofobo, sessista o omofobo. E pur essendo giornalista, quando incontra i colleghi ai padiglioni sulle armi da guerra glie le punta contro a ricordare loro che lui della libertà di stampa è un conoscente, non un amico. Insomma, anche a far la tara ai faldoni il tipo non è uno scout e ama farlo sapere. Gli manca solo uno spagnoleggiante “Yo soy Eric” e lo starter pack della tamarraggine che nell’urna frutta più del letame di cavallo nell’orto è completo. 

Il politologo Aurelien Mondon sostiene che paradossalmente “Zemmour non si aspetta di diventare presidente, quello che vuole è attirare i temi verso l’estrema destra: vuole vincere la battaglia delle idee“. 

Insomma, in Francia l’asse della ricerca del consenso si è spostato (ancora più) a destra. E Marie Le Pen rischia di fare la figura della suffragetta imbranata in un voto sul quale, per l’ennesima volta, contava per raggiungere la vetta e da cui per l’ennesima volta rischia di uscire al massimo con il patentino da campo base. 

Si faccia in là, madame.

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