Internazionale, i protagonisti della VII settimana MMXXII

I protagonisti della VII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della VII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

KAREN BASS

Karen Bass

Karen Bass è: deputata Usa per la California, paladina dei diritti dei gay, membra di un comitato che si oppone agli anti abortisti. Nel suo passato Karen Bass è stata: medico pediatra, medico volontario per i poveri, responsabile politica della campagna elettorale di Barack Obama. E, dicono i più informati, ghost writer della proposta di legge, mai arrivata a meta, per chiudere del tutto Guantanamo

Tutto questo per dire che se Karen Bass parla della difficoltà per le donne di fare politica attiva a certi livelli a Karen Bass non devi prestare orecchio, ma fede assoluta perché sa quel che dice. E cosa ha detto la Bass ultimamente per farci usare come contrappunto se sue skill? Questo, ad esempio: “La complessità dei dossier che le sono stati affidati avrebbe dovuto spingere la Casa Bianca a difenderla in modo più aggressivo. Tuttavia se continuiamo a partire dal presupposto che qualcuno debba sempre difenderci non dobbiamo lamentarci se poi restiamo incasellate in una categoria”.  

Chi avrebbe dovuto difendere di più la Casa Bianca? Kamala Harris, che da vicepresidente Usa, non da capo scout di Cinisello, si sta trovando in estrema difficoltà per mole e qualità delle faccende che, in quanto seconda carica più potente del pianeta, le sono toccate. La Harris si era sfogata a fine gennaio, lamentando di essere stata solo “usata” in quanto donna e donna di colore e poi messa in panchina e chiamata solo a dirimere le faccende più spinose, quelle su cui Joe Biden non azzarda a mettere cappello e manda le truppe. 

Kamala Harris e Joe Biden

Attenzione,  senza pelosità costituzionali negli Usa il ruolo politico del vicepresidente è esattamente quello: navigare a vista nelle shitstorm per consentire al numero uno di scegliere la rotta senza macchiarsi la giacca. Poi se sei Al Gore magari ti tocca più gloria del tuo capo, e se sei il delegato di Giorgetti in un Consiglio dei Ministri dove la Lega è destinata a buscarle dal cipiglio di Mario Draghi sei quello che si becca i lividi. 

Ma la Harris l’ha buttata in discriminazione seguendo la linea ardita di un paradosso che proprio dall’assenza di discriminazione parte. Seguiamola un attimo: Harris è stata fieramente eletta come donna in gamba e quando è capitato che in gamba non sia stata (è capitato e come) ha tirato fuori il fatto che in quanto donna doveva essere aiutata ad essere più in gamba. Non funziona così e Karen Bass glie lo ha ricordato con un garbo che mette sigillo alla sua eleganza e suggello alla sua bravura.

E di Karen Bass nessuno ha mai detto che è una brava deputata malgrado sia donna, solo che è brava. Questo perché se sei bravo non ti servono maschere di genere, e se non lo sei e il genere lo usi come scusante allora chi dice che non sei bravo forse ha ragione.

Colpo Bass.

L’UCRAINA

Volodymyr Zelensky

Come dicono a Roma facciamo a capirci: l’Ucraina, che in questi giorni è sotto scacco del cesarismo gasato di Putin, non è una sprovveduta repubblichetta frufru in balia dell’orso-orco moscovita. È una repubblica potente che però paga pegno al fatto che di fronte a Mosca sul pianeta sono quasi tutti nani inermi. Ma dove Mosca imbastisce Kiev sa prendere contromisure da prima della classe. 

È esattamente quello che ha fatto il governo ucraino dopo il gigantesco attacco hacker che a metà gennaio aveva terremotato i server ministeriali ed a traino dell’attacco bis di questa settimana alla sua rete informatica istituzionale ed economica.  Attenzione, di quell’attacco, il primo, pochi ne hanno parlato, ma era stato di fatto il primo refolo dei venti di guerra che oggi soffiano impetuosi in mezzo a 12 divisioni schierate in affaccio su Kiev. Il messaggio a corredo di quella incursione telematica non era dei più rassicuranti e in ucraino, russo e polacco proclamava truce: “Ucraino! Tutti i tuoi dati personali sono stati caricati sulla rete pubblica. Tutti i dati sul computer sono stati distrutti, è impossibile ripristinarli”. 

Manco a dirlo e visto clima e precedenti dell’indiziato, i sospetti erano caduti su Mosca, che in quanto ad attacchi hacker assieme alla Cina vive in zona podio da sempre e che sull’Ucraina ha le mire che sappiamo. Almeno ufficialmente il governo di Kiev ci era andato cauto e il portavoce del ministero degli Esteri aveva detto a Reuters che era “troppo presto” per dire chi potrebbe esserci stato dietro quell’attacco. Poi però il portavoce era stato sostituito ed un altro attachè aveva aggiustato il tiro, spiegando sornione che “in passato dietro ad attacchi simili c’era stata la Russia”. Magari la stessa Russia che ha lanciato l’offensiva bis in questi giorni, nelle ore in cui un pavido Olaf Scholz lasciava Mosca con la consapevolezza poco utile al ruolo di mediatore di istanza che alla sua Germania restavano solo 7 giorni di autonomia di gas. A proposito, Angela Merkel parla perfettamente il russo, lo sapevate?

VLADIMIR PUTIN. FOTO © REMY STEINEGGER / SWISS-IMAGE.CH

Insomma, c’era un problema, c’era un nemico e serviva una soluzione tarata sia per il problema che per il nemico. Ecco perché da qualche giorno sono arrivati in una Kiev in modalità “sacchetti di sabbia davanti alla finestra” degli esperti di contromisure informatiche, gente studiata nella guerra ai ransomwere, che a detta di Al Jazeera English farebbero parte di una società privata. Tutto bene, se non fosse che in mezzo a quel team una fonte del governo ucraino ha riconosciuto un membro del GVSC, il centro di ricerca e sviluppo per le tecnologie avanzate dei sistemi terrestri dell’esercito degli Stati Uniti d’America. Il gruppo era stato già sguinzagliato da Washington per la contro guerriglia alla Cina in occasione degli attacchi hacker del 2021 di Pechino agli oleodotti Usa, in particolare al Colonial Pipeline.

Insomma, il dato è che Joe Biden nel vespaio ucraino non può metterci mano direttamente ma neanche può restare inerme, non dopo la figura di roba calda e marrò fatta in Afghanistan.

E non è difficile incastrare i pezzi in uno scenario di fatto bellico da settimane: nel braccio di ferro contro la Russia, l’Ucraina ha un amico più amico di tutti: la Nato. E la Nato ha un padrone più padrone di tutti: gli Usa. Usa che hanno messo personale ad altissima specializzazione a disposizione dello Stato con cui vogliono alitare sul collo di Mosca molto, ma molto da vicino, magari non subito per stemperare il cesarismo di Putin ma magari più in là.

Tutto questo l’Ucraina, che avendo un presidente comico è una nazione serissima, lo sapeva e lo ha usato.

Hai capito Kiev…

DOWN

QUELLI DEL CONSIGLIO PERMANENTE

I membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per ovvi motivi, sono quei Paesi che la sicurezza potrebbero metterla a pregiudizio più e meglio di tutti. Ci sta e non è immune da una certa logica. Sono Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Cina e Francia. Poche settimane fa i rappresentati di queste nazioni avevano preso un impegno, roba seria, a contare che l’Onu verbalizza le faccende più del Pd quando fa le Agorà. 

I cinque si sono impegnati “a prevenire la diffusione delle armi atomiche e a garantire che una guerra nucleare non venga mai combattuta”. Attenzione, lo hanno fatto in una dichiarazione congiunta perché entro la fine del 2022 sarà stilato in tal senso un trattato di revisione dei vecchi standard. E quali erano i vecchi standard? Quelli per cui il primo passo per dimostrare concretamente che il nucleare militare è in reset era rappresentato dalla decisione degli stati di azzerare la “Triade”. 

Spieghiamola: la “Triade nucleare” è la capacità di un Paese di portare offensive con vettori nucleari lanciando sia da terra che dal mare e dal cielo. Insomma, chi ha bombardieri, naviglio o basi con armi atomiche tutti insieme ha la triade. Da questo punto di vista è facile intuire che un impegno a ridurre gli armamenti per azzerare la triade era cosa che si sarebbe dovuta organizzare da molto tempo. Questo perché la logistica ha le sue regole e disarmare uno stormo o tre battelli sottomarini non è come rifare il look al Pandino

Bene, andiamo a vedere chi dei cinque che hanno fatto giurin giurello ha la triade: Cina, Usa e Russia ce l’hanno tonda tonda e la esibiscono ad ogni fiera internazionale di armamenti, la Francia lancia “solo” dal mare e dal cielo e il Regno Unito, che geograficamente è un’isola sgabuzzino, lancia solo dal mare con i sottomarini Vanguard. Insomma, tre su cinque sono la negazione vivente di quel che dicono

Ci siamo tolti il rovello di usare il traduttore Google per riportare brani della versione in lingua russa dell’impegno. Che recitava: “Dichiariamo che non potrebbero esserci vincitori in una guerra nucleare, non dovrebbe mai essere iniziata”. E ancora: “Poiché l’uso di armi nucleari avrebbe conseguenze di vasta portata, confermiamo anche che le armi nucleari, finché esistono, dovrebbero servire a scopi difensivi, deterrenti contro l’aggressione e prevenzione della guerra”. Non è finita: “Ci auguriamo che, nelle attuali difficili condizioni della sicurezza internazionale, l’approvazione di una tale dichiarazione politica contribuisca a ridurre il livello delle tensioni internazionali”.

Ecco.

A’ buciardi…

HONG KONG

Hong Kong (Foto: JapaniBackPacker / Pixabay)

Nessuna notizia dal fronte di Hong Kong: quale fronte? Quello trucido e sfacciato che aveva portato centinaia di poliziotti a fare irruzione poco prima della fine del 2021 nella redazione del quotidiano online Stand News ed arrestare sei giornalisti. A distanza di più di un mese nessuno di loro ha rivisto la libertà e le istanze dei legali per le remissioni in libertà sono diventate coriandoli nel vento di tirannia della città stato tornata sotto il tacco di Pechino.

Stand News nasce nel 2014 e fa capo ad una organizzazione no profit che da sempre avversa la politica aggressiva della Cina nei confronti della libertà di informazione. A dire il vero SN è di fatto l’ultimo baluardo di verità contro una pletora di media locali ormai controllati dai proconsoli gallonati di Pechino.

Con Stand brillava di luce propria anche il tabloid del magnate Jimmy Lai Apple Daily, ma all’inizio del 2021 una indagine spazzatutto della polizia lo aveva chiuso per il reato burla di “pubblicazioni sediziose“. I dato crudo è evidente: da quando nel 1997 l’ex colonia britannica è tornata sotto il dominio cinese è stato tutto un progressivo e brutale reset delle più elementari libertà, e quella di stampa era in cima alla lista nera di Pechino.

Foto © Etan Liam

Tre giorni fa, di fronte all’ennesima istanza di dissequestro del materiale prelevato dalla polizia nel raid di fine 2021, un portavoce dei censori con lo sfollagente facile ha dichiarato che il blitz di una decina di agenti era autorizzato per “perquisire e sequestrare materiale giornalistico pertinente”.

Falso, falsissimo: gli agenti erano oltre 200 e non esiste al mondo Paese che voglia definirsi democratico in cui un’irruzione con sequestro di articoli ed arresti di cronisti per reati di opinione non venga considerato un abominio.

Ma Hong Kong ormai è così: sotto gli occhi acquosi di un Palazzo di Vetro alle Nazioni Unite che evidentemente ha i vetri opachi è passata da protettorato economico di Albione a dente cariato del Dragone. E il suo sembra essere il destino dei posti dove costruire delle regole significa solo accettare supinamente le regole degli altri. E finire in galera per aver scritto di volere regole proprie, regole di libertà.

Meno male che c’è l’Onu.