Internazionale, i protagonisti della XI settimana MMXXII

I protagonisti della XI settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della XI settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP 

LA FRANCIA

Primo turno, ballottaggio, Eliseo, al 55 di Rue du Farbourg-Saint Honoré a Parigi in fanfara dragona e cavallerizza. Gli step previsti per dare un Presidente della Repubblica alla Francia sono straordinariamente semplici, soprattutto a paragonarli ai rovelli freudiani con cui noi spediamo al Quirinale il nostro, di Capo dello Stato. Il 10 aprile i nostri cugini transalpini sceglieranno il loro, con ballottaggio il 24 aprile e con un criterio che riecheggia in tutto e per tutto le regole delle nostre elezioni amministrative: primo turno con il tetto al 50% e poi asso pigliatutto per chi, magari apparentato con qualche neo sodale di convenienza bastonato in prima istanza, tracima nel turno due. 

Finora nessuno mai ha vinto al primo turno e in lizza per questa tornata ci sono 15 candidati accreditati. Vediamo chi sono. Se la giocheranno Emmanuel Macron, per la La République En Marche. Poi Marine Le Pen, Rassemblement National; Valérie Pécresse, Repubblicani; Éric Zemmour, Reconquete; Jean-Luc Mélenchon, La France Insoumise; Yannick Jadot, Verdi. E ancora: Anne Hidalgo, Socialisti; Nicolas Dupont-Aignan, Debout La France; Christiane Taubira, Partito Radicale di Sinistra. Fabien Roussel, Partito Comunista Francese; Philippe Poutou, Nuovo Partito Anticapitalista; Antoine Waechter, Movimento Ecologista Indipendente. Chiudono Jean Lassalle, Résistons François Asselineau, Unione Popolare Repubblicana e Nathalie Arthaud per Lotta Operaia.

Centrodestra e centrosinistra sono spezzettati e fratti come non mai e il primo viene da un upgrade sovranista marcatissimo, mentre il secondo è pirandelliano come non mai in quanto a identità. Potrà sembrare strano per noi che con i cuginetti abbiamo da sempre un rapporto di amore-odio, ma dalle Presidenziali francesi dipende una manica di fattori geopolitici grossi, molto più grossi dei nostri e per due faccende. La prima è che il nostro sistema è diverso e da noi il Capo dello Stato è garante di cose, simbolo di altre e capo effettivo di roba poca e simbologica. 

La seconda è che, piaccia o meno, nello scacchiere internazionale la Francia è più briscola di noi. Nel Nord Africa dove contrasta la Cina, nella Nato dove è vicaria nelle operazioni marittime, nell’Osce dove presiede lo scacchiere nord atlantico e baltico, all’Onu dove su Taiwan ha fatto il diavolo a quattro, nell’Europa dove ha la presidenza di turno e nella lotta al terrorismo dove va spiccia per villaggi a sparare ai cattivi come tordi. 

E quando una nazione esercita la sua democrazia nelle forme che si è data e quella nazione è lo Stato che per primo alla democrazia ha dato il volto di una ribellione di popolo noi, anche a far la tara a questa cuginanza al limone, ci togliamo il cappello e facciamo gli auguri. Poi però loro si tengano le ranocchie panate e noi la carbonara. Perché a casa sua ognuno è re, pardon, Presidente.

Allons enfants.

MYKHAILO FEDOROV

MYKHAILO FEDOROV

Le guerre le vinci anche con i nerd, non solo coi soldati.  Mykhailo Fedorov ne è la prova provata in Ucraina. Il giovane vicepremier e ministro per la Trasformazione digitale non è solo considerato il “Cingolani” orientale, ma un vero genio della comunicazione e della tecnologia social. Ma cosa sta facendo in concreto Fedorov? 

Semplice: sfruttando la sua straordinaria capacità diplomatica e le sue conoscenze negli Usa sta spingendo quasi tutte le Big Tech della Silicon Valley a boicottare Vladimir Putin. Più di quanto non sia già normato dalla tagliola delle sanzioni di Joe Biden. Insomma, se le truppe di Zelensky stanno logorando le velleità dello Zar i team di nerd di Fedorov gli stanno facendo un male boia e diretto. 

E come è riuscito Fedorov a convincere le aziende della Silicon Valley a boicottare Mosca? Ha messo in moto da tempo i suoi contatti e mobilitato i social network, in particolare Twitter, per spingere decine di aziende della Silicon Valley a fare due cose in tandem: non solo boicottare la Russia ma aiutare direttamente aiutare Kiev. Lo scopo di Fedorov è creare un fronte comune, una specie di “Big Data Nato” con cui azzoppare la Russia occidentalizzante più di quanto la Russia stessa non sia disposta ad ammettere. Ci sta riuscendo visto che la più parte delle Big Tech sta con lui.

Il suo vice Alex Bornyakov è stato entusiasta e ha detto che Fedorov ha fatto pressione su oltre 50 aziende sfruttando gli ucraini all’estero e cittadini di altre nazionalità solidali. Piccolo particolare non da poco: Fedorov è molto amico del ceo di Apple Tim Cook. 

Perché sarà anche vero che l’Ucraina nella Nato non potrà mai entrarci come ammesso dallo stesso presidente in questi giorni, ma se crei un fronte occidentale che invece di schierare cannoni schiera i chip di silicio e la comunicazione mainstream allora hai dalla tua le truppe più agguerrite del mondo. Quelle che fanno più male senza fare morti.

Il nerd va alla guerra.

DOWN

RAMZAN KADYROV

Vladimir Putin e Ramzan Kadirof (Foto © Kremlin Press Office)

In ogni macelleria che si rispetti ci sono le frattaglie e quella Ucraina non fa eccezione: la coratella sanguinolenta dell’orrore che Mosca ha portato ad ovest si chiama Ramzan Kadyrov, il ras della Cecenia. Definire il tipo non è facile: è capo di una repubblica, un ossimoro, a ben vedere, militare, presidente di una squadra di calcio, figlio di un altro capo ammazzato nel 2004. 
E’ anche un torturatore di dissidenti ed omosessuali e soprattutto è il fantoccio perfetto per la stanza dei balocchi di Vladimir Putin.

Tanto perfetto che le sue truppe sono da giorni ormai protagoniste attive della guerra in Ucraina. Sono loro, i ceceni “kadyroviti” del famigerato 141mo battaglione musulmano, quelli che hanno sui mezzi blindati e su ruota la famosa “V” che nella simbologia dell’orrore fa il paio con la “Z” delle truppe regolari russe, a rappresentare il lato efficiente dello sconcio ucraino. E qualche giorno fa il loro capo, Kadyrov appunto, ha fatto sapere all’universo mondo di essere sceso in campo di persona nella guerra. Era un bluff orchestrato male, un lancio pubblicistico messo in piedi da un locale nel paese-compare della Bielorussia, ma è anche la carta di identità del personaggio. 

Ramzan Kadirof (Foto © Kremlin Press Office)

Kadyrov infatti ha una vita social debordante: si fa filmare e lanciare sul web mentre abbatte avversari in incontri di arti marziali, mentre prova un nuovo lanciarazzi spalleggiabile o durante adunate militari in cui si carezza la barba col fare pensoso dello statista di grana fina. Insomma, è l’archetipo del tiranno che dal fronte musulmano ha imparato tutte le lusinghe truculente dell’occidente slavo. Non è un caso che lo chiamino “il serbo che prega Allah”. 

Ma Kadyrov è soprattutto una cosa: è l’uomo di Putin per i servizi sporchi e spicci, l’esecutore di volontà rispetto alle quali, volente o nolente, lo Zar deve abdicare dalle sue voglie in quanto capo di un paese che deve pitturare ogni mattina la facciata sporca della sua indole autoritaria. Come il bull terrier americani con i gangsta Usa: fedele, aggressivo, primitivo. E soprattutto fuori dalla storia malgrado ne faccia ancora parte. Purtroppo.

Cane da riporto.

IL BATTAGLIONE AZOV

Un’aliquota del Battaglione Azov

Nella mistica un po’ farlocca della guerra che la Russia ha portato all’Ucraina spiccano alcune anomalie grandi che non rilevare sarebbe criminale. E lo sarebbe proprio perché di anomalie criminali si tratta. Anomalie come il battaglione Azov. I macellai nazisti in questione stavolta combattono dalla parte degli aggrediti, vale a dire di quelli che giocando ad incasellare potremmo definire i “giusti”, ma questo non li emenda da ciò che sono. 

Formato nel 2014 su ranghi reggimentali e con la denominazione A30B per cacciare il filo russo Yanukovych, l’Azov è una formazione nata paramilitare e diventata organica alle Forze Armate ucraine come reparto di fanteria leggera meccanizzata e con mansioni di “searching” e polizia. La sua mistica è quella nazista e i suoi effettivi osannano il Fuhrer, fanno il saluto romano ed hanno come simbolo il Wolfasangel, la trappola per lupi che riecheggia il martello che ruota di Thor, una svastica rifatta in pratica. 

Gli “Uomini neri” dell’Azov ammazzano, stuprano e massacrano chiunque corrisponda al loro canone di nemico e lo fanno con la foga invasata di chi deve pulire il mondo dalle razze infette. Sono nati vicino Mariupol per volontà di un padre fondatore che considera lo stupro un “naturale diritto dell’uomo belligerante” e nel 2014 divennero i mastini del governo nato da Maidan e i guardiani del Donbass. 

Sono considerati i responsabili di stragi terribili a Mariupol, Odessa e nelle zone in cui le frizioni fra filo russi e filo ucraini si erano fatte degne di allarme. Nel 2016 a finanziare l’Azov ci pensano non solo gli oligarchi russi contrari a Putin e i legittimisti ucraini ma anche gli Usa. E’ l’anno in cui l’Azov stringe rapporti con le destre estreme europee e si guadagna l’ammirazione di Casapound. 

Due anni prima, sentenza dei giudici italiani alla mano, quelli dell’Azov avevano bombardato un quadrante preciso in cui il nostro reporter Andrea Rocchelli stava documentando i massacri in Donbass a carico dei filorussi. Lo uccisero sapendo che lo stavano uccidendo, perché in ogni guerra c’è un furore cieco che scavalca le parti e in ogni ragione di oggi c’è sempre un po’ di torto di ieri. Così, tanto per ricordarlo.

Come cominciò tutto.