Internazionale, i protagonisti della XIII settimana MMXXII

I protagonisti della XIII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della XIII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

MICHELLE BACHELET

Michelle Bachelet è una bella persona: è determinata, colta, figlia di un martire di Pinochet. Ed ha la testa dura come i contrafforti delle Ande che l’hanno vista nascere. Perché la Bachelet è cilena e del Cile è stata ministro della Difesa e poi Presidente della Repubblica, due volte. Michelle Bachelet è anche un’altra cosa: è Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, e in quella veste, oltre che smuovendo montagne per la guerra all’Ucraina, sta cercando dal 2018 di entrare in Cina. Entrare e vedere quello che i cinesi stanno facendo agli Uiguri, la minoranza musulmana che Pechino rastrella, incarcera e buca di nuca da decenni nella regione-lager dello Xinjiang. 

Michelle Bachelet (Foto Foto: Sora DeVore).

La Bachelet ha iniziato ad inviare richieste di visita ufficiale in quella zona occidentale del Dragone da febbraio 2018, sentendosi rispondere sempre che la Cina applica solo “politiche sovrane necessarie per combattere l’estremismo religioso“. Della serie signora mia fatti una manica di fattacci tuoi ché qui non la spunti. A fine 2019 la Bachelet ci aveva riprovato e, attenzione, Pechino pareva disposta ad accettare una visita “amichevole e non ispettiva“. 

Poi erano arrivati Wuhan, la pandemia e i casini connessi che per due anni hanno legato le mani al pianeta. Caso mai le andasse via di mente la commissaria aveva reiterato la richiesta a fine 2021, a novembre, con Omicron incognita e con Delta quasi sderenata, ma Pechino aveva spiegato che c’erano le Olimpiadi invernali in approntamento. Ora, cosa c’entrino le Olimpiadi con una visita Onu, a meno di non voler considerare che la visitatrice fosse stata a rischio di essere centrata da un bob a 4, questo sfugge. Ma tant’è. 

Michelle si è arresa? Manco per niente ed a metà gennaio ha bussato di nuovo. Ed ha fatto una cosa che nella storia era riuscita solo a Temujin il mongolo: sfiancare i cinesi, prenderli per stanchezza. Le hanno detto si, che ad Olimpiadi ormai finite la cacchio di signora Bachelet potrà entrare nel Paese come Alto Commissario Onu per i Diritti Umani. Sempre a condizione che il viaggio sia “amichevole” e non inquadrato come un’indagine e che non si affrontino temi riguardanti la guerra di Mosca a Kiev. Ma intanto hanno ceduto. 

Tutto questo mentre un tribunale non ufficiale e indipendente con sede nel Regno Unito ha stabilito che Pechino è a tutti gli effetti colpevole di genocidio nei confronti degli Uiguri. Perché Michelle Bachelet è una bella persona, bella soprattutto perché mette la tigna dove gli altri avrebbero messo solo la rassegnazione. E ce l’ha fatta. 

Michelle ma belle.

JOSEP BORRELL

Josep Borrell

C’è un dato crudo che molti cittadini non riescono ad interpretare fino in fondo: non sono Russia ed Ucraina ad essere in guerra, ad essere in guerra è l’Europa. Tolta la parentesi balcanica macellaia dal 1991 al 1995 che fu guerra di regioni e non di scacchiere era dal 1945 che chi calcava il suolo del Vecchio Continente non inquadrava questa realtà tonda e orribile. Siamo in guerra. 

E lo siamo malgrado i bizantinismi per non entrarci, i sofismi per esserne partecipi solo da sponsor tremuli e guardoni e i rovelli solo logistici per non ingaggiare sul campo il nemico. Perché si, in guerra c’è il nemico e al nemico devi dare una risposta che non è quella delle regole comuni dei periodi di pace. Siamo concretamente minacciati ogni giorno perché in guerra non funziona come nei film dove tutto è incasellato in crisma logico. 

Nella guerra vera capita che un fante frontaliero o di pattuglia si alzi con la tramontana storta perché beve o perché la morosa lo ha mollato in chat e invece di osservare tiri in grilletto o il “push” di un sistema d’arma solo spauracchio. O che un settore da tener d’occhio faccia eruttare i crateri a sbuffo assassino del mortaio puntando il quale hai sbagliato di un millimetro cartografico

Josep Borrell

Ecco, la guerra sta tutta in quel millimetro là, ogni maledetto attimo in cui ce la “gustiamo” in preserale credendo solenni che sia orrore, ma orrore altrui. Ecco perché Josep Borrel, Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, ha fatto benissimo ad annunciare che la Bussola Strategica Ue è un fatto. In mancanza, gravissima, di un esercito comune uno strumento di difesa e sicurezza a livello europeo è la cosa migliore che potevamo permetterci con la tempistica veloce a cui ci ha portato l’ignavia beota degli ultimi anni sulla questione Nato-Russia (l’Ucraina c’entro molto poco). 

Forze di schieramento rapido anti crisi da 5 mila soldati europei, 200 esperti in missioni di politica di difesa e sicurezza comune, logistica di soccorso e sinergia di servizi militari. Non è bello ma va bene, va bene proprio perché oggi dire che va bene è una simpatica metafora narcotica. 

Va male, va malissimo e dobbiamo attrezzarci. Non per fare la guerra, ma per capire in polpa che la guerra è un’eventualità, non un’ iperbole. Perché la guerra fa schifo, ma non avere un piano per difendere chi alla guerra soccombe è ancora più schifoso. Si scrive decidere, si legge proteggere.

Altissimo rappresentante

DOWN

WANG YI

Vladimir Putin e Wang Yi (Foto: Kremlin Press Office)

Di questi tempi è lui l’uomo da tenere d’occhio nella crisi (guerra, si dice guerra) Russia-Ucraina. Come la Cina, che rappresenta nel dicastero nevralgico degli Esteri. Wang Yi sta ai margini dei campi di battaglia e sta facendo macelli pubblicistici per spiegare che con quei campi eruttanti urla, Pechino non ha proprio nulla a che vedere, ma non è così. Siamo troppo piccoli e goffi per andare a caccia di prove provate ma le relazioni dei Servizi le sappiamo leggere. E sappiamo anche discernere fra Servizi a giogaia pubblicistica e Servizi scarni che fanno il loro lavoro e basta. E i report geopolitici di quelli baltici, non è la prima volta che ne scriviamo, sono fra i secondi. 

Lo scenario è quello per cui non è che la Cina per essere complice della Russia la debba aiutare materialmente (cosa che fa comunque), basta che faccia il suo dovere nelle sedi decisorie internazionali mantenendo una falsa equidistanza. Lo ha fatto ad esempio sulla mozione Onu per “l’immediata cessazione delle ostilità da parte della Russia, in particolare di eventuali attacchi contro civili“: 140 Paesi a favore, 5 contrari (Russia, Siria, Bielorussia, Eritrea più l’immancabile Corea del Nord) e 38 astenuti fra cui Pechino. 

Foto: U.S. Department of State from United States

E il ministro degli Esteri della suddetta, Wang Yi, si sta lavorando ai fianchi Jens Stoltenberg, segretario della machissima Nato a trazione Biden, asserendo che è un venditore di fumo e fake news sui comparaggi fra Pechino e Mosca. Tutto questo non per smentire, ma per creare la possibilità cognitiva, cavalcando la mistica dell’America sorniona e burattinaia, che una smentita non sia vista solo come una impunita ed indifendibile negazione, ma come possibilità che forse la Cina davvero non c’entra nulla con la brutta faccenda ucraina. L’idea da far passare, la mezza verità che diventa verità tonda per pigrizia, è che due marpioni non è detto che debbano avere briscole in comune, ognuno è marpione a casa sua.

Il prezzo è Taiwan, che si sta armando come una piccola Prussia lungo le sue coste assassine di roccia. Perché quando entro un anno sarà invasa dai fanti di marina del Dragone l’isola e i suoi guai diventeranno oggetto di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu, dove la Russia ha potere di veto e potrà restituire il favore. Wang Yi lo sa benissimo e sta concimando il terreno da cui spunterà la prossima pianta malevola della sopraffazione.

Dipendente dell’anno.

ROMAN ABRAMOVICH – JOE BIDEN

Roman Abramovich (Foto: Chlesea P.O.)

Non hanno molto a che vedere, ma sono uniti da due cose: dalla goffaggine innata e da Volodymyr Zelensky che ha scritto al secondo “raccomandando il primo“. Partiamo dal comune denominatore concettuale. 

Roman Abramovich è stato goffo nel cercare di accreditarsi come “nuncio di pace” fra Mosca e Kiev giocandosi la matta dell’amicizia di Putin e la sua propensione a vedere un mondo senza le guerra. Il segreto delle sua goffaggine sta tutto nel fatto che a muoverne gli intenti diplomatici è stata la speranza che la sua condotta gli fruttasse lo scongelamento dei beni a vagoni che ha nel Regno Unito. 

Il guaio dei diplomatici un tanto al chilo però è che giocano quasi sempre sulla confidenza che hanno con una delle parti. Mentre la diplomazia è (per fortuna) molto di più che ricordare ad un conducator con gli occhi rossi di cordite che ci hai giocato a calcetto nel campo sintetico annesso allo yacht di fianco all’eliporticino figo e smart. 

Fa fede la risposta piccata e infastidita di Putin ad un Abramovich fattosi “postino” di una lettera di Volodymyr Zelensky allo zar, con il presidente ucraino che ha chiesto a Biden di togliere le sanzioni all’oligarca come segno di riconoscimento per il suo impegno nel metter pace. Ha detto lo zar: “Li bastonerò

Joe Biden (Foto: Defense Visual Information Distribution Service)

E veniamo a Joe Biden: Biden è goffo semplicemente perché è vecchio e piantiamola con la storia dell’anagrafe che carbura i savi: imbeccato da un vecchio rovello cinico di Flaiano, Zavattini diceva che l’età non produce saggi ma vecchi. Ed aveva ragione, specie se ad invecchiare è uno che abita al 1600 di Pensylvania Avenue-Washington. 

Dire, dopo avergli dato del macellaio, che Putin va deposto significa asseverare esattamente quello che analisti come Ivan Krastev (leggi qui)  hanno spiegato in tutte le salse: Putin non teme per la Russia, ma di essere rovesciato e l’Occidente rovescia per vocazione antichissima perché ha bisogno di uomini suoi per stare tranquillo.

Goffo più goffo.

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