Internazionale, i protagonisti della XVII settimana MMXXII

I protagonisti della XVII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della XVII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

EMMANUEL MACRON

Emmanuel Macron

Ha vinto malgrado la guerra e “grazie” alla guerra, in una formula ambigua che nella storia compare sempre, anche se non sempre declinata in upgrade. Churchill ad esempio portò il Regno Unito alla vittoria epica contro il nazismo ma non venne riconfermato al 10 di Downing Street. Lui invece, Emmanuel Macron, ha vinto anche perché la sua condotta durante il conflitto in Ucraina ha fatto “curriculum

Capiamoci, il neo rieletto Presidente della Repubblica di Francia non ha esibito skill clamorose nel gestire la difficilissima fase diplomatica di un conflitto tentacolare in quanto a soluzioni. Però ha acquisito meriti sufficienti a fargli staccare Marine Le Pen già dal primo turno ed a bastonarla al secondo.

Cosa ha lavorato a favore di Macron? Due fattori, uno esterno ed uno interno: il fatto che si sia speso forse come nessuno fra i leader occidentali nel trovare una soluzione al vespaio messo in piedi da Mosca e il dato per cui la Francia è l’unico Paese Ue che è cresciuto in quanto a Pil. Il sunto è che in Francia la mistica del popolo stradaiolo e pronto a scendere in piazza ovunque e comunque funziona fin quando ai francesi non gli metti sotto il grugno il tenore di vita medio. Lì da sanculotti diventano subito tutti girondini e il gioco ricomincia fino alla prossima barricata.

Soft Atlantic
Emmanuel Macron

Fuori dai confini Macron ha inaugurato quella formula di “atlantismo soft” a trazione europea che ha segnato uno stacco nettissimo con l’interventismo muscolare e provocatorio del primo socio Nato. Chi sono? Ovvio, gli Usa di Joe Biden che sembrano volere un’escalation più di quanto non anelino a vedere colombe nei cieli di Kiev al posto dei missili.

Macron invece ha capito che le bordate della Casa Bianca sul genocidio e i soldi a paccate non sono salutari per la salute del mondo e per l’economia del Vecchio Continente, ha puntato sui più selettivi e cartesiani “crimini di guerra” e ha saputo farlo capire agli elettori. 

Poi le questioni interne che spicce non sono mai: in Francia, nella Francia già “di Macron”, l’attività economica è cresciuta più fortemente del previsto nel 2021. Dopo un calo dell’8% nel 2020, il PIL è aumentato del 7% nel 2021, secondo i dati INSEE pubblicati a fine gennaio 2022. L’economia francese ha superato dello 0,9% il livello pre crisi sanitaria e l’indubbio impatto della pandemia è stato forte ma non devastante. 

Con questi numeri, giocandosi il faccia faccia con l’avversaria da una posizione di vantaggio e poggiando il suo cimento d’urna su leve tutto sommato scontate e da “naso turato” Macron si è preso la medaglia di Chirac, quella di un’elezione bis all’Eliseo. E quella medaglia se l’è appuntata sul petto semplicemente surfando con cautela le onde di un mare grosso in cui altri hanno azzardato piroette. Ed ha vinto facile in un momento difficilissimo.

Beach Boy.

L’HEAVY METAL

E’ un fatto, Metallica e Black Sabbath stanno con l’Ucraina e sono diventati l’arma segreta dei fanti giallo azzurri contro i soldati della Federazione russa. Spieghiamola ché ne vale la pena. Studi tattici sullo scenario del conflitto portato da Mosca a Kiev hanno confermato una faccenda che è un po’ sotto gli occhi di tutti: i russi stanno vincendo ma nel vincere ne stanno prendendo tante e tali che Pirro a paragone pare Bonaparte ad Austerliz

E molti dei per certi versi sorprendenti “fallimenti” della forza d’invasione russa in Ucraina sono figli dei difetti nelle trasmissioni, vale a dire nella comunicazione via radio. Molti reparti russi hanno dovuto fare ricorso, per iniziale e colposa carenza di mezzi appropriati, a walkie-talkie di tipo commerciale e con quelli gli ucraini hanno fatto macelli. Come? Intercettando le frequenze russe e anticipando le loro mosse, chiudendo e tenaglia con trappoloni clamorosi di artiglieria dove i loro mezzi consentivano quelle sortire corsare. 

Un’arma chiamata Ozzy

Ma cos’è che non va con le radio russe? Le moderne radio di livello militare crittografano i segnali e cambiano la frequenza su cui operano molte volte al secondo, perciò intercettare le trasmissioni è impossibile. Tuttavia molti reparti di Mosca, primitivi kadyroviti ceceni in pole buzzurra, ancora oggi comunicano su canali ad alta frequenza (HF) non crittografati che consentono a chiunque abbia un “CB” di origliare. 

Da qualche giorno alle divisioni più moderne sono arrivare le nuovissime radio Azart, con crittografia incorporata e che possono operare su frequenze molto più alte. Ma nel frattempo i fanti ucraini e i radioamatori si sono presi la loro rivincita, e quando hanno carpito le conversazioni utili impediscono che quelle proseguano.

Come fanno? “Spammando” i russi con decine e decine di canzoni heavy metal sparate a volume clamoroso sulle frequenze russe. In questo modo fra quel che un puntatore deve sapere in tavola balistica e quel che un pilota di elicottero deve dire su quella tavola ci si mette di mezzo Ozzy Osbourne la cui voce potrebbe abbattere un Iskander a mezz’aria.

Senti che assolo, Ivan.

DOWN

RICHARD BARRONS

Il mondo occidentale tende a scoprire le sue pedine atlantiche solo quando la scacchiera Nato è sul tavolo e questo è normale. L’alleanza avrà pur scopi difensivi e di mutua assistenza, ma pur sempre di consorteria militare si tratta. Perciò entro certi limiti è anche giusto che uomini, donne ed intenti della Nato siano decisamente poco mainstream. Tutto questo, questa massa “incognita” di dati, idee, orientamenti, personalità ed indoli diventa perciò preda di una sorta di “effetto ovetto Kinder” quando sorpresi scopriamo cose e persone di quell’ambito. 

Persone come l’arcigno generale britannico Richard Barrons, che la Nato l’ha comandata tutta dal 2013 al 2016. Il tipo è stato recentemente audito sulla guerra della Russia all’Ucraina dalla Commissione Difesa del Parlamento a Londra ed ha detto cose al fulmicotone. Cose come “la Nato non è pronta alla guerra contro la Russia, dovremmo vergognarci“. 

Calma e gesso e proviamo a spiegarla: il generale Barrons, uno cioè che alla guida della Nato c’è stato negli anni cruciali della presidenza Obama, dei fondi tagliati e dell’Occidente pronto a rintuzzare solo minacce foreste, ha spiegato ai parlamentari di un paese Nato che “il motivo principale per cui desideriamo evitare una guerra tra la Russia e la Nato è che la Nato non è pronta. E dovremmo vergognarcene“. Attenzione, lui ha detto “desideriamo“, non “dovremmo“.

L’uomo della guerra

Insomma, a parere di Barrons i Paesi della Nato hanno offerto aiuti all’Ucraina ma si sono ben guardati dallo scendere in guerra. E Barrons lo ha detto con un tono di sottile rammarico tale da far pensare che a lui un po’ gli sia dispiaciuto che l’Alleanza Atlantica non avesse mezzi sufficienti per andare oltre il semplice foraggiamento bellico a Kiev. E interrogato su quale sia a suo parere il punto di non ritorno per mettere in campo truppe su suolo ucraino ha spiegato: “Quella decisione sarebbe ‘più facile’ se avessimo fatto dei preparativi per agire in quelle circostanze con la rapidità richiesta, ma non l’abbiamo fatto. Se poi Vladimir Putin decidesse di attaccare un Paese membro della Nato per i suoi scopi la domanda sarebbe molto più semplice perché ci troveremmo davanti a una violazione dell’articolo 5“.

La morale, a volercela trovare in queste parabolette marginali all’orrore che l’Europa sta vivendo, è che in barba alle dichiarazioni di principio anche il fronte avverso al guerrafondaio Putin brulica di profeti dell’intruppamento facile. E di falchi che per una salva campale di cannoni darebbe un braccio. Solo che qui in ballo non c’è il braccio dei matti che vanno a dormire con l’elmetto, ma il cuore di un continente che la sua ultima guerra di larga scala l’ha combattuta nel 1945. E che non vorrebbe combatterne più, alla faccia di tutti i Barrons dell’universo.

Nostalgia canaglia.

VLADIMIR PUTIN

Vladimir Putin (Foto Kremlin P.O.)

Ci sono medaglie d’oro, d’argento, di bronzo e di latta. Poi ci sono quelle di sangue, roba che a stare sul petto di chi le porta gocciolano rosso e di solito sporcano divise. E quella che Vladimir Putin ha appuntato sul petto dei fanti motorizzati della 64ma brigata fucilieri russi, entrata nei loro ruoli matricolari oggi, Primo Maggio, è esattamente così, una possibile gronda di sangue appuntata sul petto di soldati che come minimo hanno fatto poco per meritarsela. 

Ma Vladimir Putin è così, come politico autarca ed ex vecchia volpe dei servizi. È un essere malato di simbologia, ama l’otto volante dei messaggi traversi alternati a sfacciate proclamazioni. Insomma Putin fa politica con cose che di solito dovrebbero fare solo orrore, perciò ha premiato i soldati di Bucha, quelli che a Bucha c’erano quando a Bucha venivano compiuti massacri sfacciati e tremendi sui civili del sobborgo nord di Kiev. 

Il sunto è: i fanti della 64ma brigata motorizzata e i loro quadri reggimentali sono di fatto sotto indagine della corte dell’Aia per crimini contro l’umanità: sono i buriati di ceppo mongolo a cui portano severi indizi in ordine alle efferatezze commesse nella cittadina simbolo dello scempio ucraino. La giustizia internazionale farà il suo corso e su cosa sia successo a Bucha si farà chiarezza in punto di Diritto. Il dato parallelo è che a Bucha, da un punto di vista strettamente militare, non è successo niente di clamoroso: gli occupanti hanno abbandonato l’area poco prima che i riconquistatori ne riprendessero il controllo e le due forze sono andate in attrito radente minimo. 

Medaglia di disonore

A dirla tutta e chiara i presupposti e circostanze per concedere il titolo di “Guardie” a truppe russe non ce n’erano, non in ortodossia tattica. E il senso è proprio quello: premiando i fanti della 64ma Putin ha voluto riconoscere la loro impunità a prescindere, misconoscere il ruolo dell’Aia e far sapere al mondo che di quel tipo di giustizia lui se ne fotte.

 Ma zar Vladimir è andato oltre: appena punta con lo spillone della medaglia la bandiera del reggimento lo ha rispedito al fronte senza nemmeno un giorno di riposo in retrovia, suscitando anche qualche legittimo malcontento nella truppa. E che fronte per gli eroi! La 64esima brigata motorizzata è stata riposizionata a Izyum dove l’artiglieria ucraina martella con micidiale costanza. Le cronache riferiscono che ha già subito perdite pesanti. Le immagini restituite dai droni di Kiev mostrano che la brigata è stata attaccata infliggendole pesanti perdite.

Putin li ha mandati al macello. Dicendo, al mondo intero, che è lui a fare giustizia e non un pallosissimo tribunale internazionale, destinato a barcamenrarsi tra codici, testimonianze imbarazzanti, verbali a futura memoria.

Lo zar sono me.