Internazionale, i protagonisti della XXIX settimana MMXXII

I protagonisti della XXIX settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della XXIX settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

LA SCOTT AIR FORCE BASE

Foto © U.S. Air Force photo / Senior Airman Scott Jackson

Gli Usa fanno la guerra in Ucraina senza essere in Ucraina ma non lasciando mai sola l’Ucraina: funziona più o meno così e per funzionare deve esserci una macchina che fila come un orologio svizzero. Deve esserci perché le guerre di supporto logistico sono meno mistiche ed emotive ma a volte molto più difficili da gestire, se si tiene conto del fattore per cui vanno condotte da remoto. 

Ecco perché, specie dopo le dimissioni della testa di ponte più perfetta in Europa per le istanze di Kiev, cioè il capoccione biondo di Boris Johnson, le skill Usa nell’aiutare Volodymyr Zelensky stanno rasentando la perfezione. Una perfezione che grazie ad un report del New York Times trova la sua ideale somma nella base dell’Air Force Scott. 

Preambolo: dal 24 febbraio l’amministrazione Biden ha contribuito alla causa di Kiev con ettari di dollari in aiuti militari al governo ucraino. Il jolly è il Pentagono, che ha tirato fuori dal cilindro mirabilia militari. Ma quella roba a Kiev ci doveva e ci deve arrivare. Ecco, qui interviene la Scott. Si tratta di una base militare nell’Illinois, a circa 25 miglia a est di St. Louis. Di stanza lì ci sono diverse migliaia di addetti alla logistica di ogni ramo delle forze armate. Tutti inquadrati nello United States Transportation Command, o Transcom. 

Sempre operativa
Foto: US Navy / Petty Officer 1st Class Dominique A. Pineiro

Attenzione, si tratta di una unità con rango di “comando combattente“. Che significa? Che li si ragiona, si opera, si va perfino al bagno come se si stesse facendo una guerra sul campo. La Scott prende ordini direttamente dal Segretario alla Difesa ed elabora il flusso di ogni spedizione di aiuti militari dagli Usa all’Ucraina. Ma come funziona nel concreto, cioè, come fanno i “gingilli” del Pentagono ad arrivare in territorio ucraino? 

È un po’ come con Amazon, ma con il corriere che ha la pistola in fondina. Il processo inizia quando il governo di Kiev invia una richiesta ad un call center in una base americana a Stoccarda, in Germania. Lì c’è un gruppo interforze in rappresentanza di 40 nazioni (Nato più Ue più aspiranti soci) che coordina gli aiuti. Alcuni degli ordini vengono eseguiti da un partner o alleato Usa, ma la più parte è a gestione diretta Stars and Stripes tramite il Comando europeo degli Stati Uniti, anch’esso a Stoccarda. 

Coordinano il tutto il Segretario alla Difesa Lloyd J. Austin III ed il generale Mark A. Milley, capo degli stati maggiori collegati; senza la loro firma non parte neanche un tostapane. Il carico si invola dalla Scott sui grossi Globemaster, arriva a Soccarda, prende una denominazione di urgenza e segretezza secondo quattro gradi di scala “urgent” e viene caricato su altri aerei o mezzi su ruota verso un bouquet a tre porte: Polonia, Ungheria e Romania, a volte con step intermedi da noi in Italia, ad Aviano. 

Zelensky riceve i suoi giocattoli e alla Scott qualcuno, da buon americano, tira su soddisfatto il caffè da un tazzone gigante e avvisa la moglie a casa di accendere il barbecue perché il suo ruolo di guardia della libertà è finito con il turno. Perché le guerre da remoto saranno anche più difficili di quelle sul campo, ma presentano un minuscolo vantaggio: ammazzano solo i bilanci e non fanno vedove in patria.

Guardie… svizzere.

GOOGLE

La sede Google a Mountain View

Dalle parti di Google sono stati prima zitti per un bel po’, poi hanno deciso: i dati di localizzazione degli utenti Usa saranno automaticamente cancellati se costoro, dirette interessate o famigli, visitano una clinica dove viene praticato l’aborto. Lo hanno deciso i vertici di Mountain View per dare il loro contributo ad una lotta che le donne americane stanno conducendo da sole per la prima volta da quando venne approvata la legge Roe vs Wade. 

Traduciamola ché in linguaggio spiccio viene meglio: Google eliminerà i dati di localizzazione di tutte quelle donne che in futuro decideranno di abortire in barba alla sentenza della Corte Suprema che ha messo l’aborto all’indice negli Usa. La questione è un po’ più complicata e va chiarita: la sentenza in questione non ha vietato l’aborto, ma ne ha delegittimato il valore costituzionale di diritto. Perciò ogni stato deciderà liberamente da sé cosa farne e come sanzionare chi lo pratica e chi la pratica la incentiva o agevola. 

E siccome in singolo appello gli Usa che legiferano sono molto più trogloditi degli Usa che surfano nelle pubblicità bisogna evitare che esista una tracciabilità di persone che in futuro saranno costrette a violare la legge. Persone come quella ragazzina di 11 anni stuprata e costretta a cambiare stato per abortire. La piccola è dell’Ohio, dove c’è già una legislazione cavernicola, ma abortirà in Indiana, dove quella legislazione arriverà ad inizio agosto, e dovrà sfruttare quella finestra temporale. 

Via dalla mappa

Eliminando i dai di tracciabilità Google non viola alcuna legge, ma di fatto crea i presupposti per cui chi volesse violarla non diventi un “bip on map” di cui asseverare la posizione magari in una clinica ed a cui notificare un atto giudiziario. E’ l’aborto clandestino, quello delle “mammare” che pian piano spiega le sue ali nere su una nazione che aveva promesso che nulla delle prerogative di libertà dell’uomo sarebbe mai stato fatto in clandestinità. 

Jen Fitzpatrick, vicepresidente del gruppo californiano, ha detto: “Se i nostri sistemi identificano che una persona ha visitato una struttura (sensibile), rimuoviamo quelle voci dalla cronologia di localizzazione poco dopo la visita“. E Google ha capito che in questo momento la sola strada per affermare un diritto è quella di aggirare una norma

Perché è così che si fa quando il tuo Stato ti si rivolta contro: si diventa partigiani, una cosa che negli Usa non si faceva dalla lotta contro gli inglesi all’epoca delle 13 colonie. E se quello che Google ha deciso dà conforto, quello a cui la decisione di Google vuole creare inciampo ci conforta molto poco.

Dichiarazione di Indipendenza.

DOWN

SUELLA BRAVERMAN

Suella Braverman (Foto Andrew Parsons / No10 Downing Street)

La signora Suella Bravemann sta lavorando sotto traccia da quando la zazzera bionda di Boris Johnson ha abbandonato il numero 10 di Downing Street. Lei è di origini keniote e sa benissimo che se c’è una cosa che nel Regno Unito è skill aggiuntiva di pregio è quella per cui ai vertici della nazione ci siano testimonial multietnici. Ah si, Suella Brevamann non è proprio una stagista tory, è il procuratore generale di Inghilterra, cioè la massima autorità requirente dello Stato, un magistrato di massimo rango con una lunga esperienza alle spalle. 

E Braveman lo aveva detto con molta chiarezza nel toto premier che in queste settimane sta appassionando (molto poco) la Gran Bretagna e (moltissimo) i media internazionali: “Che Boris Johnson si dimettesse era nell’interesse di tutti i cittadini britannici“. Bello bellissimo, pop, tondo e perfetto: se non fosse per due cose: la prima è che la Braveman si trova dov’è grazie a quello stesso Johnson che in questi giorni sta sputtanando; la seconda è che Braveman non si è limitata a dire che Boris doveva sloggiare, ma ha anche indicato chi di Boris dovrebbe prendere il posto, cioè lei

I britannici con Johnson hanno davvero sofferto“, aveva detto il giorno dopo il ritiro della candidatura a premier del ministro della Difesa Scott che punta a scalzare Stoltenberg dai vertici della Nato. Poi a seguire: “Non ho intenzione di dimettermi dal governo. Tuttavia, se c’è un concorso di leadership, andrò avanti e trasmetterò il mio nome“. 

Il frutto maturo cade da solo
Boris Johnson al convegno dei Conservatori (Foto: © Paul Toeman)

Cioè lei non è mai stata fra i ministri che per incentivare la decisione di Johnson a sloggiare sloggiavano essi stessi. No, lei aspettava solo che il frutto maturo cadesse a terra e che la finestra di opportunità che brama si spalancasse. Poi è arrivato il Guardian ed ha chiesto alla giudice Bravenam una cosa semplice semplice: “Perché se Bo-Jo era così pessimo lei è stata una delle sue principali supporter per anni?“. 

In effetti non è che il premier dimissionario si sia trasformato in un ingombrante inciucione in 24 ore, Johnson inciucione ed eccessivo lo è sempre stato. Lady Braveman ha risposto con una frase slogan: “Ricoprire la carica di Primo Ministro sarà il più grande onore, e non dimentichiamoci che in precedenza il Primo Ministro uscente stava andando bene, ma dal 2020 sua posizione è diventata insostenibile“. 

Insomma, dall’alto delle sue legittime aspirazioni e della sua posizione la signora ha detto la sua. E in quella posizione come ci si trova, per concorso? Non esattamente, nel 2020 lei venne nominata. Direttamente Procuratore generale di Inghilterra e Galles. Ed anche Avvocato generale per l’Irlanda del Nord. Da chi? Da quel Boris Johnson che per sua bocca proprio dal 2020 aveva cominciato a toppare. E forse lady Braveman ha ragione: nel 2020 Bo-Jo in qualcosa toppò.

Core ‘ngrato.

BRENDAN CARR

Brendan Carr (Foto: Gage Skidmore)

Fa un lavoro figo Brendan Carr: è commissario federale per le comunicazioni degli Stati Uniti, una specie di garante. Perciò qualche volta può anche permettersi di derogare dalla mission madre e mettersi a fare il complottardo. Carr è un trumpiano di ferro, senatore repubblicano riconfermato con Biden, avvocato, nemico acerrimo dell’acquisizione da parte di Elon Musk di Twitter. Ed oppositore ferreo delle protezioni alla neutralità della rete. 

Che significa? Che per lui la rete e chi ne governa le tasche devono essere posti a servizio di una parte, ovviamente purché sia quella giusta, cioè quella di Carr. Ecco perché quando il senatore ha chiesto ad Apple e Google di rimuovere TikTok dai loro app store la cosa ha preso il sapore di una cosa più fanatica che raziocinante. In pillole, Carr sostiene che il popolare social cinese sia una sorta di “Spectre” con cui Pechino acquisisce i dati di milioni di giovani americani. 

Con questo rovello che la notte non lo fa dormire nel suo villone sul Potomac, Carr ha svegliato il segretario ed ha fatto approntare una lettera che Savonarola scansati. L’ha fatta inviare a Tim Cook e Sundar Pichai, amministratori delegati di Apple ed alla società madre di Google, Alphabet. E la fonte-sponda a supporto della teoria di Carr? 

Il lupo travestito da pecora

Un recente rapporto di BuzzFeed News che ha rivelato che i dipendenti con sede a Pechino della società madre di TikTok, ByteDance, avevano ripetutamente avuto accesso a informazioni private sugli utenti statunitensi, questo nonostante le rassicurazioni della società sul contrario. Ecco uno stralcio dello scritto: “È chiaro che TikTok rappresenta un rischio inaccettabile per la sicurezza nazionale a causa dei suoi dati estesi combinati con l’accesso apparentemente incontrollato di Pechino a quei dati“. 

Cos’altro è chiaro? “Che il modello di condotta e le false dichiarazioni di TikTok riguardo all’accesso illimitato che le persone a Pechino hanno ai dati sensibili degli utenti statunitensi lo rendono non conforme alle politiche aziendali“. Insomma, nel Paese più liberal del mondo Carr ha deciso lui quali debbano essere le politiche aziendali di due colossi. Lo ha fatto spiegando truce che TikTok “è tutt’altro che un’app video divertente per i giovani. È un lupo travestito da pecora per la sorveglianza di massa“.

Negli Usa perfino la scelte del pizzettaro sotto casa sono sacre e delegate alla sola capacità imprenditoriale del titolare del carretto. E Carr dovrebbe saperlo. Come dovrebbe sapere che il problema non è tanto la presunta infigardaggine di TikTok, probabilmente reale. Ma il fatto che le business policy dalle sue parti sono un dogma da toccare pianissimo perché gli Usa senza capitalismo sono come John Wayne senza un cavallo. E azzoppare quel cavallo significa azzoppare lo spirito di un Paese che a piedi non ci sa proprio andare.

Spegni il rogo, Brendan.

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