Internazionale, i protagonisti della XXVII settimana MMXXII

I protagonisti della XXVII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della XXVII settimana del 2022 sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo.

UP

MARIE-CLAUDE BIBEAU

Marie Claude Bibeau al congresso dei Produttori Agricoli Upa

A voler essere cinici, quello che oggi serve all’Ucraina ed a buona parte del mondo non è solo una pace onorevole, ma anche un’economia che della pace sia marker. Questo perché lo stato aggredito non è solo un’icona di resistenza, ma è anche spot mondiale di un sistema alimentare che fa dipendere da Kiev decine di milioni di persone. Che neanche sanno dove sia Kiev.

Il ragionamento è basico ma fondamentale e risponde ad una domanda molto meno banale di quanto non suggerisca la sua enunciazione: come rimetteremo in moto la macchina dopo gli sfasci innescati da Vladimir Putin? Ecco, quella domanda se l’è posta la ministra canadese dell’Agricoltura e dello Sviluppo Internazionale Marie-Claude Bibeau, patendo dall’assunto che in Ucraina ogni punto di domanda ha la forma sinuosa di una spiga di grano.

E la risposta è stata semplice e a suo modo geniale: non solo armi, ma il Canada all’Ucraina sta inviando anche grano, grano saraceno per la precisione. Per aiutare Kiev e i paesi che da Kiev dipendono ad affrontare una crisi alimentare causata dall’invasione russa Ottawa sta inviando grano saraceno che ha una crescita più rapida e che potrà quindi generare un raccolto futuro in maniera più massiva, veloce e “smart”.

Gemello Ucraina
Foto: Picjumbo / Pixabay

L’Ucraina è un po’ la “gemella europea” del Canada, cioè è uno dei maggiori esportatori di grano al mondo. Rifornisce molti paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente, oltre al Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite. E Bibeau, da buona “quebechienne” quale è, lo ha detto senza fronzoli: “Ci sono piccoli Paesi per i quali la sicurezza alimentare è compromessa“. 

Ma non è finita qui: il Canada spedirà in Ucraina anche silos mobili, che possono essere trasportati e installati rapidamente, ed “eventualmente anche elevatori per cereali“. La ministra ha chiosato: “L’obiettivo è poter avere spazio di stoccaggio per il prossimo raccolto, perché in questo momento i silos sono stati distrutti, bombardati o in altri casi nei silos c’è ancora grano pronto per essere esportato“.

E se la pace è un seme da mettere a dimora nei terreni devastati dalla follia umana, Bibeau ha scavalcato il simbolismo. Ed ha capito che per esistere la pace non può essere solo un concetto.

Oltre la metafora.

UDO LECHTERMANN

Il giudice Udo Lechtermann (Frame da Euronews)

Udo Lechtermann alla storia non ci voleva passare e probabilmente non ci passerà, però a suo modo la storia l’ha fatta. Lechtermann è il giudice tedesco che ha condannato a cinque anni di prigione l’ex sottufficiale sorvegliante del campo di concentramento nazista di Sachsenhausen Josef Schütz.

L’uomo, effettivo delle Waffen SS, ha 101 anni ed è di fatto la persona più avanti con l’età mai condannata per complicità in crimini commessi durante l’olocausto. Schutz è stato ritenuto colpevole di “complicità” nell’omicidio di almeno 3.500 prigionieri nella sua veste di addetto alle garitte di sorveglianza fra tra il 1942 e il 1945 nel campo di concentramento a nord di Berlino.

E quella fissata dal Lechtermann è stata una linea giurisprudenziale innovativa non certo per l’anagrafe della persona che era chiamato a giudicare in punto di Diritto. No, la toga tedesca ha sostanziato un principio giuridico che non veniva applicato da tempo e che scavalca il concetto di responsabilità diretta. Quello per il quale molti ex nazisti di medio cabotaggio, specie sottufficiali, si erano trincerati dietro un ipocrita “eseguivo solo gli ordini“.

Il confine dell’irresponsabilità
Sullo sfondo, il camino del forno crematorio di Sachsenhausen (Foto © AG IchnusaPapers)

La sentenza è stata chiara: assistere alla barbarie dell’Olocausto senza far nulla è incentivare quell’orrore e dare sostanza al reato che in quel momento si commette. Non un peccato etico dunque, ma un crimine penale a tutti gli effetti.

Ha scritto il presidente del tribunale di Brandeburgo an der Havel nel dispositivo letto davanti ad un imputato in sedia a rotelle, vestito con camicia grigia e pantaloni del pigiama: “Per tre anni lei ha guardato come venivano torturati e uccisi i prigionieri davanti ai tuoi occhi, lo ha fatto posizionandosi sulla torre di avvistamento del campo di concentramento, lei aveva costantemente il fumo del crematorio nel naso“.

E ancora: “Chiunque volesse fuggire dal campo è stato fucilato. Pertanto, qualsiasi guardia del campo ha partecipato attivamente a queste uccisioni“. Poi la chiosa: “Ci sono posti in cui lei non dovrebbe stare e cose che lei non dovrebbe fare“.

Lo ha detto ignorando che l’uomo che aveva di fronte era sulla terra da più di un secolo, perché ci sono cose che i secoli le scavalcano, e gridano giustizia senza guardare alla clessidra del tempo.

Io sono la Legge.

DOWN

BORIS JOHNSON

Boris Johnson (Foto Jess Taylor / © UK Parliament)

La sola cosa che poteva fare dopo aver visto 60 membri del suo esecutivo dimettersi era pensarci bene in una notte di tregenda al numero 10 di Downing Street. E l’unica cosa che da fare gli è restata quando a dimettersi in nove ore erano stati altri due ministri da lui nominati in fregola di rimpasto era arrendersi, arrendersi e mollare. Il messaggio era chiaro: a lui di rimpastare non è concesso. A lui è stato aperto un cancello ed indicata la via dell’orizzonte ramengo. Punto.

A dire il vero lui, Boris Johnson, che era il caso di mollare lo aveva capito già da giorni. Ma il tipo è troppo vittima del suo eclettismo pop per andarsene senza neanche averci provato, a fare l’inamovibile. Dopo tre anni in cui Johnson ha visto le vette con la zazzera beat e toccato le valli con le chiappone opime l’ormai ex Primo Ministro del regno Unito si è arreso all’evidenza. Quale?

Quella per cui scandali, party-gate, ministri dalle mani lunghe e dimissioni a raffica sono stati solo un ottimo pretesto per rimettere i Tory, i conservatori britannici, in asse con una linea meno bulla nei confronti del Cremlino. Solo 15 giorni fa Johnson, che pro forma resterà in carica fino all’autunno, aveva nominato Capo di Stato maggiore dell’Esercito uno che aveva detto a 250mila fanti di prepararsi alla Terza Guerra Mondiale. Mica cotica.

Ironia e sollievo a Mosca
Boris Johnson al convegno dei Conservatori (Foto: © Paul Toeman)

Già perché, peccato mortale dimenticarlo, a Mosca hanno guardato alle dimissioni di Bo-Jo con un misto di ironia e sollievo. Perché ironia? Perché nell’arena diplomatica Johnson era il più irridente fra i potenti occidentali nei confronti di Putin. E perché sollievo? Perché il già primo ministro del Regno Unito non era solo un guitto perculatore, ma anche il più falco tra i falchi sull’asse atlantico Washington-Londra-Varsavia. Questo fa si che la sua caduta politica privi Volodymyr Zelensky di un alleato ancor più fedele di Washington, non fosse altro per il fatto che nessuno più degli inglesi odia i russi, eccetto quelli straricchi della City. Ovvio.

E alla fine, in una già torrida mattina di luglio, quello che è rimasto da fare a Boris Johnson è stato contemplare quella lunga fila di dimissionari che bussavano al 10 di Downing Street. E decidere che dimissionario doveva diventarlo pure lui.

A mollare non è stato un grande ma di certo se ne va uno che ha lasciato il segno nella mistica dei premier spicci e di scena larga. Non sarebbe mai stato un Churchill ma non è mai stato un Chamberlain e per ora gli unici che lo rimpiangono come politico stanno dappertutto meno che nel Regno Unito.

Bye Bo-Jo

BAJOS DE HAINA

Cosa c’entrano la transizione verde, l’economia circolare ed un (presunto) eden in terra come Santo Domingo? Tecnicamente nulla, a voler considerare la vulgata per cui tutti i paradisi tropicali sono posti di cocco e vita figa. Luoghi dove la Natura è Bella, tiranna ed Incontaminata e dove tutte le barriere coralline pullulano dei pesci più in salute dell’universo che non vedono l’ora di farsi ammirare da ragionieri in fregola si snorkeling. Ma non è così, non lo è così tanto che Bajos de Haina, ridente località della Repubblica Dominicana, nel 2006 risultò essere il terzo sito più tossico al mondo.

Si, avete capito bene, a Santo Domingo c’è un posto che anche a fare la tara ai 16 anni passati, è fra i dieci spot più luridi del pianeta. Lo spiega meglio il nome con cui Bajos era chiamata: la “Chernobyl dominicana“. Lo ha spiegato ancor meglio ad Al Jazeera English Elizabeth Mota, un’operaia che ha 48 anni e che da quelle parti non riesce mai a vedere il sole.

Già, in quella Santo Domingo là, la terra in cui poco lontano sull’affaccio di Boca Chica c’è il mare più turchese della galassia, il sole non si vede da quanto fumo c’è in cielo. Ed è fumo greve di piombo che non avvelena solo il turismo, ma avvelena anche il sangue di quelli che dal turismo si aspettano un minino di Pil e che invece vanno spersi per ospedali a morire di cancro.

L’inferno in terra

Bajos de Haina è una bigia città portuale ridotta alla crosta nella provincia di San Cristobal, appena a sud della capitale Santo Domingo. Lì operano almeno 100 aziende e ci sono due parchi industriali. Nel quartiere di Los Desamparados, che significa “i Rinnegati” e chissà perché, la percentuale di tumori ai polmoni ed al sistema linfatico è molto simile a quella che si registrò intorno a Chernobyl nei censimenti sanitari del 1992/1993, quando fu possibile spulciare qualcosa oltre la Cortina abbattuta.

Le industrie chimiche, farmaceutiche e metallurgiche lì ci vanno per fare affari in una terra che concede licenze come se non ci fosse un domani. Ed offre mano d’opera in modalità discount. Lì, a Los Desamparados, ci si ammala di tutto: lesioni cutanee, problemi respiratori, neoplasie, deformità neonatali. Tutto lo starter pack che ha portato quella zona ad essere ufficialmente riconosciuta nel 2019 come sito mondiale avvelenato dal piombo.

Da quelle parti opera anche la Veri, Verde Eco Recycling Industrial, un impianto di riciclaggio di batterie per automobili che però respinge ogni accusa. Ed ha sporto più querele di Renzi. E il problema non è di chi singolarmente è la colpa, non solo almeno. Il problema è che il mondo è ancora troppo pieno di ecogargarismi per poter parlare di ecologia. Men che mai per praticarla. Ed a Bajos de Haina, dove il sole non passa in mezzo al piombo, lo sanno benissimo.

Paradiso o paradosso?

TEJASVI SURYA

Foto: Sanket Oswal

In piena autarchia Mussolini ingiunse ai magazzini “Standard” di prendere il nome “Standa”. Il primo faceva troppo Perfida Albione. Ecco, qualcosa di simile deve essersi agitato nella capoccia di Tejasvi Surya, giovane pistola (in tutti e due i sensi figurati) del nazionalismo indiano della destra ortodossa. Che ha fatto il tizio? Boicotta le svendite che puntano ai clienti di religione musulmana.

E per boicottare i musulmani Surya ha fatto la stessa fregnaccia del suo idolo italiano del Ventennio: il Duce arrivò a diffidare i giornalisti dall’usare la parola Eden per indicare il paradiso. Perché nella sua mistica da erudizione spray era omologa al cognome dell’odiato ministro degli Esteri britannico Anthony Eden. Solo che Eden è parola aramaica ma questo il Duce lo trascurò colpevolmente. Ad ogni modo Surya ha lanciato una campagna contro la lingua urdu, che è la lingua ufficiale del vicino Pakistan, lingua usata in alcune pubblicità da FabIndia.

Cos’è? E’ un marchio di vestiti, mobili, arredi per la casa e prodotti alimentari con centinaia di showroom in tutto il paese e all’estero. La società prova a fare affari con tutti, perciò pubblicizza tutte le feste, anche le ricorrenze musulmane. Ed e a volte usa slogan con la lingua dei grulli che vuole portare a bottega, nulla di che.

Apriti cielo
Il primo ministro indiano Narenda Modi (Foto: Press Office Kremlin)

Ora, fin quando FabIndia ha utilizzato l’inglese, che a ben vedere è la lingua di quelli che l’India l’hanno oppressa e rapata a zero fino a Mounbatten nel 1947, nulla quaestio. Però appena l’azienda ha usato l’urdu apriti cielo.

Surya, che è uno dei gioielli della corona sovranista del Bharatiya Janata Party del primo ministro Narendra Modi, è insorto contro il “tentativo deliberato di abramizzazione le feste, la cultura ed il linguaggio indù“. E con quell’abramizzare ha messo tutti nel bigoncio, musulmani, ebrei e cristiani.

Perciò ha invitato iscritti e sodali a non comprare prodotti dell’incolpevole azienda che cercava solo di allargare il target commerciale. Ed ha ingiunto di proseguire il boicottaggio anche con le grandi svendite di marzo che precedono il cambio di stagione. Pochi mesi fa Narendra Modi era a Roma per il G20 dove “G” sta per grandi. Ecco, grazie a Surya l’unica cosa di grande che gli è rimasta è la figura di roba calda e marrò che ha fatto.

Ducetto al curry.