Internazionale: protagonisti della settimana XLIV nel mondo

I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

MATSHIDISIO MOETI

Matshidisio Moeti (Foto: Violaine Martin / WHO)

È nata in Botswana, uno dei Paesi meno densamente popolati e più desertici del pianeta, un Paese che vede le sue dune sabbiose e roventi ricoprirsi di fiori solo ogni due anni e per poche settimane. Forse sarà per questo che la dottoressa Matshidisio Moeti, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è abituata a lavorare in condizioni difficili. A lavorare e a fare risultato malgrado quelle condizioni, e a farlo anche quando si tratta di togliere sporco da “casa sua”.

Come? Mettendosi a capo per esempio di una commissione di inchiesta interna che ha portato l’Oms a vivere il suo più grosso scandalo di sempre. Un bubbone debitamente mandato sottocoperta dai media quiescenti, dalla lotta al Covid e dal ruolo centrale che l’Oms ha in quella guerra.

Già, perché quello che un gruppone di dipendenti dell’Oms ha fatto precede di molto il saltello del coronavirus dalle spalle dei pipistrelli al groppone dell’uomo, risale alla lotta contro Ebola.

E proprio nella lunga battaglia contro il tremendo virus emorragico oltre 45 operatori dell’Oms avrebbero approfittato di ruolo e circostanze per violentare almeno 150 donne africane di età compresa fra i 13 ed i 43 anni. Ogni singolo caso di quelli censiti finora è stato accertato, mappato per location e integrato da non meno di tre testimonianze, in 22 casi c’è stata ammissione di colpa e in almeno altri 10 gli autori degli stupri hanno filmato l’aberrazione di usare la salute per togliere la serenità.

Quando ha saputo del primo caso, a gennaio del 2020, Moeti, ha affermato di essere “umiliata, inorridita, con il cuore spezzato”, poi ha agito. Ha nominato una commissione di inchiesta, ha battuto i pugni sul tavolo fino a rompersi le nocche ed ha spillato fondi per rendere quella commissione operativa ed itinerante: benzina, pernottamenti in albergo, pc portatili per annotare, dispositivi anti covid, registratori, buoni pasto e integrazioni di stipendio.

Matshidisio Moeti

Insomma, tutto lo starter pack per non trasformare quella commissione in un conciliabolo beota che a tavolino avrebbe mollemente studiato il fenomeno e cassato quell’orrore nella melma della burocrazia goffa.

Secondo quel report gli abusi hanno portato a 29 gravidanze, ed alcuni degli autori avrebbero anche minacciato le vittime affinché le abortissero. Il rapporto spiega che fra i responsabili dell’OMS c’è personale sia locale che internazionale.

Lo stesso documento ha fornito dettagli sulla ripartizione geografica e gerarchica di quegli abusi, perpetrati in zone dove i soccorritori Oms erano per lo più di sesso maschile. Ciliegina sulla torta: quattro degli stupratori avevano in seno all’Oms un ruolo specifico che sa di burla amara: dovevano prevenire gli stupri.

Matshidisio Moeti, la donna nata in un deserto che non impedisce ai fiori di sbocciare, li ha licenziati o sospesi tutti e per 20 di loro ha redatto una denuncia in ciascuno dei tribunali competenti per territorialità. E in mano ha un report al tritolo di 800 pagine che arriverà sul tavolo dell’Onu a dicembre.

Fiore nel deserto.

SONAM KUMARI

Il mondo che cambia grazie a quelli che il mondo chiama “nessuno” continua ad essere il mondo che ci piace, perché ci dice (o ci illude) che non esistano solo bottoni per decidere, ma anche azioni che a decidere spingono. Perciò Sonam Kumari sta qui oggi in questa casella e ci sta comodissima: lei ha lasciato casa sua nello stato indiano orientale del Bihar dopo che i suoi genitori , nel 2020, avevano iniziato a pianificare il suo matrimonio.

Definiamo “pianificare”: organizzare contro la volontà di una persona una cosa che quella persona la lega a vita ad un’altra persona e pretendere che quella persona, persona donna, ci stia e mandi in vacca ogni suoi progetto per onorare ciò che altri ha organizzato per lei. Sonam ha 19 anni e ce l’ha messa tutta per convincere i suoi genitori a permetterle di continuare i suoi studi e a ritardare il matrimonio ma niente, è stato come lanciare una teiera contro il basamento di una diga.

Perciò il mese scorso Sonam ha deciso di scrivere una lettera al premier indiano Narendra Modi, esortandolo ad aumentare l’età del matrimonio per le ragazze a 21 anni, come già stabilito per legge per gli uomini. Spieghiamola: in India c’è una legge che stabilisce l’età da matrimonio: dai 18 anni per le donne e dai 21 anni per gli uomini. Dove sta scritto? Nello Special Marriage Act del 1954 e nel pomposo ed ipocrita Prohibition of Child Marriage Act del 2006, che ha abolito le spose bambine ma ha tenuto in piedi i matrimoni combinati per le donne già a partire dai 18, con tanti saluti ai loro sogni di studio ed affermazione professionale.

Il primo ministro indiano Narenda Modi (Foto: Press Office Kremlin)

In India combinare un matrimonio equivale a giocarsi la reputazione, tanto che tre mesi fa una madre aveva fatto sposare la secondogenita con il promesso sposto della prima figlia che il giorno delle nozze era morta di infarto. Fermo immagine horror: la salma era in camera da letto ancora calda e in soggiorno si cantava come ossessi, uno sconcio inqualificabile.

Modi, che pochi giorni fa aveva lanciato la monetina nella fontana di Trevi e che a Glasgow cerca di salvare le emissioni indiane dalla mannaia buona del green, non aveva riposto a Sonam. Tuttavia l’esempio della giovane studentessa aveva figliato e fatto razza: la notizia della decisione della ragazza di scappare di casa e andare a studiare a Gurugram, nello stato settentrionale di Haryana, a 1.100 km dai suoi, aveva fatto scalpore ed ha innescato un movimento silenzioso nella regione di Haryana. Centinaia di ragazze di quell’area che ha uno dei peggiori rapporti tra sessi tra gli stati indiani hanno scritto lettere simili al premier chiedendogli di “rivedere l’età minima per il matrimonio”.

E Modi, che le istanze dei singoli non le vede ma i movimenti di massa li fiuta come il bestiame fiuta il maltempo, ha risposto ed ha fatto una promessa: “Creare un comitato ministeriale per garantire che le ragazze siano sposate all’età giusta”. Non è ancora libertà perché “l’età giusta” non la decidono né Modi né i trogloditi genitori indù, ma è un inizio, un inizio iniziato con una ragazza, una lettera e tanta voglia di mettersi in arcione al suo futuro.

Caro premier ti scrivo.

DOWN

ROSARIO MURILLO

La vice presidente Rosario Murillo

Tanto per principiare senza equivoci Rosario Murillo è vicepresidente del Nicaragua ed è anche first lady perché nel 2005 del Nicaragua ha sposato il presidente Ortega, infatti Rosario Murillo è donna in un Paese che non attribuisce sesso all’oggetto iconico della fede cattolica. E lady Murillo è donna dalle uscite controverse: poetessa blanda, sandinista e nemica giurata del dittatore Somoza, si prese la sua rivincita dopo il suo rovesciamento nel 1979 mettendo a frutto tutte le sue skill guerrigliere, per una volta utili anche a “el suo particulare”, come scriveva Guicciardini.

Da allora la madama ha alternato sortite di raziocinio a sgroppate mattoidi, e l’ultima va decisamente nel novero delle seconde. C’è la Murillo infatti dietro la linea dura che il governo del Nicaragua sta adottando contro i medici che combattono il covid in un Paese che ha un servizio sanitario fra i più scalcagnati del pianeta.

Mentre gli altri Paesi chiedevano ai medici anziani di ritardare la pensione ed arruolavano gli studenti in medicina dell’ultimo anno per fare argine alla pandemia, il Nicaragua ha fatto altro. Li ha molestati, interrogati nelle caserme con fermi-burla da 10 ore.
Poi li accusati, per usare le parole della first lady, di “terrorismo sanitario” e di diffondere “false prospettive e notizie”. Il tutto poggiato sul loop suicida per cui la pericolosità del Covid-19 è stata “esagerata più di quanto non fosse necessario”.

La vice presidente Rosario Murillo

Il motivo è presto spiegato: “El Jefe” Ortega sta per chiedere il quarto mandato consecutivo agli elettori e nel Nicaragua i negazionisti sono più del 35% della popolazione attiva elettoralmente. Ovvio quindi che blandire la loro mistica sciagurata e mettere in croce i camici bianchi disfattisti pare mossa buona per farsi rileggere in pompa magna, socialistese e chavista.

E Lady Rosario, da buona vice di governo e superiore di talamo, ha pensato bene di dare una mano al moroso nello scalare il potere e calpestare caducei come se non ci fosse un domani. E che per lei la presidenza valga bene una strage pare fatto abbastanza chiaro, chiaro e scuro al contempo.

Pantaloni si, stetoscopio no.

MONICA GRAYLEY

Monica Grayley

Di Onu ce ne occupiamo tutti troppo poco, anche a contare che sulla carta l’Onu significa il mondo come lo conosciamo. Il motivo non è poi così oscuro: l’Onu è nobile ma ha rappresentanza formale, l’Onu è figa ma non è briscola vera in geopolitica, l’Onu cambia poco le cose ed emette solo “ferme condanne”.

Però anche a far la tara ai cascami formali e letargie operative l’Onu è probabilmente la sola speranza che il pianeta ha di approcciarsi in maniera collegiale ad un problema, e quella speranza è affidata a uomini e donne che hanno compiti delicatissimi. Ecco perché quando poi quegli uomini e quelle donne prendono cappellate maiuscole è doveroso incazzarsi.

Cappellate come quella che ha coinvolto Monica Grayley, che è la portavoce del presidente Onu. Tutto nasce da una domanda che magari in questi mesi non siamo stati in molti a porci: se all’Onu ci vanno i rappresentanti di tutti gli stati sovrani e dei governi legittimamente riconosciuti, chi è oggi il rappresentante dell’Afghanistan alle Nazioni Unite? La partita è ovviamente a due: c’è Ghulam Isaczai, che rappresenta il governo del presidente fuggito Ghani ma che già per due volte si è ritirato da un intervento già messo in agenda, poi c’è Suhail Shaheen, nominato dal ministro degli esteri del governo talebano Amir Khan Muttaqi che scalpita come un puledro foraggiato a kat.

Monica Grayley

Chi ha diritto di sedere sullo scranno del Palazzo di Vetro? La questione è meno scontata di quanto non sembri, perché sarà anche vero che il primo è rappresentate di un governo “regolare” ma è anche vero che quel governo e quel presidente per scelta “savoiarda” non sono più in arcione al paese.

Di contro, sarà anche vero che il secondo rappresenta un governo in odor di macello e terrorismo, ma quel governo è il frutto di accordi pregressi presi a Doha con membri importanti dell’Onu tipo gli Usa, che non sono esattamente il Burkina Faso.

Ecco, negli ultimi 15 giorni i cronisti di mezzo pianeta hanno posto la domanda delle cento pistole a Monica Grayley per sciogliere il dilemma. Ed Al Jazeera e l’agenzia Afp ci danno menzione di una delle sue ultime risposte. Preambolino: AJ è media panarabo ed ha le sue posizioni editoriali da difendere e usare come binario, ma la polpa cambia poco. Alla domanda se l’Onu avesse risolto o meno il dilemma del rappresentante legittimo del governo dell’Afghanistan miss Grayley ha risposto: “Non lo so, serve ancora tempo”.

Buio. Sipario. Brandy. Televisione. Talent Show. Oblio.

Honesta.