Internazionale: protagonisti della settimana XXXIX nel mondo

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

ANNE BARRET DOYLE

Anne Barrett Doyle è la co-fondatrice del database di ricerca online BishopAccountability.org e già questo basterebbe a capire di che pasta è fatta la signora. Di cosa parliamo? Di un sito specializzato in ricerca, indagini, informazioni giuridiche e protocolli per stanare i reati sessuali nel posto dove gli stessi sono (ancora) più orrendi: la Chiesa e il sottobosco aberrante dei prelati che li praticano. 

Anne Barrett Doyle (Foto: BishopAccountability)

Lo spunto per mettere in benevolo indice l’azione degli esseri umani come la Doyle, lo ha dato il caso McCarrick. Su cui Anne Barret ha detto ad Associated Press: “Si tratta di un caso che apre una nuova fase alla lotta contro gli abusi sessuali del clero, lotta che, non dobbiamo dimenticarlo mai, è lotta mondiale“. Di quale caso parliamo? Di quello dell’ormai ex cardinale cattolico Theodore McCarrick, vale a dire di colui che un tempo era considerato il più potente fra i prelati Usa. 

McCarrick, che oggi ha 91 anni, era stato espulso dal sacerdozio per abusi sessuali su un 16enne durante un ricevimento di nozze in Massachusetts quasi 50 anni fa. Pochi giorni fa, chiamato a comparire nell’aula di un tribunale distrettuale di Dedham, nella periferia di Boston, si era presentato con la guisa del vecchio e il coraggio che hanno solo gli impuniti, gli innocenti o i vegliardi terminali. Appoggiandosi ad un deambulatore, l’ex cardinale aveva fatto le scale del Palazzo di Giustizia in mezzo a due ali di manifestanti che non glie le avevano mandate a dire. 

Attenzione, Mc Carrick è un “unicum“: si tratta del solo cardinale cattolico statunitense del passato e del presente ad essere mai stato formalmente accusato di reati sessuali su minori. C’erano tutti gli ingredienti a ché la gogna mediatica si sostituisse al Diritto e il furor del popolo avvelenasse l’accertamento della verità storica e giudiziaria, che già per loro natura quasi sempre divergono.

E invece Anne Barrett Doyle, che è nel novero dei segugi che hanno stanato le presunte brutture attribuite all’ex porporato, ha detto una cosa che rimette l’esercizio della Signora con la Bilancia in asse con le cautele delle sue epifanie. Lo ha fatto dicendo questo: “E’ un imputato che merita una verifica della sua colpevolezza e una pena esemplare nel caso la stessa emergesse, ed io credo proprio che emergerà. Però non sarà mai il fantoccio addosso al quale lanciare palle di stracci prima ancora che il Luna Park apra“.

L’etica del segugio.

JOHN HINCKLEY

Jodie Foster (Foto di John Mathew Smith / celebrity-photos.com from Laurel Maryland)

Nel 1981 John Hinckley aveva un solo chiodo in mente e quel chiodo si chiamava Jodie Foster. La giovane ma già bravissima attrice aveva già messo in mostra tutto il suo charme prog e tutta la sua bravura davanti alla camera da presa. E John, cantautore scarsino cresciuto fra Texas ed Oklahoma, figlio di benestanti del petrolio e soprattutto erotomane matto come un cavallo, decise che lui doveva fare qualcosa per attirare l’attenzione della sua attrice del cuore. 

E cosa c’è di meglio per farsi arrivare addosso una valanga di notorietà per amore di un’attrice che farsi rovinare addosso decine di agenti del Secret Service Usa dopo che hai provato ad ammazzare un altro attore che casualmente fa anche il presidente degli Stati Uniti d’America, tal Ronald Reagan? 

Perciò il 30 marzo di quel nevrotico 1981 John Hinckley prese la sua calibro 22 e sparò sette colpi addosso al Presidente vicino all’Hotel Hilton di Washington ed entrò nella storia senza entrare nel cuore di Jodie Foster. In compenso, dopo aver menomato a vita anche un agente, entrò in galera accompagnato da una manica di botte. Tutto questo con l’America che allocchita veniva a sapere che Reagan era grave per un proietto che gli aveva spizzato il braccio teso a salutare, bucato il polmone e si era fermato a 25 millimetri dal suo grosso cuore da cow boy.

Hinckley venne processato per un reato che negli Usa comporta la pena di morte quasi dovunque e garantisce l’ergastolo, ma venne dichiarato incapace di intendere e di volere, quindi rinchiuso nel manicomio di Saint Elizabeth. Lì ci era rimasto per 34 anni, fino al 2016, quando era uscito ma con severissime restrizioni alla sua libertà personale. E proprio in questi giorni quelle restrizioni figlie di quando John, dopo aver visto Taxi Driver con De Niro ed essersi innamorato della giovane coprotagonista, aveva fatto il pistolero contro Mr President, sono cadute.

Lo ha stabilito il giudice distrettuale Paul Friedman, che ha affermato come se Hinckley “non avesse tentato di uccidere il presidente, avrebbe avuto il rilascio incondizionato già da molto tempo“. A 66 anni John è libero, il presidente che voleva uccidere è morto a 93 anni e l’attrice di cui era innamorato ha fatto outing. Insomma, il mondo gli suggerisce di stare calmino, e c’è da giurare che stavolta lui ascolterà il mondo e non le “voci” che lo hanno catapultato sul lato della Storia che alla fine non piace neanche a chi nella Storia ci voleva entrare.

The Fan is back.

DOWN

LA CORTE SUPREMA USA

Alberto Sordi ne Il Marchese del Grillo

Come disse il Marchese del Grillo al povero capo ronda che aveva osato arrestarlo per una rissa da bettola: “Mossocazzitui“. Ecco, la Corte Suprema degli Stati Uniti in buona sostanza ha detto questo ai ricorrenti che in Texas l’avevano adita sul cosiddetto Heartbeat Act: “Sono fattacci vostri, noi non c’entriamo con le legislazioni degli stati“. Ma di cosa parliamo?

La legge sul “battito del cuore“, entrata in vigore da poco, è quella norma per cui nel Texas è vietato abortire dopo la sesta settimana di gravidanza, da quando cioè è già rilevabile il battito cardiaco del feto. 

La questione sta a metà fra etica e impatto sociale, con migliaia di donne che non possono abortire neanche se a metterle incinte di forza sono stati patrigni mannari, stupratori da strada o bellocci mordi e fuggi che si sentono patentati a stuprarle con un invito a cena accettato. 

Dall’altro lato c’è uno stato repubblicano e arcigno, governato dal tamarrissimo Greg Abbot, che non accetta di derogare dai suoi principi quaccheri e salmodianti. Al di là del merito però conta, o contava, quello che in mezzo a queste due istanze sta: cioè la Corte Suprema degli Stati Uniti che in materia di grandi questioni afferenti le libertà costituzionali ha voce in capitolo. O dovrebbe averla. Con una votazione di 5 a 4 i giudici hanno passato la mano ed hanno respinto l’appello che le associazioni abortiste avevano presentato contro la legge. Ma perché?

Leggiamo quello che i giudici hanno scritto nel motivare la loro abdicazione:

“La Corte Suprema ha affermato che il suo pronunciamento non può generare conclusioni perché non può sindacare sulla costituzionalità della legge del Texas. Nel giungere a questa conclusione, sottolineiamo che non intendiamo risolvere definitivamente alcuna pretesa giurisdizionale o sostanziale nella causa dei ricorrenti”. 

Andiamo avanti, c’è la parte bella:

“In particolare, questa impugnazione non si basa su alcuna conclusione sulla costituzionalità della legge del Texas e non limita in alcun modo altre contestazioni proceduralmente corrette alla legge del Texas, anche nei tribunali statali del Texas”. 

Insomma, giuridichese stretto a parte, i giudici chiamati a dirimere faccende costituzionali hanno detto che le faccende costituzionali di un paese che fa riferimento alla costituzione e per cui i giudici devono operare secondo costituzione non sono materia costituzionale

Per fortuna abbiamo dei dissidenti, cioè le quattro toghe che hanno votato per accogliere la trattazione dell’appello, citiamoli ché sono questi i tipi che fanno la storia invece di annegarla nel codinismo: sono il giudice capo John Roberts, il giudice Stephen Breyer, il giudice Elena Kagan e la giudice Sonia Sotomayor, che non a caso è una vecchia conoscenza di questa rubrica lato UP dal giugno 2020 (leggi qui: Internazionale: Top e flop dal mondo. I protagonisti della settimana).

Proprio lei, fedele al suo piglio molosso, ha definito la decisione della maggioranza “sbalorditiva. Si è deciso di imporre una legge palesemente incostituzionale progettata per vietare alle donne di esercitare i loro diritti costituzionali ed eludere il controllo giudiziario e la maggioranza dei giudici ha scelto di seppellire la testa sotto la sabbia“.

Vostro disonore.

LA CDU

Angela Merkel (Foto ZumaPress Inc)

Concezione cristiana dell’essere umano e della sua responsabilità davanti a Dio“, questo recita il loro mantra pop. Bene, con Dio problemi non ce ne sono mai stati, ma con l’uomo e con il suo consenso qualche problemino è sorto, almeno a contare il risultato del voto in Germania. La Cdu, il Partito conservatore, cristiano e schiacciasassi, esce dalle elezioni tedesche con la peggior spazzolata di sempre, incassa un naniforme 24% più frattaglie e lascia il podio ai socialdemocratici che risorgono come una fenice tardona.

Con quella e soprattutto con una certezza simbologica: l’abbandono della sua leader non solo non gli ha fatto bene, il che è fisiologico quando ad appendere lo Sturm und Drang al chiodo è una che si chiama Angela Merkel, ma ha segnato lo spartiacque fra tenuta e tracollo. Inciso blando: il sistema di governo della Germania è faccenda talmente nevrotica e composita che almeno fino a Natale un governo non ci sarà e, se ci sarà, sarà all’insegna della più perfetta delle Grosse Koalition

Questo perché la Cdu ha perso ma conta ancora e soprattutto perché nella terra dei crauti oggi il vero ago della bilancia sono i Verdi e i liberali della Fdp, terzo e quarto partito del Paese, che al 90% andranno a formare con la Sdp la cosiddetta maggioranza “Giamaica” di stampo ecologista-liberal-socialista.

Al netto della macedonia che attende i tedeschi per avere una linea politica resta il nodo del Cancellierato: il socialdemocratico Olaf Scholz sta già ululando che il popolo glie lo ha consegnato chiavi in mano mentre il democristiano Armin Laschet non ci tiene proprio a passare per il delfino gonzo e scialone della Merkel e dice “stai calmino“. Insomma, come accadde con la Merkel che grazie agli sforzi riformisti di Shroeder ha campato di rendita ma incrementato il sessappiglio di Partito e nazione, così Armin pensa di giocarsi la matta del prestigio di chi l’ha preceduto per incoronarsi leader comunque e a prescindere. Ma la Cdu è un’altra cosa. 

La Cdu ha perso proprio dove doveva far pesare tutta la massa critica di due lustri di mano sulla cloche del Paese europeo più potente e del terzo Paese più importante del pianeta. E invece è riuscita a farsi piallare le corna dalla sconosciuta Anna Kassautzki perfino nel collegio di Rugen-Greifswald, cioè dove Angela Merkel è sempre stata eletta del 1999 in poi, un po’ come se Berlusconi perdesse le elezioni alla Pro Loco di Arcore. 

Dato che quelli della Cdu sono cristiani e credono nell’Aldilà farebbero bene a schermare la nuvoletta su cui fluttua accigliata la la buonanima di Adenauer, che da grande giocatore di bocce quale era ha visto la sua creatura trattata come il boccino spizzato via dal punto già incassato. E che da quella nuvola ha ruggito uno “Scheisse!” termonucleare.

Unter Alles.

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