Internazionale: protagonisti della settimana XXXVI nel mondo

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Internazionale. I protagonisti della settimana sulle pagine degli Esteri. Per capire meglio cosa accade nel mondo

UP

SATOSHI KIMOTO

In un mondo devastato dalle fiere enunciazioni di genere e dalla rimessa a fuoco del femminile nei sistemi complessi del pianeta la notizia ci sta, anche se riguarda Yakei. Ci sta perfino a contare che Yakei è una signora molto particolare, dato che è una scimmia. Per la precisione è una femmina di macaco di nove anni che ha deciso di comandare una truppa di 677 suoi consimili nella riserva naturale di Kyushu, in Giappone. A metterla giù più potabile Yakei è la prima femmina Alpha della sua specie finora osservata

Yakei, la prima femmina Alfa nei macachi

Preambolo necessario: quando si affrontano determinati argomenti e lo si fa con parabole “esopiane” o che scomodano il mondo dei nostri inquilini planetari il rischio che qualcuno ci veda appiglio di sarcasmo tamarro è alto. E si fa altissimo se poi il raffronto è con i nostri cugini primati, a cui la mistica umana ha sempre attribuito peculiarità da parenti menomati e un po’ giullari. Ecco: chi avesse questa chiave di lettura in capoccia smetta pure di leggere e passi direttamente alle pagine tematiche di QAnon su Obama che tramite il 5G iniettato coi vaccini ci fa ballare come orsi da circo. 

Perché il punto è un altro ed è punto cruciale, e per vederlo tondo dobbiamo dire qualcosa in più di Yakei. La scimmia in questione aveva iniziato ad avere atteggiamenti dominanti già allo zoo di Takasakiyama nella città di Oita. Cosa aveva fatto? Una cosa che nel galateo scimmiesco è come ruttare in chiesa: aveva picchiato tutti i maschi gregari del branco che volevano accoppiarsi forzosamente con lei; uno ad uno li aveva “mazzoliati” come burbe in ordine di grado. E a fine giugno era finita nel mirino di Sanchu, maschio super Alfa di 31 anni e leader assoluto del branco denominato B, un ceffo bracciuto con cui neanche i guardiani scherzavano troppo.

Quello che hanno raccontato i lavoratori della riserva sta a metà fra incredibile e mirabile: Yakei ha picchiato talmente duro il super capoccia che al  “test delle arachidi” del 30 giugno, quando gli inservienti hanno gettato del cibo per vedere gerarchicamente chi lo mangiasse per primo e chi avesse quindi i galloni di generale, l’ex bullo Sanchu si è fatto indietro e ha fatto mangiare Yakei per prima

Ha spiegato al Guardian Satoshi Kimoto, capo staff della riserva: “Da allora, Yakei si arrampica sugli alberi e li scuote, il che è un’espressione di potere e un comportamento molto raro nelle femmine, ma non abbastanza raro da farci riflettere su quanto noi umani in realtà si viva e si sbagli su semplici e ridicole convenzioni. Chiunque può essere un capo se ha le qualità per esserlo”.

Già, e noi la chiudiamo così: con quel “chiunque”, che è pronome indefinito senza genere alcuno.

A lezione dai macachi.

DAVID GILBERT

Che legame c’è fra un ergastolo che all’improvviso non devi scontare più e le palpatine alle stagiste? In questo caso il legame c’è e si chiama Cuomo, Andrew Cuomo. L’ormai ex governatore dello stato di New York passerà alla storia per poche, ma sostanziali faccende: il piglio caballero nella gestione della pandemia, lo scandalo sessuale che lo ha fatto dimettere e le persone che grazie a quelle dimissioni si sono avvantaggiate. Ecco, David Gilbert è una di quelle e quella che, assieme ad altre tre, dalle dimissioni di Cuomo ha tratto forse più giovamento dei repubblicani che sulle dimissioni di Cuomo ci hanno ballato la giga irlandese. 

Andrew Cuomo (Foto Chris Rank / rank Studios)

Gilbert è un notissimo attivista dei tormentati anni ‘70 Usa, ormai 76enne ed ex membro dell’organizzazione Weather Underground. Il tizio stava scontando l’ergastolo in un carcere federale. A guardare il sole dell’Illinois a scacchi Gilbert ci era finito dopo che una corte lo aveva condannato per omicidio e rapina, una rapina commessa nei primi anni ‘80 nel corso della quale erano morte tre persone in divisa, roba che negli Usa è sufficiente a far flippare il pallottoliere degli anni che ti appioppano. Erano morti  il sergente di polizia Edward O’Grady,  l’agente Waverly Brown e la guardia giurata Peter Paige

Insomma, la carriera fricchettona e pistolera di Gilbert si era interrotta con quella condanna che per di più gli faceva divieto di chiedere la libertà condizionata fino al 2056, roba che, a contare che lui ha 76 anni, era roba palesemente “usque ad aeternum”. Gilbert è abbastanza noto anche per un paradosso: negli anni ruggenti della sua lotta armata aveva fatto, ma non cresciuto, un figlio, Chesa. Costui aveva preso il cognome della madre, Boudin, e in barba ad un padre ergastolano si era messo a studiare legge fino a diventare Procuratore Distrettuale di San Francisco, non proprio un pretore lucano insomma. E il figlio, dopo anni di silenzio, aveva iniziato a perorare la causa del padre. 

Ma Cuomo in tutto questo cosa c’entra? C’entra perché, come da prassi in quello strano Paese che ammazza per convinzione e perdona per riffa, il governatore uscente ha voluto congedarsi accogliendo alcune domande di grazia per condannati a morte ed ergastolani, fra cui quella di Gilbert che è tornato libero sulla parola. Il movente è che in carcere si è dato da fare come insegnante, il motivo è che in ufficio qualcun altro si è dato da fare come piacione.

La libertà può essere figlia di tante cose: di una lotta, di un accordo o di un palpito di popolo, perfino della stessa libertà, quella eccessiva che Cuomo si è preso con le donne e che, per meraviglioso contrappasso, è la sola che Gilbert deve ringraziare.

Adelante borghesia.

DOWN

TYSON FOODS

In media, un dipendente di Tyson Foods , il più grande produttore di carne in America, viene ferito e si amputa un dito o un arto al mese”. Così recita un report  pubblicato dal New York Post in questi giorni, un’inchiesta al vetriolo che ha messo alla berlina i (tanti) vizi e le (poche) virtù dei quattro maggiori produttori di carne degli Stati Uniti. Ma il sugo di quell’indagine non sta nelle ambasce infortunistiche, pur importantissime, dei lavoratori di quel settore. No, il sugo della faccenda abita altrove

Una delle linee di produzione Tyson (Foto: Youtube / The Human League)

Nel fatto ad esempio che l’intero pianeta e il suo riscaldamento globale sono in gran parte dovuti all’allevamento intensivo che proprio le “Quattro Sorelle” e le loro gemelle sparse per il globo innescano. Come? Con la vecchia ma letale equazione bestiame-sterco. Spieghiamola meglio: studi ormai incisi nel bronzo hanno accertato come gli allevamenti intensivi siano responsabili dell’emissione in atmosfera di ben il 51% dei gas serra, soprattutto di anidride carbonica, metano e protossido d’azoto; la vacca mangia e “molla” nell’atmosfera cose che fanno cupola nell’atmosfera stessa. Quindi milioni di milioni di vacche che mollano per decine e decine di anni possono fare danni serissimi. Sono quattro i grandi confezionatori di carne Usa e controllano più dell’80% del mercato della carne bovina statunitense. 

L’inchiesta lo dice bene: si tratta di “una straordinaria concentrazione di potere di mercato di cui l’amministrazione Biden non è contenta”. Ebbene si, il “sonnolento” Joe, almeno a contare la politica estera e gli strali di Trump, in politica interna tanto sonnolento non lo è, visto che proprio in queste settimane ha firmato una legge per aumentare la concorrenza nel settore della carne bovina e spezzare il monopolio. La Casa Bianca che osserva che negli ultimi cinque anni, “la quota degli agricoltori sul prezzo di vendita delle carni bovine è diminuita di oltre un quarto – da 51,5 % al 37,3% – mentre il prezzo della carne bovina è aumentato”. 

Ma come hanno fatto le Quattro Sorelle a diventare tiranne? Pagando i lobbysti, ovvio, secondo un meccanismo legale che solo qualche giorno fa ha portato una di loro, la Tyson Foods, un colosso dal 40 miliardi di dollari l’anno e la “sorella” Pilgrim’s, a trovare un accordo gigante dopo un contenzioso legale durato quattro anni ed un’accusa di aver fatto cartello ed “alleanza complottista” per manipolare il mercato, il tutto dopo un patteggiamento dal 110 milioni di dollari con il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti.

E se dietro una bistecca o una coscia di pollo c’è tutto questo  allora amare gli spaghetti non è più solo nazionalismo, è anima green.

Al sangue, grazie.

IL TMT

Non è il Tnt, l’esplosivo, quello il Flop lo merita sempre, comunque e come diceva Totò “A prescindere”. No, qui parliamo del Tmt, del Thirty Meter Telescope sui cui pare gravare una maledizione così grande che Montezuma scansati. Il Tmt inizialmente doveva accasarsi alle Hawaii, in suggestivo cocuzzolo del monte Mauna Kea, ma lì erano sorti i primi problemi, quali? I nativi che, incazzati come bisce, avevano detto che il “coso” violava la terra sacra dei loro antenati. 

L’osservatorio della Tmt

Dopo il primo sfratto perciò si era pensato ad una sistemazione alternativa che tenesse conto della mission del Tmt. Ma qual è la mission e, soprattutto, come è fatto il “coso”? Lo dice il nome stesso, è il “Telescopio dei 30 metri”, perché tale è il diametro del suo immenso specchio. Lo sta costruendo la TMT Observatory Corporation, partnership fra il California Institute of Technology e l’Università della California assieme alla Canadian Association of Universities for Research in Astronomy. Insomma, è roba ganza voluta da quelli che a suo tempo vennero ribattezzati sarcasticamente “il duo TT”, Donald Trump e Justin Trudeau. 

Dopo la disavventura hawaiana era stata individuata una location in Cile ma – indovina un po’? – era arrivata la pandemia e il Cile era diventato uno dei cluster planetari del covid. Si era deciso di rimandare in attesa che il Cile avviasse la sua campagna vaccinale speed, ma la scelta del vaccino cinese Sinovac, roba forte come una Zigulì, aveva bloccato la ripresa. Alla fine, stremati e un filino demotivati, i costruttori avevano optato per la Spagna, anzi, per il cocuzzolo di La Palma, una delle isole Canarie. 

Erano partiti i piani di backup e l’aria era quella del cimento finalmente portato a termine. Manco per il ciufolo: un tribunale amministrativo di Santa Cruz de Tenerife, capitale dell’arcipelago spagnolo, ha stabilito che la concessione del 2017 da parte delle autorità locali di suolo pubblico non è più valida. La sentenza è stata datata 29 luglio, ma è diventata pubblica solo in questi giorni. 

A conti fatti l’ultima spiaggia è quella di piazzare il telescopio direttamente su uno degli astri che deve sbirciare: lì non ci sono nativi che ti accusano di blasfemia o giudici amministrativi, e magari costerà di meno portarlo sulla Luna che alloggiarlo in Terra.

Lente sfocata.