Stirpe: “I sindacati non rispettano i patti”

L'intervista a Maurizio Stirpe su Repubblica. Affondo al Sindacato: “O si è pentito o non ha capito cosa ha firmato”. Il Patto della Fabbrica e la rotta di collisione. Gli attacchi a Conte: "non per la gestione del Covid ma perchè continua a ragionare in termini di emergenza"

Asciutto e concreto. Come sempre. Il vice presidente nazionale di Confindustria Maurizio Stirpe non ha usato né paraventi né giri di parole per dire a Repubblica ciò che pensa. Sul sindacato, sui contratti nazionali che non decollano, sul Governo Conte. A rendere ancora più affilate e pesanti le parole di Stirpe è il fatto che le abbia pronunciate in virtù della sua delega: è lui l’uomo degli Industriali italiani con il compito di occuparsi del Lavoro e delle Relazioni Industriali. Cioè confrontarsi con i sindacati.

Si parte con l’incontro che il prossimo 7 settembre metterà di fronte imprese e sindacati per confrontarsi sul rinnovo dei contratti nazionali. Nei giorni scorsi il leader della Cgil Maurizio Landini ha accusato Confindustria di cercare lo scontro. Maurizio Stirpe è convinto che non sia pretattica. Non pronuncia la parola malafede. Ma le opzioni rimaste sul tavolo sono poche: «O c’è un problema di comprensione delle regole, oppure qualcuno ha firmato accordi con quelle regole e ora si è pentito. E quando parlo di regole mi riferisco al Patto della Fabbrica, cioè l’accordo interconfederale sulla contrattazione siglato nel 2018».

Il Patto della Fabbrica

Maurizio Stirpe e Maurizio Landini

Al Patto della Fabbrica si appellano sia gli industriali che Landini. È il documento sottoscritto il 9 marzo di due anni fa. Fissa dei paletti e disegna un percorso all’interno del quale sviluppare il confronto tra Impresa e Sindacato, definisce un un sistema di relazioni industriali più efficace. Punta a costruire più competitività (a vantaggio delle imprese) e prevede però una crescita dei salari messa direttamente in relazione all’aumento di competitività (a vantaggio dei lavoratori).

Ma c’è un punto sul quale ora le due parti si stanno trovando in rotta di collisione. perché il Patto della Fabbrica fissa anche delle linee guida sui temi del welfare, della formazione e delle competenze, della sicurezza sul lavoro, del mercato del lavoro e della partecipazione.

Cosa è cambiato, al punto da portare quelle due rotte a collidere? «Da parte nostra nulla – spiega Maurizio Stirpe a Repubblica -. Noi continuiamo a voler distinguere tra il trattamento economico minimo, il cosiddetto Tem, legato all’andamento dell’inflazione, e il trattamento economico complessivo, il Tec, all’interno del quale c’è anche una contrattazione ispirata alla crescita della produttività e riferita ai settori o alle singole aziende. Peraltro, la nostra posizione sul Tem vuole essere anche un segnale al governo teso a dimostrargli che non serve l’introduzione di un salario minimo legale».

Ma gli industriali i soldi vogliono metterli o no, per aumentare gli stipendi? «Le imprese metteranno soldi a ragion veduta. Nel Tem in relazione all’andamento dell’inflazione, nel Tec in funzione della crescita della produttività dei singoli settori». Insomma il concetto è che non si possono dare gli stessi soldi a tutti: chi produce più ricchezza è giusto che abbia una busta paga più ricca.

Il nodo del welfare

Foto: Imagoeconomica

Il secondo affondo di Stirpe a Maurizio Landini arriva quando gli contestano l’accusa fatta dal sindacato. E cioè di voler scardinare quel Patto. Il vice presidente di Confindustria ribadisce: o si sono pentiti o non hanno capito ciò che hanno firmato. Lo fa dicendo: «Per noi nulla cambia nel contratto collettivo nazionale. Semplicemente chiediamo che venga rispettato lo spirito del Patto della Fabbrica. E a questo proposito aggiungo che, se qualcuno non avesse ancora capito bene le regole concordate, siamo disponibili a discuterne e a chiarirci ancora».

Il nodo è il welfare. Se ne parla da tempo. Confindustria vorrebbe inserire in busta paga non solo i soldi ma anche una serie di servizi per il lavoratore e la sua famiglia. Servizi legati al benessere: visite mediche, palestra, analisi periodiche. Per i sindacati è una furbata. Accusano gli Industriali di voler sostituire i soldi con il welfare aziendale. Si potrebbe ribattere che sempre soldi sono: i rappresentanti dei lavoratori a loro volta fanno notare che alle aziende conviene perché il welfare è detassato quindi meno oneroso.

Sul punto però Maurizio Stirpe è abile a non farsi coinvolgere. Lo fa ricordando che il Welfare aziendale lo decidono le singole aziende con i sindacati su base locale. Mentre in questo caso c’è in gioco il rispetto al contratto collettivo nazionale.

Conte sempre in emergenza

GIUSEPPE CONTE

L’altro tema è il rapporto conflittuale con il Governo Conte. Con l’arrivo del nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, a viale dell’Astronomia il dialogo e la diplomazia sono stati messi da parte. Gli industriali hanno iniziato a rivendicare concretezza per le loro attività ed i loro conti. (Leggi qui I protagonisti del giorno. Top e Flop del 25 agosto 2020).

Nell’intervista a Repubblica viene rimproverata un’ingratitudine di fondo agli industriali: perché il Governo ha aperto i cordoni della borsa e fatto arrivare Cassa Integrazione, sospensione dei pagamenti… Cosa altro pretendere?

Maurizio Stirpe è chiarissimo: «Al governo non rimproveriamo la gestione del Covid, ma che continui a ragionare in termini di emergenza. Ci aspettiamo maggiore coraggio, le riforme strutturali per il Recovery Plan, una vera politica industriale basta sul mercato e non su suggestioni stataliste. Soprattutto vorremmo maggiore fiducia nelle imprese».

Il tema della fiducia è tra quelli che stanno più a cuore al presidente del gruppo industriale Prima, quello che produce buona parte delle componenti in plastica per l’Automotive e gli elettrodomestici in Europa grazie a 20 stabilimenti (11 in Italia e 9 all’estero) e quattromila dipendenti.

Stirpe lo sottolinea ad ogni occasione. E lo ribadisce anche ora. «In questo Paese non c’è un clima quantomeno neutrale nei confronti delle imprese. Basterebbe quello, ma non c’è. Condizioni di credito selettive, sistema giudiziario penale e civile che non funzionano, burocrazia opprimente…».