Io sono il Frosinone e la Serie A me la prendo con orgoglio e sudore (di E. Ferazzoli)

Foto: copyright Foto Casinelli per Frosinone Calcio

La Serie A non si vince grazie ad un pallone calciato in tribuna come ha fatto Gilardino. Non si vince perché Floriano ha fatto lo stesso. Si vince sfidando un avversario che non nutre pietà nei miei confronti. E battendolo.

Elisa Ferazzoli

Giornalista in fase di definizione

Senza parole.

17 mila persone e non un singolo fiato. Uno shock collettivo. Gli sguardi fissi, i bambini che piangono, i giocatori che piangono come bambini, c’è chi si siede, chi si regge la fronte, chi si guarda attorno incredulo. 42 giornate, 72 punti, un goal di scarto, i play-off da disputare da migliore classificata e quell’immagine in movimento di una squadra paralizzata che assiste impotente al colpo di grazia. Una persecuzione che si ripresenta da quattro giorni, un pensiero martellante che nemmeno il passare delle ore riesce a scalfire. Tanto più che non fai altro che ritrovarti di fronte le decorazioni di una festa che si è poi rivelata un corteo funebre. Le ennesime notti insonni. Incredulità, delusione, il desiderio di smaterializzarsi, di disporre di una macchina del tempo per falciare personalmente Floriano. Ora rabbia per la prestazione e ancor più per le lacrime dei giocatori, ora vergogna e indignazione per la figura umiliante di fronte all’Italia calcistica

 

Qualcosa è andato storto. È successo di nuovo e per il secondo anno consecutivo.

Il dramma chiamato Foggia si è palesato a 1’ e 22’’ dalla fine. O forse no. Perché a voler essere onesti non è sotto i colpi della squadra guidata da Stroppa che il Frosinone ha smesso di respirare ma contro un avversario ben più difficile da addomesticare: se stesso e la paura che questa squadra si porta appresso da due anni, quel panico che le fa tremare le gambe un attimo prima del traguardo.

Non c’è altra spiegazione.

Una sindrome del successo che in maniera del tutto involontaria e inconsapevole la spinge a commettere errori grossolani, come prendere un goal in contropiede sul 2-1 a pochi secondi dalla fine da una squadra che non ha alcuna intenzione di rovinarti la festa; a muoversi in campo per 90’ come un adolescente impacciato con buona pace di lucidità, equilibrio ed intelligenza.

 

 

Ma non è così che voglio andare in serie A. Io sono il Frosinone. Non sono il Parma. Non voglio che Floriano la butti fuori di proposito. Come Gilardino dal dischetto. Voglio combattere a viso aperto. Sfidare un avversario che non nutre pietà nei miei confronti, avere la meglio sulle grandi “piazze sportive”, sul prestigio consolidato, sugli interessi economici. Vincere per merito e non per gentile concessione. Uscire dal campo a testa alta e non trascinarmi negli spogliatoi singhiozzando per la vergogna.

 

 

Voglio sudarmela la promozione. Perché sono il Frosinone e so che non è facile farsi largo fra squadre blasonate, so che dovrò mandare giù “episodi dubbi” durante tutto il campionato, che non riceverò favori di alcun tipo, non un metro di giudizio equo in mezzo al campo e nemmeno la soddisfazione di vedere discussi nei salotti televisivi i tanti torti subìti. Più di ogni altra cosa, so che pagherò caro ogni singolo errore o cedimento.

 

Sono una squadra qualunque, di una provincia qualunque, piccola e malmessa. E dovrei aver imparato da tempo che in questo scampolo di mondo intossicato dalle polveri sottili le “vittorie” facili non esistono e che il più delle volte nascondono invece infime sconfitte. Per questo avrei dovuto saper aspettare 90’ prima di andarmene in giro festante ad acquistare maglie che davano per scontato una promozione solo ipotetica e attendere la pausa estiva prima di scrivere quella lettera gigante su una curva piena di speranze e timori.

 

Sono il Frosinone ed i play-off non devono essere una condanna ma un’opportunità. L’ultima occasione per tirare fuori l’orgoglio, per dimostrare di essere più forti della paura, per restituire la voce ad un popolo di tifosi che merita di tornare a cantare e di sentirsi fiero dei suoi uomini in campo.

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