La Chiesa non è il bancomat dei sacramenti

La Chiesa non è il bancomat del sacro: i sacramenti non si prendono al distributore. Altrimenti diventa un supermercato. E si precipita in quel 'clericalismo' che il Concilio ha cercato di spazzare via

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

C’è bisogno di Parola, 224

Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!  (Nm 11,29)

Anche al tempo di Mosè c’era chi pretendeva di controllare la religiosità delle persone: alcuni, nell’accampamento durante l’Esodo dall’Egitto, hanno cominciato a profetizzare senza che Mosè li abbia autorizzati. Ed ecco che subito glielo vanno a riferire, per rimanere sorpresi dalla risposta. È quello che, nel linguaggio della modernità, si chiama il clericalismo, parola strausata, per indicare la propensione a trasformare il servizio religioso in potere, per cui chi  svolge un ruolo all’interno della chiesa non lo fa per servire la comunità, ma per comandarla.

Il clericalismo è uno dei mali costanti della storia della chiesa fino a produrre la mentalità che soltanto “preti e monache” debbano occuparsi degli aspetti religiosi dell’esistenza, mentre i laici, i membri del “popolo di Dio”, debbono obbedire alle disposizioni dei chierici. Il che comportava anche la tentazione di diventare preti per essere potenti, con tutte le conseguenze del caso, che tanta influenza hanno avuto nella storia d’Europa.

I sacramenti non si prendono al bancomat

Foto Thirdman / Pexels

Al clericalismo aveva tentato di porre riparo il Concilio Ecumenico Vaticano II, sancendo la pari dignità di tutti i cristiani, in virtù del loro battesimo. Ma quella mentalità clericale è durissima da estirpare perché genera  una doppia comodità: da una parte, il chierico prova il gusto del potere, dell’essere importante, del disporre di altri ma non per servirli, per migliorarli, quanto invece per trarne lui dei vantaggi o per lo meno per assumere un ruolo nella società, che in nessun’altra maniera avrebbe potuto raggiungere. E, in un periodo di scarsità di vocazioni sacerdotali, il pericolo è fortemente in agguato.

Dall’altra parte, il clericalismo genera una sostanziale deresponsabilizzazione del fedele laico, che si avvicina alla vita della comunità ecclesiale come ad una sorta di distributore di servizi, di sacramenti, e soltanto se gli sono comodi e vantaggiosi. Così i sacramenti dell’iniziazione (il battesimo, la comunione, la cresima) diventano soltanto momenti di festa familiare più che di consapevolezza ecclesiale.

Il ruolo dei laici

L’azione del Concilio Vaticano II ha inciso profondamente nella vita ecclesiale: oggi sono tanti i laici in grado di assumersi responsabilità, con tante donne protagoniste. Ma la tentazione del clericalismo, di ritagliarsi un recinto di comodità (una confort zone, come direbbero gli anglosassoni) grazie alla vita in parrocchia per cui anche i laici scimmiottano i preti, conquistando un ruolo nelle celebrazioni, nelle processioni… dimenticando la loro  vocazione fondamentale che è quella, invece, di ordinare le cose del mondo (la politica… il lavoro … la famiglia…) secondo il disegno di Dio.

Sant’Agostino sintetizzava la questione dicendo: sono cristiano con voi, vescovo per voi. Sì, perché l’ordine sacro è finalizzato a promuovere la comunità, a costruire la chiesa, a formare i laici perché siano buoni genitori, lavoratori, si impegnino per il bene della comunità, non siano egoisti: quei laici dalla coscienza formata sentiranno poi che la chiesa è la loro comunità e non soltanto il bancomat del sacro…

Ma ci vuole tempo perché la mentalità clericale è dura a scomparire. 

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti).

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