La coscienza di Silvia: senza che le servisse un contratto

Senza Ricevuta di Ritorno. La ‘Raccomandata’ del direttore su un fatto del giorno. Un anziano paziente di Covid che piange al Dono Svizzero. E un'infermiera che fa di più che onorare un accordo di lavoro. Prendendogli la mano e dando il senso più bello al concetto di 'cura'.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Non bisogna impicciarsi: perché sono problemi. Bisogna fare esclusivamente ciò che è previsto e per cui si viene pagati. Perché, se poi ci sono problemi, ci dicono pure che non lo dovevamo fare. O, nella migliore delle ipotesi, lo facciamo gratis.

Quindi: patti chiari. Si fa solo quello che si deve.

Poi però, quello che si deve, non lo stabilisce solo un contratto. Ma anche una vocina che si sente da dentro. Si chiama coscienza.

Come ha fatto Silvia, infermiera dell’ospedale di Formia. Che ha sentito un anziano paziente Covid singhiozzare tra la solitudine di quell’abbandono, lontano dai nipoti, dalla moglie, dai figli… maledetto Covid.

E poi quel casco in testa, unica strada per evitare l’intubamento, 13 ore nudo a pancia in su a guardare il soffitto e 13 a pancia in giù mentre un tubo butta aria nei polmoni.

Silvia ha sentito l’anziano paziente piangere. E se n’è fregata dei contratti, dei limiti, delle mansioni: è andata da lui si è seduta sul letto, gli ha preso la mano come se fosse stato suo nonno e gli ha parlato in maniera dolce fino a calmarlo.

E guai a chiederle un’intervista. Per lei, per noi, per molti di noi, il senso del dovere è questo. E chissenefrega se non è previsto dai contratti.