La crisi de La Provincia Quotidiano e le colpe di un territorio

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Un giornale è lo specchio di un territorio. Non solo per quello che racconta.

Se un’area è ricca ci sono molti quotidiani, televisioni e radio: queste aziende vivono con gli incassi della pubblicità. E se l’economia è florida c’è un investimento pubblicitario più sostanzioso, che tiene in piedi tante aziende editoriali. Gli studiosi di Economia delle Comunicazioni sintetizzano con la frase: “Gli introiti di un’azienda editoriale sono direttamente proporzionali al prodotto Interno Lordo dell’area di loro diffusione”.

Quando una società annuncia il licenziamento in massa dei suoi giornalisti e poligrafici significa, anche, che quel territorio è impoverito e la sua economia non riesce più a tenere in piedi tutti i giornali e le tv che alimentava fino a qualche anno prima.

L’annuncio fatto nelle ore scorse dalla cooperativa Calliope non è un segnale d’allarme. E’ invece la conferma che ormai questo territorio non è più quello nel quale qualche anno fa c’era il più grosso polo manifatturiero, con la più consistente concentrazione di fabbriche nel Lazio. Calliope è (era?) la cooperativa che editava il quotidiano La Provincia, fondato e diretto fino al giorno della sua morte da quel maestro che fu Umberto Celani.

Per i non addetti ai lavori vanno specificati due elementi. La ‘testata’ è una cosa, la ‘società editrice’ è cosa diversa. In genere si pensa che comprando il giornale in edicola si stia prendendo il prodotto di una sola società. Non è così: la ‘testata’ è il nome del giornale con il suo logo. E nel caso de La Provincia appartiene ad una società. Che l’ha affittata alla cooperativa di giornalisti ‘Calliope’ la quale materialmente disegna ogni giorno il quotidiano, ci scrive le notizie, lo pubblica. La coop è nata dalle ceneri della Effe Cooperativa, altra società che venne messa in liquidazione.

Il fallimento della Effe Cooperativa (quella che aveva visto a lungo l’impegno del costruttore Arnaldo Zeppieri) era un segnale. Quello della Calliope no.

Quando la Effe decise di lasciare il mondo della Comunicazione si era nel cuore della tempesta perfetta. Il modello in base al quale La Provincia era nata e si era sviluppata stava inesorabilmente arrivando al capolinea, in provincia di Frosinone come in tutto il Paese nel mondo. Colossi come New York Times e Corriere della Sera (tanto per fare nomi conosciuti) hanno vissuto la stessa emorragia di copie che ha dissanguato le vendite e gli incassi dei quotidiani diffusi sul nostro territorio. Non eravamo in presenza d’un manipolo di giornalisti di razza diventati improvvisamente dei brocchi. Semplicemente: nulla è per sempre, le cose sono in continua evoluzione, i quotidiani hanno smesso di essere la fonte delle notizie che ora invece si trovano su internet. Chi si ha affrontato il processo di evoluzione è sopravvissuto.

Nel passaggio da Effe Cooperativa a Calliope era previsto questo processo di evoluzione: il trasferimento in una nuova sede, con un sistema editoriale (la base sulla quale, al computer, si realizza il giornale) completamente nuovo e ridisegnato, grafica più moderna, interazione con il web. Poi qualcosa si è inceppato. E – come recita il comunicato diffuso dal sindacato di categoria – gli stipendi sono arrivati con il singhiozzo, per acconti, senza né tredicesime né festivi (…) «e non possiamo non sottolineare la curiosa storia di questa testata. Negli ultimi anni è stata cancellata l’edizione di Latina, sono fallite e/o in procedura concorsuale due società di Frosinone. Non vorremmo che dopo aver scaricato debiti e lavoratori con questo “fallimento” si parta con un’ennesima operazione editoriale, con gli stessi protagonisti, appoggiandosi all’unica cosa che fa gola: il contributo pubblico».

Il tutto, come tradizione, finirà nelle aule di tribunale.

Non finirà nelle aule di giustizia il tema di fondo. E cioè che le vicende della Calliope non sono un segnale. Perché quello era partito anni prima con la crisi della Effe. Ma il territorio della provincia di Frosinone, la sua economia, la sua ricchezza, il suo Prodotto Interno Lordo, insomma quelle cose indispensabili per la sopravvivenza di un’azienda editoriale, non sono cresciuti di un euro. Il tessuto industriale e l’economia che produceva in Ciociaria negli anni in cui nacque l’editoria locale non c’è più. E dobbiamo iniziare ad accettare che non tornerà più: una volta che si sarà ritirata la risacca della crisi che ci ha sommersi scopriremo che – come dopo uno tsunami – il panorama è cambiato. Per sempre.

Non lo hanno capito in molti. E aspettano ancora la fine della crisi. Invece la crisi è finita, la realtà è quella che ci troviamo davanti agli occhi oggi, non torneremo agli anni pre crisi ancora per moltissimo tempo e forse mai. Certamente non ci torneremo se non disegneremo un nuovo modello di sviluppo del territorio, basato non più sull’industria e sul manifatturiero che ormai sono emigrati in Asia. Il dato più drammatico è che la classe politica votata per guidare questo territorio non ha la più pallida idea di quale possa essere il futuro modello di sviluppo per la provincia di Frosinone.

Ecco cosa ci dice la crisi della Calliope, culminata con il licenziamento, annunciato ieri, di 18 dipendenti tra cui 12 giornalisti.

Per questo, auguri Colleghi. Ne abbiamo bisogno tutti.