La guerra dei decespugliatori seriali (Il caffé di Monia)

Puntuali, come le zanzare in estate. Aspettano che tu ti addormenti, esausta, sconfitta dal caldo. In quel preciso momento arrivano loro: gli "uomini decespugliatore" convonti che la loro missione sia quella di tosare il prato. E tenerti sveglia

Monia Lauroni

Scrivere per descrivere

Arieccoli. Non  bastano i giorni di sole a strapiombo sulla testa, le piogge di fuoco da punizione biblica, il carnaio agostano, le tristi grigliate coatte. L’esangue spensieratezza di anime prosciugate dalla catena di montaggio dei giorni seriali.

Non basta la baldanza mummificata di quelli che si fanno abbronzare le chiappe da una stella caduta troppo in basso;  e non basta nemmeno la delinquentissima culex pipiens che ti prende per il culex ogni notte mentre tenti inutilmente di buttarti l’inferno alle spalle e provare a dormire.

No, non basta. E non basta neanche la soddisfazione che ti prende quando con cattiveria la schiacci contro il muro e in quell’istante godi come un alce. E sei per un attimo felice e canti. E pensi che se Dio ci avesse voluto veramente bene, ci avrebbe fatti per il 90% di Autan

Non basta. Puntuali come gli scooter petomani, le cicale a luci rosse, le tavolate di cocomero e organetto, arrivano loro:  i decespugliatori men.

Trattasi di specie mannara, purtroppo non ancora in estinzione. Sono uomini di solito sposati, uomini coi tatuaggi sui polpacci che spingono il risvoltino ai pantaloni là dove nessun risvoltino è mai arrivato prima. Sono uomini che si rimboccano le maniche della camicia e gonfiano i muscoletti smilzi degli avambracci. Gli altri, quelli della sottospecie piú evoluta, sono uomini per metà tori abbronzati e metà pecorelle candide, loro i fauni,  si esibiscono tassativamente a torso nudo.

L’operazione è semplice: intercettare le ore più calde, quelle in cui tu ti sei addormenta per stremo e dare corda alla macchina infernale a miscela puzzolente.

L’esercito dei fancazzisti parte quasi sincronizzato. Incessantemente, stupidamente, continuamente. La mission è una sola:  decespugliare le sconfinate praterie che il tavolare italico ha deciso di affidare loro. Una sola arma da guerra, il decespugliatore. 

Più che spingerli e tirarli, gli eserciti dei decespugliatore men, sembra che danzino con le loro falciatrici che, leggeri come damine li accompagnano nei loro movimenti.

Se potessi osare un’ipotesi, direi, Dio mi perdoni per il pensiero blasfemo, che pettinare il prato quasi gli piaccia. Sarà forse perché gli sembra un po’ come  contrastare l’entropia dell’universo. O più semplicemente per un triste riscatto verso le proprie mogli per la cilecca della sera prima. Loro, la rivincita se la prendono così, infliggendo a poveri insetti e agli altri uomini, quelli normali, un’inattesa Apocalisse. 

E tu sei lì, nella canicola dei meriggi estivi, con le trombe di Eustachio che tentano l’auto otturazione, con le finestre spalancate sui loro prati e il pensiero fisso di annodargli quel filo che gli alimenta l’infernale falce intorno a quei colli sudaticci e gonfiati. Lasciarli lí, come materia organica che alimenta i loro terreni rigogliosi di erba. Immagini che finisca così.

E solo allora, per un istante sei felice. Sei felice. E canti.