La Mozione Zingaretti manda in macerie il centrodestra

Chi vince e chi perde. la Mozione di Sfiducia contro Nicola Zingaretti lascia sul campo politico morti e feriti. In Forza Italia si apre la partita che mette in discussione il capogruppo Aurigemma. Perde totalmente il ruolo Stefano Parisi. L'abilità di Roberta Lombardi. Il poker con Buschini

Carlo Alberto Guderian

già corrispondente a Mosca e Berlino Est

Il giorno dopo la catastrofe, ciò che resta del centrodestra si aggira tra le macerie. Quelle della Mozione di Sfiducia con cui volevano buttare giù Nicola Zingaretti, la sua amministrazione regionale, azzoppandolo in piena corsa verso la Segreteria nazionale del Pd. (leggi qui Crolla la Mozione contro Zingaretti: Cavallari dice no, Forza Italia fa retromarcia, Lombardi “Buffonata”).

 

Crollata su se stessa, la Mozione ha lasciato morti e feriti gravi sotto le rovine. La prima vittima è Stefano Parisi, delegittimato dal suo ruolo di capogruppo di un centrodestra che non è un gruppo, non è una roccia sulla quale attestare il fortino dell’opposizione.

La strategia intessuta con il suo fedelissimo Donato Robilotta non ha raggiunto i numeri necessari per scalfire Nicola Zingaretti.

Si è schiantato contro la strategia degli equilibri costruita dal Governatore all’indomani delle elezioni di marzo che l’hanno confermato alla guida della Regione ma senza una maggioranza. Un sistema collaudato, solidissimo, affidabile: lo stesso che ha consentito all’Italia di essere governata dal Dopoguerra e per mezzo secolo. Mandato in soffitta dall’aspetto becero del berlusconismo nel quale chi vince pigliatutto.

Stefano Parisi, che non è un politico ma è un manager con il pallino della politica, ha sperimentato il confronto con il modello nel quale vincitori e vinti hanno un ruolo, bilanciato e rispettoso della propria parte. Nel quale è possibile incidere anche stando all’opposizione.

A parlare sono la rapidità con cui lo Zingaretti II ha approvato provvedimenti impegnativi e fondamentali: dalla riforma del Diritto allo Studio al Collegato con le sue centinaia di implicazioni.

 

La caduta di Parisi

Stefano Parisi è cresciuto nel mito del berlusconismo, arrivando ad immaginarsi come possibile erede del Cav. È per questo che non può comprendere le ragioni della sua fine politica.

Che non lo abbia capito è stato chiaro in mattinata quando è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’e’ desta” condotta da Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus.

Gli domandano se farà marcia indietro sulla mozione di sfiducia a Zingaretti. Risponde «Nessuna marcia indietro, noi abbiamo presentato questa mozione che voteremo domattina perché bisogna fare chiarezza».

La situazione invece è chiarissima: lui non governa l’opposizione di centrodestra, né i navigati consiglieri di centrodestra all’opposizione hanno intenzione di farsi gestire da lui.

 

La resa dei conti

Il dubbio inizia a venirgli. Stefano Parisi per questo oggi ha attaccato ad alzo zero Forza Italia con il suo coordinatore regionale Claudio Fazzone. Che è stato il primo a togliergli la terra da sotto i piedi dodici secondi dopo che il consigliere indipendente Enrico Cavallari ha annunciato che avrebbe fatto mancare il suo fondamentale voto alla mozione.

«C’è un pezzo di Forza Italia a Latina che fa gli accordi col Pd, niente di male, io dico soltanto: basta con l’ambiguità».

 

Chiama in causa anche i livelli più alti del Partito.

«Il centrodestra – dice Parisi – nel Lazio ma non solo è molto confuso in questa fase per la predominanza di Salvini e per l’incapacità di Forza Italia di ricostruire una sua identità tutto quello che va nella direzione di fare chiarezza aiuta».

 

Scava un fossato con il Movimento 5 Stelle anziché tentare fino alla fine di recuperarli e convincerli a votare con lui la Mozione di sfiducia. La capogruppo Roberta Lombardi gli ha mandato a dire che è meglio se ritira quel documento. Stefano Parisi oggi ha risposto «Anche quelli del M5S sono attaccati allo stipendio di consiglieri regionali. La Lombardi aveva detto che avrebbe votato la sfiducia, poi appena ha visto che c’era un po’ di titubanza nel centrodestra ha detto: no non lo votiamo, continuiamo a lavorare. Così i suoi si sono rasserenati perché avevano paura di perdere lo stipendio».

 

Aurigemma traballa

Un altro che è rimasto sotto le macerie è Antonello Aurigemma, capogruppo di Forza Italia in Regione Lazio.

Viene il dubbio che la manovra non sia stata concordata con il potentissimo coordinatore regionale Claudio Fazzone. Che nel messaggio dettato alle agenzie ha scavalcato di fatto il suo capogruppo, annunciando «Adesso chiamerò il mio capogruppo e gli dirò che vista la posizione di Cavallari è inutile andare a fare delle figure del genere in Consiglio».

Gli rimprovera di avere portato Forza Italia in un vicolo cieco. Di essersi mosso al buio e senza la prudenza che la politica pretende. Claudio Fazzone lo ha fatto nel passaggio in cui ha ricordato (senza citarlo) ad Aurigemma che «non c’è bisogno di presentare la mozione di sfiducia. È sufficiente andare dal notaio o dal segretario regionale, si firmano le dimissioni e si va ad elezioni».

La tirata d’orecchie potrebbe essere solo il preludio ad una resa dei conti interna. Il ruolo di capogruppo potrebbe essere messo in discussione. Perché Aurigemma non è riuscito a portare a casa nemmeno tutte le firme dei suoi consiglieri: Laura Cartaginese s’è data malata e non ha firmato.

La politica è fatta di segnali, presenze nei momenti giusti e assenze nei momenti strategici. Un esempio: Pasquale Ciacciarelli, presidente della Commissione Cultura ed esponente di Forza Italia, sabato non sarà in aula al momento della votazione della mozione. Ha comprato un biglietto aereo Ryanair e se ne vola il Scozia.

Non vota perché non è politicamente possibile che chieda di buttare giù un governo regionale ai cui lavori collabora, in nome e per conto del suo Partito, presiedendo una Commissione.

 

La Lega s’è schiantata

Sotto le macerie c’è rimasta la Lega. Esce più divisa di quanto fosse prima della mozione. Il no alla firma decisiva è arrivato ad un consigliere eletto nella lista del Carroccio: Enrico Cavallari. Che non è un parvenu della politica: è uno che governava ai tempi di Gianni Alemanno. E che è sceso di corsa dal carro salviniano nel momento in cui ha avuto chiaro che sarebbe andato a schiantarsi contro il sistema Zingaretti.

Angelo Tripodi, capogruppo della Lega della Regione Lazio, è intervenuto a Radio Cusano Campus nella trasmissione “Cosa succede in città“, condotta da Emanuela Valente.

Al quale ha ammesso che «Non ci aspettavamo la posizione di Enrico Cavallari perché le sue dichiarazioni nel momento in cui entra nel gruppo misto sono state: ‘Io sono pronto in qualsiasi momento a votare la sfiducia a Zingaretti perche’ comunque sono un uomo di centrodestra‘. La sua decisione di non sfiduciare il presidente della Regione Lazio dimostra il contrario, dimostra che è una persona legata alla sua poltrona, ha avuto delle risposte alle sue richieste e adesso cerca scuse a destra e a manca per svincolarsi. E’ schiavo di quella posizione data o di altre promesse di Zingaretti».

Tripodi finge di ignorare il messaggio politico di Enrico Cavallari. Che ha detto con chiarezza il suo no ad un ritorno alle urne del tutto al buio, nel quale l’unica certezza di vincere le elezioni sarebbe un patto gialloverde anche nel Lazio, con tutti i gravissimi limiti che stanno emergendo su scala nazionale.

Cerca colpevoli ora la Lega. E li cerca in casa di Forza Italia. Che non ha solo Pasquale Ciacciarelli a presiedere una commissione ma anche Giuseppe Simeone al timone della strategica commissione Sanità.

Angelo Tripodi punta il dito contro «quelle poltrone date a persone che compongono il centrodestra, e la Lega non le ha mai volute, devono essere restituite e cosi’ si riformano tutti ruoli, di maggioranza e di opposizione».

Ancora più esplicito quando su Forza Italia definisce «E’ assurdo il comportamento di Claudio Fazzone, coordinatore Regionale del Lazio, che ha chiesto ai consiglieri in Regione di non presentare la sfiducia. Una posizione in contrato con i consiglieri che invece vogliono discutere la mozione, vogliono stanare i sostenitori di Zingaretti».

 

L’abilità di Roberta

La mozione di sfiducia ha messo in luce l’indiscutibile abilità politica della capogruppo a Cinque Stelle Roberta Lombardi. Per nulla digiuna di politica, si è mossa con abilità ed esperienza nella crisi. Un’ombra che scivolava via senza lasciare traccia dopo essere apparsa al posto giusto e nel momento giusto.

Appena annunciata la Mozione ha assicurato il voto del M5S. Consapevole che quella manovra fosse ostile al suo schieramento politico: perché avrebbe tagliato le linee di rifornimento sotterraneo. Infatti, da mesi il Gruppo M5S in Regione Lazio sta incassando risultati politici ed amministrativi grazie al sistema di equilibri innescato da Zingaretti.

Al punto da risultare più produttiva per Roma della stessa sindaca di Virginia Raggi. Con la quale si detestano.

Ha serrato le fila, tenuto compatto il gruppo ed evitato fughe in avanti dei Barillari o dei Porrello che, fosse stato per loro, la Mozione l’avrebbero votata il giorno dell’insediamento.

In questo modo ha coperto il Movimento e mandato a schiantarsi quel Centrodestra che alla fine lascia le impronte digitali su una Mozione nella quale non è riuscito ad avere il minimo di firme necessario. E che – in ultima analisi – ha rafforzato Nicola Zingaretti.

 

Il poker di Zingaretti

Giurano che Nicola Zingaretti abbia vissuto la Mozione di Sfiducia senza patemi d’animo. A chi gli domandava come mai fosse così tranquillo pare abbia risposto “È una questione di Aula, sono problemi di Buschini, sta lì apposta per questo”.

Dicono che per tre giorni e tre notti non abbia dormito e se lo ha fatto è stato come i cavalli: rimanendo in piedi. Mauro Buschini, capogruppo regionale Dem, ha mollato la presa solo mercoledì sera: quando il suo obiettivo ha detto “Va bene” e gli ha stretto la mano. La mano era quella di Enrico Cavallari, la posta in gioco era l’intero Consiglio regionale del Lazio.

È stato lui ad occuparsi del lavoro di dialogo politico con tutti i fronti. La missione diplomatica era formata dal capogruppo insieme al presidente del Consiglio Regionale Daniele Leodori, dal vice presidente della Giunta Massimiliano Smeriglio, dal capo di Gabinetti Albino Ruberti.

Ognuno di loro ha sondato una parte del terreno e capito dove fosse possibile passare per costruire la via di salvezza sulla quale traghettare il Consiglio.

 

Come prima cosa hanno dovuto disinnescare il veleno gettato nei pozzi di Enrico Cavallari. Il centrodestra gli aveva detto che Nicola Zingaretti, una volta diventato segretario nazionale Pd si sarebbe candidato alle Europee e quindi entro ottobre si sarebbe dovuto dimettere dalla Regione.

Il ragionamento affrontato è stato di natura squisitamente politica. A chi conviene gettare la Regione Lazio nel caos solo per tornare alle urne? Gli elettori di Cavallari stanno ottenendo le cose per cui gli avevano dato il voto e la fiducia? Tutto il resto è tifoseria.

Sulla base di questo c’è stata la stretta di mano. E Mauro Buschini dopo tre notti è tornato a dormire.