La corsa di Quarto Savona Quindici: per sempre contro la mafia

I resti della Croma che scortava il giudice Falcone a Capaci. Sono diventati un crocefisso laico: il simbolo della sconfitta per la Mafia, in giro per le piazze d'Italia. Ed ora anche a Veroli

Maurizio Patrizi

Rem tene, verba sequentur

Fa comodo chiamarli eroi ma eroi non erano. Erano poliziotti che hanno fatto il loro dovere”. Lunghe pause ma parole come pietre. Le ha pronunciate da Tina Montinaro, la vedova del caposcorta della “Quarto Savona Quindici”, nome in codice della prima Fiat Croma saltata in aria nella strage di Capaci il 23 maggio 1992. Dentro c’erano gli sbirri Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Precedevano il vero target: l’altra Croma, bianca con all’interno il giudice Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo con l’autista.

La donna che da trenta anni combatte la mafia restando a Palermo, portando in giro per l’Italia i resti della Quarto Savona Quindici, tenendo vivo il ricordo di quegli “uomini normali che avevano il senso del doverestamattina era a Veroli. In piazza Santa Salome, davanti alla teca in cui sono conservati i resti dell’automobile che lei ha rimesso in giro per le strade del Paese.

Non un tour del dolore. L’esatto contrario. Una processione laica della rabbia e dell’orgoglio. Che questa mattina l’ha portata a puntare il dito anche contro la politica: “Di fronte a certe leggi io mi sento sempre sola”.

Scortata dalle pattuglie della Stradale, i resti della Croma hanno raggiunto il belvedere adiacente Piazza Santa Salome. Rimarrà lì fino a venerdì 10 giugno per urlare la ribellione di un Paese che non si vuole piegare.

CRETARO: IL RICORDO È LOTTA

Ernesto Liguori e Simone Cretaro

Un urlo che ha viaggiato sulle parole del sindaco Simone Cretaroperché – ha detto – il senso di questa giornata non è soltanto quello di onorare la memoria di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uomini della sua scorta. Ma deve essere soprattutto quello di stimolarci a un rinnovato e continuo impegno nella lotta alle mafie e alla criminalità”. 

 Un concetto al quale si è agganciato il prefetto di Frosinone Ernesto Liguori. Ha sottolineato quanto fosse importante “la presenza del mondo della scuola. La lotta alla mafia ha come protagonista la forza dello Stato ma è importantissima anche la battaglia culturale, la condivisione di valori che si oppongano alla barbarie, alla sopraffazione della criminalità organizzata, al tentativo di contrapporsi allo Stato e alla nostra comunità”.

IL PROCURATORE: CONOSCEVO GIOVANNI

Il Procuratore di Frosinone Antonio Guerriero

Come i teli del tricolore nascondevano la teca con i resti dell’auto, tra le autorità si nascondeva il racconto che nessuno si sarebbe aspettato. È quello del procuratore della Repubblica di Frosinone Antonio Guerriero. “Io conoscevo Giovanni, ci eravamo sentiti pochi mesi prima che lo ammazzassero”.

Ricorda il giorno dell’attentatuni come lo chiamano i siciliani. “Quando ci fu la strage – ha detto – il laboratorio sismico di Catania rilevò una scossa, pensarono a un terremoto”. La Quarto Savona Quindici finì polverizzata, la Croma con il giudice Falcone finì nel cratere di dieci metri scavato dalla bomba, la terza auto finì sepolta dai detriti. “Gli attentatori Brusca e gli altri hanno collaborato, quindi sappiamo. Avevano premuto il pulsante con qualche secondo di anticipo, quindi la macchina di cui vedete i resti saltò in aria, era quella della scorta. Ci fu un’onda, una specie di voragine larga oltre dieci metri, io l’ho vista. L’onda colpì l’auto di Falcone che stava dietro. Morirono non per l’esplosione ma per la voragine. Questo determinò in me un blocco perché io conoscevo Giovanni Falcone, ero amico suo, ho trattato per 25 anni camorra e mafia e sono stato venti anni sotto scorta. Hanno provato ad ammazzare anche me diverse volte. Sono vivo per miracolo”.

 Perché il procuratore oggi a Frosinone conosceva Giovanni Falcone? Per “l’applicazione del nuovo metodo di indagine creato da Giovanni che colpiva il patrimonio della malavita organizzata”. Seguire il denaro per risalire a tutti i protagonisti: follow the money consigliava il magistrato palermitano.

NECESSITÀ DI DIALOGO

Io credo che questa esperienza di Giovanni per poter essere utile debba insegnare alle nuove generazioni che la legalità non è un optional, è la precondizione per lo sviluppo di un territorio. Io vengo dall’area campana, ho trattato per vent’anni il clan dei Casalesi e le altre organizzazioni criminali. So cosa significa vivere sotto l’impero delle organizzazioni mafiosi: significa vivere in una realtà dove tutto viene condizionato economicamente; è una guerra che noi stiamo sostenendo e che avevamo un po’ dimenticato negli ultimi tempi”.

Non si nasconde il procuratore della Repubblica di Frosinone. Sa che ci saranno i referendum, dice che è giusto adeguare le norme ma cita Bachelet. “Ci sarà una riforma ma, come dicevano le persone come Bachelet, che sono morte per il terrorismo, noi una riforma la facciamo insieme. La magistratura non può vivere senza la credibilità delle altre istituzioni”.

La riforma della Giustizia insomma va fatta attraverso il dibattito politico. E non affidandola ad una sorta di lotteria. “Noi non possiamo amministrare la giustizia contro il mondo politico. La riforma la possiamo fare insieme se c’è il consenso delle altre istituzioni”.

C’è un messaggio chiaro per la politica. “Ogni potere non tollera il controllo ma la differenza la fa una politica illuminata, consapevole che se c’è controllo c’è anche pulizia e non c’è degenerazione. Siamo un ente necessario perché senza controlli poi c’è la degenerazione che abbiamo già visto con la Prima Repubblica cosa succede. Noi siamo una condizione necessaria perché il sistema democratico possa svilupparsi”.         

L’ABBRACCIO DEL QUESTORE

L’abbraccio con la vedova del caposcorta

Erano poliziotti quelli che stavano sulla Quarto Savona Quindici. C’è commozione nelle parole del questore di Frosinone Domenico Condello. È uno che si è fatto le ossa tra le strade di Roma, dirigendo i Commissariati di periferia. Sa cosa significa quando gli uomini in divisa salgono su una Volante. “Tina Montinaro con la sua testimonianza ricorda che bisogna combattere giorno per giorno l’arroganza e le mafie. Quello che è avvenuto a Capaci è un atto di arroganza. E noi possiamo contrastare l’arroganza soltanto con il dialogo, il confronto e la memoria”.

Essere poliziotto significa avere il senso dello Stato e del Dovere. “Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani hanno sacrificato la loro vita per un ideale. Le nuove generazioni debbono comprendere che bisogna combattere non solo la mafia ma tutto ciò che provoca diversità e illegalità, anche nelle scuole. Le nuove generazioni debbono farsi portavoce di questi valori”.

Scalda il cuore l’abbraccio con la vedova del Caposcorta.

CONDIVISIONE E CONTROLLO

Antonio Pompeo

È una sfida del territorio. Dei territori. Quelli che stanno ospitando il tour della Quarto Savona Quindici. Territori che non sono esenti dalla Mafia. Lo ha sottolineato il presidente della Provincia Antonio Pompeo. “Mi auguro che in questi giorni tanti vengano qui a Veroli davanti a questa teca. Non deve essere solo un’occasione di curiosità ma deve essere un’occasione di riflessione, di approfondimento e di valorizzazione di quelli che sono i nostri principi”.

 Il presidente dell’Osservatorio Sicurezza e Legalità Gianpiero Cioffredi ha detto che il re è nudo. Ha spiegato che la criminalità organizzata è presente anche nel Lazio. E che dalla prima relazione di poche decine di pagine si è arrivati ora alla più recente composta da quasi 250 pagine. Ma soprattutto ha annunciato che tutte le imprese che parteciperanno alle gare per il Pnrr verranno automaticamente segnalate all’Antimafia ed all’anticorruzione. Per una verifica. Non solo le imprese vincitrici. ma tutte quelle che parteciperanno.

IL MESSAGGIO DI SARA

Sara Battisti

Il presidente di Commissione regionale Sara Battisti è stata l’anima di questa iniziativa. È stata lei a volere che la Quarto Savona Quindici facesse tappa anche in Ciociaria. E che la facesse a Veroli. Aveva preparato degli appunti: non li ha nemmeno aperti “Sembrerebbero banali di fronte alla profondità di ciò che abbiamo sentito oggi”.

Ha ricordato a tutti i sindaci che la Legalità si raggiunge attraverso l’impegno dei singoli. Facendo il proprio dovere, pretendendo il rispetto della Legalità. Esattamente come fecero quei poliziotti. Consapevoli che la Legalità richiede coraggio. Ma è una scelta di campo.

TINA MONTINARO: DA CHE PARTE STARE

Tina Montinaro

Semplice e brutale. Con la sua schiettezza e la sua forza. Tina Montinaro ha raccontato quello che per molti è scomodo. “E’ molto più semplice dichiararli eroi perché gli eroi sono irragiungibli. Noi non possiamo essere eroi” ha detto Tina Montinaro. “Invece dobbiamo parlare di dovere. Erano uomini che facevano il proprio dovere”.

E riferendosi a suo marito: “Era un poliziotto, aveva prestato giuramento alla Repubblica italiana; quindi, ha fatto il suo dovere senza fare un passo indietro. È così che dobbiamo ricordare quegli uomini, è così che dobbiamo sempre onorare tutte le forze dell’ordine: ragazzi che fanno una scelta, che decidono da che parte stare. È questo che devono capire i giovani, la scelta è importante, il dovere è importante. Voi dovete farvi delle domande, dovete essere curiosi e capire cos’è il dovere, capire chi lo ha fatto e chi non lo ha fatto in quel periodo, capire perché sono successe queste cose”.

Per scelta ho sposato un poliziotto, un poliziotto che ci credeva, che venne a Palermo perché iniziava il maxiprocesso. Un poliziotto così simpatico, pieno di senso del dovere”. Poi la vedova Montinaro parla del marito al presente: “Ci incontriamo e ci sposiamo e la mia vita inizia insieme a questo ragazzo. Lui mi fa capire cos’è il suo lavoro, cosa sono le sue scelte, e quindi la sua passione la trasmette a me fino a quando non arriva quel 23 maggio.

Il cambio di turno: “Lui, per senso del dovere il giorno prima disse a un suo collega: vado a prendere io il dottor Falcone. La mattina di quel 23 maggio lui lascia i bambini a casa, lascia me e va a prendere il suo magistrato. Io non ho più visto mio marito, perché quelli che qualcuno boriosamente chiama “uomini d’onore”, non ci hanno dato la possibilità di fare i funerali con le bare aperte perché non era rimasto nulla.

LA MAFIA NON LI HA FERMATI

Però io sono napoletana, sono la moglie del poliziotto e la testa non me la piegano, non mi fanno chiudere dentro, non mi fanno andare via da Palermo. Hanno ucciso mio marito, non me e nemmeno i miei figli. E quindi inizio questo mio nuovo viaggio, questa mia nuova vita, una vita che non ho scelto. Però ho un dovere, che mi ha insegnato mio marito e quindi ho voluto dimostrare a tutti che non li avevano fermati. E che non avevano vinto loro, perché a noi il sorriso non ce l’hanno tolto, perché i miei figli sono due ragazzi per bene, non sono vendicativi. E vogliamo in questo paese il cambiamento”.

È vero, mi sono sempre sentita un po’ abbandonata. Anche dalla politica, perché abbiamo una politica che parla, parla, parla… Però poi di fronte a certe Leggi, davanti a certe cose, io mi sento sempre sola, perché ultimamente si tutelano solamente i delinquenti e i mafiosi e non le persone per bene. Invece non deve essere così”.

Il messaggio ai giovani è un altro pungo nello stomaco. “Allora voi giovani non dovete dare il consenso, voi non dovete essere indifferenti perché voi dovete essere migliori di noi, voi dovete stare attenti al nostro territorio perché vi è stato già detto: vi rubano il futuro. E voi non lo dovete permettere a nessuno. Perché altrimenti è inutile ricordare questi uomini che hanno dato la vita per farci alzare la testa”.

POLIZIOTTI CORAGGIOSI

Quei ragazzi, Antonio, Vito e Rocco, sono un grande esempio per il nostro Paese”. E Antonio Montinaro “non ha pensato ai bambini a casa, perché ha pensato al benessere e al cambiamento di tutto il Paese. Ha sempre sostenuto che non avrebbe fatto un passo indietro perché il dottor Falcone era una persona preziosa e le persone preziose vanno protette. Quindi quegli uomini ricordiamoli sempre come i tre poliziotto con un grande coraggio”.

Ecco perché la mafia ha fallito quel giorno a Capaci. Pensava di sotterrare per sempre il giudice che aveva messo in ginocchio le cosche con il suo Maxiprocesso. E invece di fermare per sempre il contachilometri della Quarto Savona Quindici hanno solo iniziato a far scorrere su un’altra strada la sua corsa, rendendola eterna. Insegnando a tutti che di fronte alla mafia non si deve piegare la testa.