La nuova montagna dei rifiuti a Roccasecca: ecco tutti i nomi e cognomi

Cosa c'è dietro alla decisione presa dal Consiglio dei Ministri. Che l'altro giorno ha cancello la sua stessa decisione di un anno fa dando così il via libera all'ampliamento della discarica di Roccasecca. Le manovre della sindaca di Roma Virginia Raggi. La necessità di evitare il commissariamento. Roccasecca giudicata sacrificabile. L'unica via di salvezza ora è nelle mani della Regione. E nella Circular Economy

La responsabilità non è di Valter Lozza. Solo in minima parte è della Regione Lazio. La responsabilità della collina di rifiuti che diventerà montagna tra i campi di Roccasecca ha nomi e cognomi precisi. I sedici metri di spazzatura ai quali ha dato il via libera il Consiglio dei Ministri sono responsabilità della Giunta Raggi e di Roma Capitale. E di chi fra Ministero dell’Ambiente e Parlamento ne vuole evitare il fallimento.

Nella stessa settimana la provincia di Frosinone ha avuto la stazione della Ferrovia ad Alta Velocità che innescherà un’evoluzione paragonabile solo a quella generata dall’autostrada. E la conferma del ruolo di pattumiera nella quale Roma scarica i suoi rifiuti. Il primo è un balzo in avanti verso la crescita economica e lo sviluppo. Il secondo è  un deciso passo indietro nella marcia verso il risanamento ambientale del Lazio e la sua proiezione nell’economia circolare.

Incomprensibile. Perché le politiche ambientali messe in campo dall’amministrazione di Nicola Zingaretti finora erano state molto chiare: hanno portato alla chiusura della discarica di Colleferro nonostante i volumi ancora disponibili, portato al piano per la soppressione degli impianti Tmb (come quello che lavora i rifiuti a Colfelice) per trasformarli in fabbriche dei materiali da cui recuperare tutte le materie possibili anziché mandarle in discarica.

Il cinismo di Virginia

Virginia Raggi Foto © Sara Minelli / Imagoeconomica

Tutto diventa comprensibile se ci spostiamo di qualche chilometro e guardiamo tutto da un’altra posizione. A fare da guida è anche un approfondito lavoro di ricerca sviluppato dall’associazione ambientalista apartitica Civis di Ferentino.

Bisogna spostarsi a Roma se si vuole comprendere cosa sta accadendo alle spalle dei cittadini del Sud della Ciociaria.

C’è Virginia Raggi con la sua amministrazione a Cinque Stelle dietro all’operazione che porterà a Roccasecca una montagna di rifiuti nel vero senso della parola. Sono stati loro a sfruttare in maniera cinica e calcolata la pandemia di Covid-19 per riuscire ad ottenere una cosa che altrimenti non sarebbe mai stata concessa: non ce n’erano i presupposti giuridici, meno ancora quelli tecnici .

Virginia Raggi aveva detto con chiarezza a gennaio che la pattumiera di Roma doveva essere realizzata in Ciociaria. Lo aveva detto nel corso della drammatica seduta in cui venne assediata dai sindaci con la fascia tricolore andati in massa sul Campidoglio per ricordarle che una discarica deve realizzarsela sul suo territorio. In quell’occasione la sindaca eletta dal popolo a Cinque Stelle ebbe un’uscita degna di Maria Antonietta di Francia, quella delle brioche da dare al popolo che non aveva pane. Sostenne che era giusto fare la discarica in provincia perché ogni giorno migliaia di pendolari ciociari vengono a Roma e contribuiscono a sporcarla con i loro rifiuti. (leggi qui la cronaca di quella giornata).

Quella frase non era stato un momento di stizza: già all’inizio del 2020 la Sindaca aveva insistito presso la Regione affinché autorizzasse nuove volumetrie, indicando proprio la discarica di Roccasecca. Nel totale silenzio dei tre parlamentari del M5S e del consigliere regionale eletti in provincia di Frosinone.  

La tigna di Peppe

Il sindaco di Roccasecca Giuseppe Sacco

Il sindaco di Roccasecca Giuseppe Sacco è avvocato e crede sia nelle leggi che nello Stato. La sua riposta non è stata quella che molti suoi colleghi gli suggerivano: non ha eretto alcuna barricata, consapevole che gli avrebbe dato risonanza e popolarità per qualche ora. E poi i rifiuti sarebbero arrivati lo stesso. Invece ha preso i Codici ed ha incastrato la città di Roma con finezza ed abilità giuridiche.

Riassumendo in poche righe: la sindaca di Roma pressava la Regione, il sindaco di Roccasecca otteneva una serie di pronunciamenti giuridici che sbarravano la strada all’ampliamento della discarica.

Pe scardinare quella linea di difesa allestita da Roccasecca è stato necessario andare lì dove si fanno le leggi e chiedere di cambiarla. In pratica la Regione Lazio -pressata dalle richieste della Sindaca di Roma che minacciava il caos per l’assenza di una discarica- è stata costretta a ricorrere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere un provvedimento d’emergenza che autorizzasse la ulteriore sopraelevazione della discarica di Roccasecca: non ci sono precedenti di sorta nella storia della Repubblica. 

Il Governo si è ritrovato sul tavolo una relazione dalla quale risulta che Roma rischiava il disastro igienico non avendo un sito per lo smaltimento dei suoi rifiuti. Sosteneva che rischiava ancora una volta di ritrovarsi con migliaia di tonnellate di immondizia abbandonate sulle sue strade, nel pieno della tempesta COVID-19. 

Scelta politica e non tecnica

L’area della discarica Mad a Roccasecca

Se non ci fosse stata la doppia emergenza, Regione Lazio e Roma Capitale non avrebbero mai ottenuto la sopraelevazione dell’impianto. Impossibile per via della efficace strategia di contrasto messa in campo da Roccasecca: aveva sbarrato loro il passo su tutte le vie amministrative e tecniche. 

La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha potuto prendere una decisione tecnica: non ce n’erano i margini. È stata una decisione politica. Ancora una volta è stata presa nel totale silenzio di quelli che rappresentano il territorio.

Con quella Deliberazione presa nel corso del Consiglio dei Ministri del 20 Aprile 2020 il Presidente Giuseppe Conte ha revocato la precedente decisione, presa dallo stesso Consiglio dei Ministri il 7 Marzo 2019. In pratica: si è rimangiato lo stop alla sopraelevazione della discarica disposto un anno prima.

Infatti nel 2019 il Governo aveva detto che non si poteva fare una montagna con i rifiuti lavorati, alzandola sulla buca scavata nella terra e poi riempita con altri rifiuti in località Cerreto. Non si poteva per via dei vincoli paesaggistici fissati per Legge dello Stato. Però, in considerazione del rischio d’emergenza era possibile fare una collinetta di dieci metri e tenere aperto il sito al massimo fino all’esaurimento dei volumi concessi.

Ora ci si è rimangiati anche quello. E si è autorizzato l’ulteriore sopraelevazione del IV bacino della discarica di Roccasecca. Passando dai 10 metri già concessi fino ai 16,7 metri concessi ora. Aumentandone la capacità di circa 80mila tonnellate destinate principalmente allo smaltimento dei rifiuti prodotti da Roma Capitale. 

Il coraggio della scelta

Il sindaco Pierluigi Sanna mette il lucchetto alla discarica di Colle Fagiolara © AG. Dire

Poche ore dopo la decisione del Consiglio dei Ministri, la Regione Lazio ha annunciato l’intenzione di autorizzare anche lo scavo del V bacino della discarica. In pratica altre 450.000 tonnellate di capacità. 

Il rischio è quello di ritrovarsi a svolgere il ruolo della pattumiera di Roma. Occorre una scelta politica altrettanto precisa per evitarlo. E solo la Regione Lazio può farlo. Iniziando lo stesso percorso avviato per Colleferro e la discarica di Colle Fagiolara.

In pratica? Avviare lo studio per la futura destinazione del sito: cosa voglio realizzare in quella zona dopo che avrò detto basta all’attuale modello di gestione dei rifiuti?

C’è un vantaggio. Il tipo di gestione adottato in questi anni da Mad, la società di Valter Lozza che opera su Cerreto, ha superato i ripetuti controlli di vari carabinieri del Noe, chiarito ogni dubbio sollevato dalle varie inchieste aperte sia dalla magistratura di Cassino che da quella di Roma. In un caso la questione è stata talmente sottile che per chiarirla s’è dovuto andare a chiedere direttamente al Legislatore europeo cosa intendeva dire con il testo di legge emanato.

Insomma: Mad non è un girone dantesco, lavora materiali scomodi da trattare perché se non gli arrivano immondizie lavorate bene emettono cattivi odori.

Il suo ciclo produttivo può essere integrato in un futuro di economia circolare. Ma va progettato, concordato con la gente del posto, reso conveniente per chi fa impresa e per chi ci vive intorno.

È anche questa una scelta politica.

Non è solo colpa di Virginia

Foto © Daniele Scudieri / Imagoeconomica

In base ai calcoli della Mad oggi non ci sarebbe stato bisogno di alzare la montagna, né di creare la collina. I conti della società di Valter Lozza dicevano che oggi doveva ancora esserci tanto spazio da poter rimpire nel IV invaso. Hanno sbagliato i conti? No, semplicemente i calcoli erano fatti sul fabbisogno di Frosinone mentre da oltre un anno dobbiamo farci carico anche dei rifiuti di Virginia Raggi.

Onestà impone di sottolineare che non è solo colpa della sindaca di Roma. La causa dell’insufficienza degli impianti di Roma è stata individuata e descritta dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti. Non quella in carica oggi. Ma quella della precedente legislatura con Matteo Renzi al Governo ed il Movimento 5 Stelle all’opposizione. 

La Commissione d’Inchiesta

Foto © Enrico de Divitiis

La relazione della Commissione d’Inchiesta chiara.

“Nonostante un sito alternativo alla discarica di Malagrotta non sia mai stato trovato, dal 1° ottobre 2013 l’invaso non ha smaltito più rifiuti. Un corretto ciclo dei rifiuti non si attua “semplicemente” chiudendo la discarica di Malagrotta. Infatti una volta chiuso l’invaso sono iniziati i problemi, proprio perché chi negli anni doveva programmare e realizzare un’alternativa non lo ha fatto.

Ad un sistema costruito intorno alle discariche se ne è sostituito uno rigido e precario. Le responsabilità politiche di coloro che, negli anni, avrebbero dovuto garantire alla Capitale un ciclo dei rifiuti diverso da quello discaricocentrico, sono venute ancora più alla luce dopo la chiusura della discarica di Malagrotta. 

A distanza di quasi tre anni dalla fine dello smaltimento presso la discarica di Roma, il presidente pro tempore del consiglio di amministrazione di AMA S.p.A., Daniele Fortini, in audizione presso la Commissione il 2 agosto 2016, ha dichiarato: il ciclo integrato dei rifiuti urbani di Roma Capitale non c’è, non esiste, non è un ciclo e meno che mai è integrato. Rispetto alle previsioni delle norme, dobbiamo dire che questo è un punto di vulnerabilità molto forte rispetto alla possibilità di garantire la messa in sicurezza igienica, sanitaria e, nella gestione di un comparto così importante come quello dei rifiuti, della Capitale del nostro Paese […]

Le capitali europee garantiscono, mediamente, nel perimetro della città metropolitana, tutto il ciclo integrato dei rifiuti, ovvero accoglimento, trattamento e smaltimento, al 98%. La città di Roma, invece, è soltanto al 36%. Per il restante 64% dipende da 62 impianti, 10 regioni e 3 Paesi stranieri. Ecco: nel futuro della nostra Capitale dovremmo cominciare a evitare questo.”

Il giochetto di Roma

Franceco Scalia ai tempi della Presidenza della Provincia

È dal 2014-2015 che sono iniziati i massicci trasferimenti di rifiuti romani nella discarica di Roccasecca. Sempre di più, con una crescita esponenziale fino alle attuali 800 tonnellate al giorno, per un totale complessivo di oltre 500mila tonnellate, esaurendo anche le volumetrie spettanti alla Provincia di Frosinone e così compromettendo gli smaltimenti dei Comuni ciociari

In questi ultimi quattro anni il Campidoglio non ha risolto le gravissime inadempienze nella gestione del ciclo dei rifiuti di Roma, ma ha pensato bene di continuare a scaricarne le conseguenze sulle province del Lazio e soprattutto su Frosinone che aveva invece realizzato da tempo gli impianti necessari al suo ciclo integrato. Fu un’intuizione dell’allora giovanissimo presidente della Provincia di Frosinone, l’avvocato Francesco Scalia

Nello stesso periodo, la Regione e la Capitale hanno messo in campo il rimpallo reciproco delle responsabilità e competenze. Il Comune accusava la Regione di non approvare il Piano Regionale dei Rifiuti; la Regione accusava il Comune di non indicare i siti sui quali intendeva realizzare gli impianti, rendendo così impossibile la chiusura del Piano. Il Comune replicava che era la Regione a dover decidere dove fare gli impianti. La Regione replicava che era il Comune a dover fornire un elenco sul quale fare le valutazioni.

È stato costituito presso il Ministero dell’Ambiente un tavolo tecnico, il quale ha lavorato durante tutto il 2019 per l’individuazione di una serie di siti per la discarica. Ma a questo punto va in scena il comportamento a dir poco epilettico dei rappresentanti politici del Campidoglio: i Consiglieri comunali del M5S hanno impugnato il Tavolo Tecnico nonostante prima ne avessero avallato l’operato.

Le impronte digitali

Il presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte

Fatto sta che all’attualità Roma non dispone di un sito di smaltimento.  Se la Giunta della Sindaca Raggi avesse adempiuto ai suoi obblighi, oggi non saremmo occupati dagli ampliamenti della discarica di Roccasecca e dal provvedimento del Presidente Conte. 

È stato messo su un gioco assurdo in base al quale nessuno voleva che restassero le sue impronte digitali sulla scelta della discarica. Perché nessuno vuole presentarsi con quella decisione sulle spalle alle prossime elezioni.

È vero che è stata la Regione Lazio a chiedere l’ulteriore sopraelevazione della discarica di Roccasecca al Consiglio dei Ministri. ma lo ha fatto perché sua competenza dopo avere ricevuto il preciso sollecito della Capitale. Ed è ugualmente vero che il provvedimento che la concede è stato firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. 

Era nei suoi poteri e facoltà dire di no, o porre condizioni a Roma ed alla Regione per il sì. Ad esempio la realizzazione in un dato tempo della discarica a servizio della Capitale, oppure la chiusura definitiva dell’intero impianto dopo il 31 Dicembre 2020. Non lo ha fatto.

Perché lo hanno fatto

Virginia Raggi © Pasquale Carbone / Imagoeconomica

Perché Giuseppe Conte ha agito così? Perché ha scavalcato la Legge? Per quale motivo si è rimangiato i vincoli che il suo stesso Governo aveva posto alla discarica di Roccasecca? Una risposta c’è.

La scelta, tutta politica, è stata dettata esclusivamente dalla necessità di evitare il commissariamento del Comune di Roma e dell’amministrazione Raggi con i contraccolpi sul piano politico regionale e nazionale. 

In maniera cinica, nel calcolo della Ragion di Stato, i voti di Roccasecca sono stati considerati sacrificabili a differenza di quelli romani. E non è un ragionamento legato in alcun modo ad alcun Partito politico: lo ha fatto oggi Giuseppe Conte esattamente come lo fece a suo tempo Francesco Storace quando localizzò per la prima volta la discarica a Roccasecca.

L’unica via d’uscita

Foto © Christian Reimer

L’unica via d’uscita ora è nelle mani della Regione Lazio. Deve decidere se intende continuare a portare avanti il modello di sviluppo grazie al quale ha chiuso l’impianto di Colleferro nonostante lo spazio per 150mila tonnellate ancora disponibile. È il modello di sviluppo volto al risanamento e rilancio e del territorio attraverso l’economia circolare. 

È quel modello che riduce in maniera considerevole la quantità dei rifiuti che finiscono in discarica. Perché prima di arrivare all’interramento c’è un ciclo che recupera tutti o materiali possibili. Sia chiaro: non è uno sgambetto a chi in questi anni ha investito per raccogliere e vendere i materiali che separiamo in casa facendo la raccolta differenziata.

Le moderne Fabbriche dei Materiali recuperano tutto ciò che si può dai rifiuti indifferenziati che oggi finiscono in discarica, ottengono dai rifiuti delle cucine il biometano con il quale alimentare automobili green, scaldare scuole ed uffici, oppure venderlo alle industrie. Senza cattivi odori.

È sufficiente togliere le discarica dal centro del ciclo e collocarle in uno schema diverso. Che non incide sui loro guadagni. ma che tutela e restituisce dignità ad un territorio.

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