La Pop Art nascosta a due passi da noi

La Pop art italiana "nascosta" a Latina: l'archivio de 'La Tartaruga' che nessuno vuole vedere. Come sedere sotto la Cappella Sistina e disquisire del volo di una cornacchia

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Distrattamente guardo la Tv. Giro quasi da ossessivo malato di voglia di mondo che non voglio i canali. Mi fermo su Rai 5: il programma è sull’arte, si intitola Art Night. Titolo della puntata “Infrangere le regole“. Mi fermo un poco di più, parla dei ragazzi di Piazza del Popolo, della scuola di Piazza del Popolo a Roma.

La Scuola di piazza del Popolo è stata un’esperienza artistica nata negli anni Sessanta, a Roma. Gli artisti coinvolti erano Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Tano Festa e Franco Angeli, che erano soliti riunirsi al Caffè Rosati a piazza del Popolo o presso la Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis.

Mi intrigo di questa storia poi… Poi la voce fuori campo spiega che la memoria di questa storia (che è il materiale della galleria La Tartaruga) sta all’archivio di Stato di Latina.

Il tesoro nascosto a due passi

La sede dell’Archivio di Stato a Latina

Sì a Latina dove abbiamo fatto un museo a Cambellotti e ignoriamo di avere in dote la memoria del pop art italiana.

Il tentativo italiano di declinare con la memoria dei millenni di bellezza una società che era nata per volumi e non per esteticaAndy Warhol vedeva le scatolette di pomodoro in cucina ed i ragazzi della scuola di Roma vedevano Bernini, Borromini, la Cappella sistina di Michelangelo. I neri di Caravaggio nascondevano lattine ancora da inventare e non c’era serie ma unicità.

Una storia che è storia dell’arte italiana, europea e del mondo. Ma noi facciamo il monumento a Cambellotti, esaltiamo la retorica formalista dell’epica di un regime che non si reggeva ma reagiva alla paura. E durò il tempo in cui un bimbo diventa appena un ragazzo e non ancora un uomo.

Cos’era La Tartaruga

‘Reticolo’ (Giulio Turcato – 1956/’57 – olio su tela)

Per capire cos’è stata La Tartaruga per l’arte italiana bisogna tornare al 25 febbraio 1954. Quel giorno Plinio De Martiis e sua moglie Antonietta Pirandello aprono La Tartaruga in via del Babuino 196. A sostenere la loro iniziativa sono nomi come Mafai, Turcato, Scarpitta, Maccari e Leoncillo.

Ad inaugurare la galleria è la mostra di litografie di Daumier; seguono personali di Afro, Burri, Colla; la apprezzano anche gli americani: espongono Rauschenberg, Kline, Twombly. La Tartaruga è tra le prime gallerie a presentare l’arte americana e le maggiori avanguardie italiane ed europee. Gli anni Sessanta si aprono con l’esordio di Kounellis, Schifano, Fioroni e con mostre che vedono la presenza di Castellani, Manzoni, Angeli, Festa, Ceroli, Burri, Rotella e Mauri.

Nel 1963 La Tartaruga si trasferisce a piazza del Popolo dove espongono Lombardo, Mambor, Tacchi, Mattiaci, Pascali. Il clima artistico e intellettuale di quegli anni è particolarmente vivace e le mostre si susseguono fino all’inaugurazione del Teatro delle Mostre nel 1968: ciclo di eventi giornalieri che trasforma la galleria in una sorta di laboratorio d’arte.

Qui le cose vengono a morire

A Latina le cose vengono a morire. In città dal 1970 c’è il Campus internazionale di musica: nato come associazione ora ha personalità giuridica riconosciuta dalla Regione Lazio. Conserva l’archivio di Goffredo Petrassi, il più grande (o tra i più grandi compositori del ‘900). Petrassi ha una sala dell’auditorium di Roma a lui dedicata. Ma qua a Latina niente, neanche un cenno, un segno: messo in soffitta.

Così come la storia del materiale della Tartaruga dove hanno hanno lavorato gli artisti che hanno cambiato l’arte, in un mondo che cambiava. Ed hanno tenuto l’Italia tra le nazioni che hanno diritto a dire di bellezza. Noi continuiamo a parlare di fondatori e fondazioni, a non accettare il contemporaneo, continuiamo ad inventarci un giurassico che è solo quel tempo che stava poco prima di un baratro.