La proprietà transitiva delle alleanze

I chiari segnali arrivati dal Congresso di Carlo Calenda. Si va verso un accordo per la riforma della legge elettorale in senso proporzionale. E verso una riedizione del Governo Draghi anche dopo le elezioni del 2023

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Ricordate quella regola matematica che ci insegnarono a scuola? Si chiamava “proprietà transitiva“. Era  quella cosa che se A è uguale a B e B è uguale a C, allora si può legittimamente affermare che A è uguale a C

Detto più semplicemente se A è un fagiano e B che è uguale ad A è anch’esso un fagiano, se C è uguale a B anche lui sarà un bel fagiano.

Mi è tornata in mente ascoltando quanto affermato dall’immaginifico Carlo Calenda e dai suoi illustri ospiti all’apertura del primo Congresso di Azione il Partito da lui fondato uscendo dal Pd. Però non tutti devono avere studiato la nota regoletta a scuola perché alcune affermazioni ascoltate nel brillante consesso la contraddicono palesemente.

Poche idee e pure confuse

Foto Carlo Lannutti © Imagoeconomica

Parte Carlo Calenda che ha sempre il piglio di chi ha le idee chiare. Intanto dichiara subito di essere la terza scelta tra populisti e sovranisti ponendosi in posizione di alternativa, soprattutto lessicale, a questi. Bam! Molto chiaro e diretto.

Infatti non invita al proprio congresso né Fratelli d’Italia né il Movimento Cinque Stelle dichiarando di non voler mai voler fare accordi con loro. Sembra molto chiaro, lapalissiano.

Ora non sappiamo se non lo abbiano ascoltato parlare o non abbiano studiato a scuola ma gli interventi che sono seguiti hanno perlomeno confuso.

Parte Enrico Letta segretario del PD che, dimenticando che Calenda uscì dal suo stesso Partito sbattendo la porta ed additandoli come una massa di incapaci, si profonde in una lunga captatio benevolentiae arrivando al culmine del discorso ad affermare letteralmente: “Sono sicuro che insieme faremo grandi cose per il futuro del nostro Paese. Che insieme senza ambiguità vinceremo le politiche del 2023. E dopo il voto daremo un governo riformista, democratico ed europeista eletto dai cittadini per rendere la politica al servizio del nostro Paese”.

Tac. Allora ci assale subito un dubbio. Avrà notato Letta l’assenza voluta e sottolineata come scelta del partito di Grillo e Conte? Perché ci siamo sincerati, per sicurezza, che parlava lo stesso Letta che esattamente il 21 marzo 2021 dichiarava con la stessa enfasi : “Per vincere le elezioni contro il centrodestra dobbiamo comporre una grande alleanza in cui stia il Movimento Cinque Stelle”.

Il paradosso della proprietà transitiva

Enrico Letta (Foto Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Ora per il paradosso della proprietà transitiva delle alleanze citata nell’incipit se A sta con B ma B non vuole C il triangolo non si fa. Ovvero se Calenda dice di non volere i Cinque Stelle al punto di non poterli nemmeno soffrire al suo Congresso resta difficile comprendere come Letta si dica alleato alla prossime elezioni sia con lui che con Conte. 

Perlomeno Letta non deve avere colto le parole proferite dal sorcino Calenda che chiaramente urlava “il triangolo no non lo avevo considerato” sgolandosi meglio del Renato Zero dei tempi d’oro. Oppure, ed è l’unica opzione considerabile, hanno parlato dimenticandosi di dirci qualcosa che ancora non si conosce ovvero che ci avviamo ad un accordone già fatto ma tenuto ancora celato per ripristinare il sistema Proporzionale.

Altrimenti c’è qualcosa che non va. Ed infatti l’aria che si respira al Congresso è di quelle melliflue da allegra ammucchiata.

Verso l’allegra ammucchiata

Giancarlo Giorgetti (Foto Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

Non si spaventano nemmeno i rappresentanti del centrodestra. Meno di tutti Giancarlo Giorgetti il ministro leghista che piace alla gente che piace, come la Lancia Y10, che sprezzante del pericolo dichiara: “Non vi posso promettere come ha fatto Letta che vinceremo insieme le elezioni, ma sono certo che tra noi ci saranno ampi margini di collaborazione”.

Come a dire probabilmente non faremo le elezioni insieme ma una volta votato potremo tornare di nuovo ad ammucchiarci tutti insieme appassionatamente.

Lo stesso fa Antonio Diogene Tajani che illumina i presenti con un’altra sviolinata: “Le riforme sono fondamentali, a partire da quella della Giustizia, dove è possibile avere convergenza. Su questo c’è grande sintonia”. E quando dici che sei d’accordo sulla Giustizia il più è già fatto.

Una mappatura che sembra far vedere all’orizzonte le elezioni del 2023 ed il tentativo di anticipare la prosecuzione dell’esperienza attuale del maxi-governo-ammucchiata, che per qualcuno nella maggioranza è un’eccezione e per qualcun altro un allettante schema fisso.

Un Draghi bis

Mario Draghi (Foto via Imagoeconomica)

Tra i secondi c’è proprio Carlo Calenda: “Se dopo le elezioni del 2023 ci sarà la stessa maggioranza di oggi voglio vedere chi potrà dire: non governa Draghi, governi Michetti. Draghi non vuole fare politica, ma vuole governare”.

Più chiaro di così si muore. Ma anche qui manca il famoso pezzo. La riforma in senso proporzionale del sistema elettorale perché sennò si rischia di farsi troppo la guerra per prendere i voti e poi il giorno dopo rimettersi d’accordo improvvisamente, suscitando perplessità e sgomento negli elettori che nelle urne avevano avuto l’ingenua sensazione di stare a compiere una vera scelta. Poco male pensa qualcuno, tanto gli elettori li dovremo interpellare solo tra cinque anni dove avranno somatizzato l’ennesima fregatura. Ed il popolo come si sa dimentica in fretta, particolarmente quello italiano.

Ovviamente Conte non l’ha presa benissimo ed ha tuonato: “No alle accozzaglie!”. Io avrei rimproverato l’addetto stampa perché la dichiarazione perfetta sarebbe stata “No alle accozzaglie senza di noi. Avrebbe rappresentato meglio il Conte pensiero.

L’aggregazione impossibile

Giorgia Meloni

La Meloni per ora ha snobbato il mancato invito ma visto che nel settembre scorso in epoca comunali romane definì Calenda “un Pippo Franco che non ce l’ha fatta”, non ci stupiamo.

Assente illustre anche Matteo Renzi che alterna con Carletto la peste ipotesi di accordo e pubblici battibecchi. Non ci stupisce poi visto che è recente l’annuncio di una poderosa formazione centrista del fiorentino anche con Toti e Mastella, che ancora non sappiamo se si ponga in supporto o concorrenza a questa ipotesi di grande centro.

Ora tutto questo movimento al centro è chiaro. Da sempre si dice si vincano li le elezioni. Lo aveva capito meglio di tutti Berlusconi. Ma il primo dato è proprio questo. Al contrario esatto di quanto avvenne col cavaliere è difficile se non impossibile federare diverse forze senza un vero leader aggregatore. Sostituendolo con tanti piccoli leaderini litigiosi. Non funziona. Ed a maggior ragione non funziona senza cambiare il sistema elettorale.

Il cambio dato per fatto

Foto: Vincenzo Livieri / Imagoeconomica

Allora assistiamo ad una allucinazione collettiva ad un immenso paradosso. Che tutti i discorsi di questi giorni parlano come se ci fosse già un cambiamento di sistema elettorale ma questo non è ancora avvenuto e non si sa ancora se avverrà. Alcune fughe in avanti sembrano solo un voler ammucchiarsi per senso di sopravvivenza, piuttosto che per creare un vero e nuovo soggetto politico centrista.

Dunque alcuni hanno ben pensato in questi giorni di tirare per la giacchetta Mario Draghi proponendogli questo o quell’incarico al fine di fungere da federatore e allungare anche dopo le elezione questa esperienza di governo. Ma sembra a vuoto, per due motivi essenziali. Il primo è che, diciamocelo, non è che questo governo brilli per risultati nonostante il blasone del primo ministro. Il secondo è che pare Draghi viva con fastidio assoluto questa fase di giochetti politici, in particolare dopo essere stato turlupinato in occasione della scelta del Capo dello Stato.

E non la manda a dire. Fa filtrare nervosismo. Si lamenta che i rappresentanti nell’esecutivo non sappiano tenere i rapporti coi rispettivi Partiti. Qualcuno pensa pure voglia mollare. Alcuni individuano come mesi caldi giugno e luglio dove arriverà la seconda tranche del PNRR che potrebbe essere lo spartiacque di questa esperienza di governo.

Il Draghi acido

Mario Draghi (Foto: Alessandro Di Meo via Imagoeconomica)

E non si nasconde Draghi, anche inusualmente per il suo aplomb. Pochi giorni fa aveva dichiarato in occasione di una conferenza stampa: “Ho visto che tanti mi candidano a tanti posti in giro per il mondo, mostrando una sollecitudine straordinaria – così rispondendo a un cronista che gli chiedeva circa un suo impegno politico per le elezioni del 2023 – Li ringrazio, ma se per caso decidessi di lavorare dopo questa esperienza, un lavoro me lo trovo anche da solo”.

Un commento sferzante e, diciamolo, poco rispettoso delle forze che lo sostengono e della politica in generale. Quasi a marcare la differenza tra lui che un posto lo possa trovare e tanti postulanti della politica, che forse senza di lui non saprebbero come mantenere i propri di posti.

Inusuale perlomeno per un Presidente del Consiglio in carica e denso di una certa acidità ed insofferenza. Come in un’altra recente conferenza. “Avete visto che bravi ministri che ho? È un bellissimo governo” ha risposto ai cronisti. Che ai più ingenui è sembrato un complimento ai più maliziosi invece una mezza presa in giro. Infatti dopo esterna sui rapporti tesi in maggioranza. Dopo la “strigliata” ai capidelegazione delle forze di maggioranza per richiamarli all’ordine ha detto: “vedrò i Partiti. Ma li vedo regolarmente – ha specificato – non devo fare uno sforzo particolare per vederli, anche il colloquio personale con loro è continuo”.

Parlando poi delle divergenze interne all’esecutivo, sempre rispondendo alle domande, il premier ha specificato: “Sì ci sono diversità di opinioni, quel che ho fatto è semplicemente ricordare quello che è il mandato del governo – ha spiegato – creato dal Presidente della Repubblica per affrontare certe emergenze e conseguire certi risultati che sono sicuro riusciremo a conseguire. È con il massimo rispetto che ho detto le cose che ho detto. Se necessario rivedremo certe forme di dialogo e confronto, ma teniamo dritta la barra del timone”.

Senza federatore

Fiorito e Battiato

Dichiarazioni che non lasciano certo trapelare un clima sereno. E che ci riportano al discorso iniziale. Si può creare un grande centro con tanti piccoli leader litigiosi e senza un vero capo federatore? Sarebbe come costruire una casa con le fondamenta sulle sabbie mobili direi. Ma oggi quello che passa il convento è questo.

L’idea è buona perché un centro vero servirebbe alla stabilità politica del Paese, l’applicazione lacunosa.

Con tutta la buona volontà di Calenda e compagnia cantante. A cui basterebbe ricordare che qualcuno ha già scritto e cantato:  “Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente. Over and over again”.

(Leggi qui tutte le riflessioni di Franco Fiorito).