La riforma del sistema non diventi una scatola vuota

Gabriele Gravina, presidente della Figc, ha presentato in Consiglio federale il progetto per cambiare il calcio italiano. Modifiche ai format dei vari campionati. La Serie A e B scenderebbe a 18 squadre, nascono C e D d’Elite.

Alessandro Salines

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La riforma c’è, ora bisogna fare la riforma. Quasi un bisticcio di parole ma è la realtà delle cose. Un po’ come la famosa frase di Massimo D’Azeglio pronunciata dopo l’unità d’Italia nel 1861: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Il presidente Gabriele Gravina ha presentato al Consiglio federale la bozza di riforma del sistema calcio ispirata ai principi di sostenibilità e stabilità.

È tempo di cambiare per dare una prospettiva di lungo termine al calcio italiano”, ha sentenziato Gravina aprendo la discussione in Consiglio dopo aver inviato un documento a tutti i presidenti delle componenti. Crisi economica e difficoltà gestionali hanno spinto il presidente federale a trovare soluzioni per cercare di uscire da una pericolosa impasse. D’altronde la riforma dei campionati è sempre stata centrale nel programma di Gravina.

Ma è chiaro che non sarà facile mettere d’accordo tutti. Per questo servirà cambiare lo statuto per evitare il meccanismo dei vincoli e dei blocchi che potrebbe trascinare la riforma in una palude. E poi bisogna scongiurare il rischio che il progetto si riveli una scatola vuota. Insomma servono coperture, innanzitutto economiche. (Leggi qui Riforme e cambio di format: venerdì gli stati generali).

DUE LEGHE PROFESSIONISTICHE

La riforma non sarà un ciclone che si abbatte all’improvviso sul calcio italiano spazzando via tutto. Si articolerà su diverse annualità e prevede la creazione, a partire dalla prossima stagione di una Serie C Elite (18 squadre, 2 promozioni e 3 retrocessioni) e di una D Elite (2 gironi da 18) per aggredire una delle criticità economiche più grandi per qualsiasi club: il salto di categoria.

Consolidamento del sistema, controllo dei costi e una nuova suddivisione delle risorse sono i cardini del piano-Gravina. Con l’avvio della stagione 2024/2025 le Leghe professionistiche diventerebbero 2. La Serie A dovrebbe scendere a 18 squadre con 2 retrocessioni. Idem la Serie B con 2 promozioni ed altrettante retrocessioni. E qui potrebbero nascere i primi problemi.

Diversi club della massima serie non vedono di buon occhio il taglio delle squadre. Un concetto ribadito nell’ultima assemblea di Lega e confortato anche da quanto è accaduto in Spagna ed Inghilterra. E’ stato valutato infatti che con 2 società in meno si avrebbe una riduzione dei ricavi pari al 15-20% tra sponsor, biglietti e diritti tv. E poi la B accetterà una promozione in meno? Gravina sa benissimo che i veti incrociati potrebbero fermare tutto. Perciò ha annunciato che entro novembre convocherà un’assemblea straordinaria per modificare lo statuto e scardinare il principio dei vincoli e dei blocchi che a livello normativo impediscono l’approvazione di qualsiasi riforma.

GRAVINA NON DA’ I… NUMERI

Gabriele Gravina (Foto: Alessandra Serrano via Imagoeconomica)

Il numero uno della Figc è consapevole delle resistenze e per questo da buon diplomatico qual è non vuole forzare la mano. Ha spiegato però come la riforma non debba essere incentrata sul format dei campionati e sul numero delle società (a regime i club prof passerebbero da 100 a 90), ma sia quanto mai necessaria per ridurre la forbice nella ripartizione delle risorse tra le varie categorie.

Il dibattito sul numero di squadre non mi affascina. Lo dovranno decidere gli imprenditori del calcio. Quello che posso dire che il nostro sistema sta conoscendo una delle sue crisi più profonde e bisogna intervenire prima che sia troppo tardi – ha sottolineato nella conferenza stampa convocata subito dopo il Consiglio federale – Sono difficoltà che stanno mettono a dura prova diversi settori legati all’industria del calcio”.

SCATOLA VUOTA

Alla resa dei conti Gravina dovrà convincere le società che la sua riforma poggia su basi solide. Altrimenti sarà difficile far accettare modifiche profonde. La distribuzione più equa delle risorse deve attuarsi concretamente e non solo a parole. La riforma deve girare intorno a questo principio altrimenti diventerebbe la classica scatola vuota.

Ma serve un cambio di mentalità. Quante volte infatti la Serie A si è lamentata della mutualità? Eppure oggi alle categorie inferiori arrivano le briciole. E che dire delle uscite infelici di Lotito e De Laurentiis sulla presenza dei piccoli club in Serie A? Insomma serve crescere dal punto di vista culturale. E le istituzioni calcistiche devono fare la loro parte.

È necessario un cambio di passo per contribuire alla modernizzazione del sistema favorendo lo sviluppo del brand, gli investimenti sulle strutture e sui settori giovanili.