La rinuncia di Di Maio spiana la strada al nuovo governo

Vertice serale a Palazzo Chigi. Pd e M5S mettono a punto la nuova squadra di Governo. Nel pomeriggio la svolta. Con la rinuncia di Di Maio alla pretesa di fare ancora il vice premier. Il nuovo scossone di Grillo. La sintesi della giornata.

Il braccio di ferro è finito. Nel Movimento 5 Stelle si sblocca la trattativa per arrivare al nuovo governo con il Pd. Luigi Di Maio ha rinunciato alla pretesa di continuare ad essere vice premier. Ora tutto è nelle mani della piattaforma Rousseau, dove martedì si vota. Ma la strada è in discesa: Di Maio non fa appelli al voto, Di Battista nega di avere detto di votare No. In serata Nicola Zingaretti dice «Siamo fiduciosi e ottimisti».

La mattina

La mattinata comincia con un vertice del M5S: Luigi Di Maio lo convoca nel suo ufficio di Palazzo Chigi, l’ultima ridotta in cui è asserragliato da giorni e che per nulla al mondo vuole mollare. Ci sono i fedelissimi, alcuni ministri, i vertici del Partito: traccia il punto politico, dice che non cederà.

I capigruppo M5S

A poca distanza, nel palazzo del Nazareno, Nicola Zingaretti è da giorni in riunione permanente: convoca per le 13 la task force che va a trattare, i vice segretari Andrea Orlando e Paola De Micheli, i capigruppo Andrea Marcucci (Senato) e Graziano Del Rio (Camera), le vicepresidenti Anna Ascani e Deborah Serracchiani, l’espertissimo tesoriere Luigi Zanda, il felpato presidente del Pd Paolo Gentiloni.

A Palazzo Madama intanto, arriva il senatore grillino Gianluigi Paragone, il pasdaran attestato sulla trincea del No all’intesa. Scrive un post sulla sua bacheca Facebook. Conferma quello che Alessioporcu.it sta scrivendo da alcuni giorni, c’è una pattuglia di Forza Italia che è pronta a sganciarsi con il solo scopo di assicurare al futuro governo M5S – Pd i numeri per ottenere l’agibilità in Senato. Rendendo nulla qualsiasi imboscata dei dissidenti grillini. (leggi qui La doppia frattura nel centrodestra. Che non preoccupa Silvio).

Andrea Crippa

A proposito di dissidenti: il deputato Andrea Crippa numero due della Lega dice che ci sono 9 senatori pentastellati pronti a saltare la barricata e votare no al nuovo Governo. In cambio chiedono la garanzia di una candidatura nelle liste della Lega. Crippa non si rende conto di due cose: A) Sta candidamente ammettendo che la Lega si sta prestando ad un mercato delle vacche, nulla di male solo che nel passato a parti invertite, dal Carroccio poco ci mancò che invocassero l’intervento dei Baschi blu e dell’Onu. B) Sta ventilando la possibilità di segare 9 parlamentari leghisti ai quali togliere la candidatura in un collegio sicuro, per darlo ai dissidenti M5S.

Non male come avvio di mattinata.

Prima di pranzo

Intanto finisce la riunione dei pentastellati nella trincea di Luigi Di Maio. L’unico a rilasciare qualche dichiarazione è il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano: nega che si sia parlato di poltrone, nega che sia stato fatto pressing su Di Maio per fargli capire che sta bloccando un Paese appresso alla storia delle sue deleghe; nega che Beppe Grillo l’altro giorno abbia randellato proprio di Maio con il videomessaggio in cui diceva di avere perso la pazienza appresso a queste minuzie. Se gli chiedessero di confermare che si chiama Manlio Di Stefano l’impressione è che negherebbe pure quello.

Luigi Di Maio

L’impressione infatti è che le cose siano andate in maniera del tutto diversa. E che anche i fedelissimi abbiano tracciato il perimetro intorno al quale sono disposti a dare la vita per Luigino: un incarico da ministro e con un dicastero importante. Non oltre. Rousseau? Ammettono che una bocciatura è possibile ma il sottosegretario Carlo Sibilia dice di confidare che i cittadini «capiscano la potenzialità dell’accordo con il Pd e gli diano il via libera».

Iniziano a filtrare indiscrezioni sulle cose dette da Luigi Di Maio: gli attribuiscono due concetti; il primo: il nuovo governo dipende dal voto su Rousseau, il secondo Alessandro Di Battista come ministro degli Esteri.

Appena le agenzie battono le indiscrezioni parte il tam tam per verificare: se così fosse sarebbe un ulteriore innalzamento dell’asticella per dire no. Ma dal Nazareno nessuno reagisce: volpi espertissime, non tireranno fuori una sola parola fino a quando non ci sarà una dichiarazione ufficiale; sanno benissimo che potrebbero essere polpette avvelenate con cui intossicare la trattativa.

BEPPE GRILLO Foto: © Imagoeconomica, Rocco Pettini

Ma nonostante tutta quell’esperienza, si guardano in faccia con una certa perplessità quando sul blog di Grillo appare un post del fondatore dei 5 stelle. Affida le sue riflessioni al Neurologo, personaggio immaginario che utilizza quando vuole fare delle riflessioni sulla situazione. C’è un punto chiave: «Tre teste, sì, una rivolta a Luigi, incazzata ed ancora stupefatta per l’incapacità a cogliere il bello intrinseco nel poter cambiare le cose. Con i punti che raddoppiano come alla Standa».

L’esegeta del messaggio è il capogruppo al senato Andrea Marcucci: è chiaro che è una nuova presa di posizione fatta da grillo in favore dell’accordo. Marcucci prevede che si andrà verso un nuovo incontro. Provano a buttare un mortaretto a bruciapelo, domandandogli “E Rousseau?” Impassibile rimanda la pallina nel campo avversario «Il Pd rispetta i meccanismi di consultazione degli altri Partiti».

Dopo pranzo

Arriva la convocazione profetizzata da Marcucci. Nel pomeriggio le delegazioni di pd e M5s si vedranno. A convocarli è il premier incaricato Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi.

Di Maio e Di Battista

Si scopre che hanno pranzato insieme Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. L’aria è cambiata. Di Battista nega le frasi che gli vengono attribuite su alcune agenzie, giura di non avere mai detto che voterà no. E per non lasciare spazio al dubbio, non sta dicendo che voterà si. Sta dicendo che non è andato ad incendiare i pozzi ed esasperare gli animi.

Un altro segnale arriva dal capogruppo M5s alla Camera M5s D’Uva,: prima di infilarsi nella riunione con il premier ed il Pd ricorda ai microfoni che M5S è «un Partito post ideologico, né di destra né di sinistra, nato anzi prioprio per scardinare il sistema». I tifosi della curva destra la interpretano molto male.

Il governo si fa

La riunione finisce intorno alle 18.30. Giuseppe Conte appare su Facebook e dice

«Oggi ho incontrato i responsabili politici di Pd e M5S. Gli ho chiesto di restare esclusivamente concentrati sui problemi che impediscono ai cittadini di avere una vita migliore. I cittadini ci chiedono di non distrarci. Con Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti abbiamo oggi una grande opportunità, migliorare l’Italia e fare il bene del Paese».

Giuseppe Conte durante la diretta

«È una fase cruciale, serve esecutivo forte e stabile. Sto lavorando a una squadra competente. E agli iscritti M5S dico, non teniamo idee dentro cassetto».

La frase chiave: sto lavorando ad una squadra competente. Quindi sta già scegliendo i ministri; l’altra frase le idee nel cassetto: c’è qualcuno nel M5S che è ancora contrario.

Luigino marcia indietro

La bomba politica della giornata arriva alle 19 quando Luigi Di Maio mette in rete il suo video:

«Il problema del vicepremier non esiste più. Il punto era diverso: il presidente del Consiglio è super partes, quindi se c’era un vicepremier del Pd doveva essercene un altro del M5S. Una volta che il Pd ritira il suo, non si pone più il problema, potevano pensarci prima».

Luigi Di Maio durante la diretta

Per il leader grillino, avendo il Pd rinunciato ad un vicepremier, anche il M5S rinuncia al suo e il problema non si pone più. La condizione che adesso Di Maio avanza è invece quella di nominare ministri incensurati.

Va bene Luigi, ci potevi pensare pure tu: non solo Franceschini ti ha servito la soluzione su un piatto d’argento, mo’ t’atrrabbi pure…

Non solo: fa un video per chiamare al voto su Rousseau ma non si schiera. A fare propaganda per il Si invece è il premier Conte.

All’ora di cena

In serata Nicola Zingaretti parla di ottimismo.

All’ora di cena, si riunisce a palazzo Chigi un nuovo vertice tra il premier Giuseppe Conte e le delegazioni di M5s e Pd formate, rispettivamente, da Vincenzo Spadafora e Stefano Patuanelli e da Dario Franceschini e Andrea Orlando.

Stabiliscono che il prossimo Governo si occuperà anche di rivedere la legge elettorale. E poi iniziano a parlare di ministri.